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Ostruzione Biliare Maligna Inoperabile: Lo Studio TESLA RCT Potrebbe Cambiare Tutto?

Amici della scienza e della medicina, oggi voglio parlarvi di una sfida davvero tosta che molti pazienti e medici si trovano ad affrontare: l’ostruzione biliare ilare maligna (MHBO). Immaginate le vie biliari, quei piccoli canali che trasportano la bile dal fegato all’intestino, come un sistema idraulico cruciale per la nostra digestione. Quando un tumore, spesso un colangiocarcinoma perilare (pCCA), ma anche altre neoplasie come quelle della colecisti o metastasi, blocca questo sistema a livello dell’ilo epatico (il punto d’ingresso al fegato), si scatena un bel problema.

I pazienti, di solito, si presentano con un ittero indolore, quel colorito giallastro della pelle e degli occhi che ci dice che la bile non sta fluendo come dovrebbe. Purtroppo, per la maggior parte di loro, la chirurgia curativa non è un’opzione, a causa di metastasi, malattia localmente avanzata o condizioni generali precarie. In questi casi, si parla di cure palliative, con una sopravvivenza mediana che, per il pCCA, si aggira tristemente intorno ai 5 mesi.

Un drenaggio biliare efficace è fondamentale per migliorare la qualità di vita e permettere, quando possibile, trattamenti sistemici palliativi. Finora, la strada maestra è stata il drenaggio biliare endoscopico (ERCP), una procedura in cui si inseriscono degli stent (piccoli tubicini) attraverso un endoscopio. Se l’ERCP fallisce o non è fattibile, si ricorre al drenaggio biliare percutaneo (PBD), bucando la pelle per raggiungere le vie biliari. Ma c’è un “ma”, e bello grosso.

Cosa non va con i metodi attuali? Il problema delle infezioni

Il vero tallone d’Achille di queste procedure, sia ERCP che PBD tradizionale, è l’alto rischio di infezioni, in particolare la colangite. Perché? Beh, si pensa che la contaminazione batterica del tratto biliare sia la principale colpevole. Questo può accadere a causa dell’approccio transpapillare (attraverso la papilla di Vater, dove la bile sbocca nell’intestino) con stent che spesso attraversano l’ampolla, o a causa dei drenaggi biliari esterno-interni posizionati per via percutanea. Se poi, durante la procedura, si “toccano” o si inietta contrasto in segmenti del fegato non drenati, il rischio di colangite segmentaria aumenta, richiedendo nuovi interventi e peggiorando le condizioni del paziente. Il risultato? Molti pazienti con MHBO inoperabile non arrivano mai a ricevere un trattamento sistemico, e la sopravvivenza resta bassa. Uno studio olandese ha mostrato che il 24% dei pazienti sottoposti a ERCP per colangiocarcinoma perilare ha avuto bisogno di reinterventi non pianificati, con una mortalità a 90 giorni del 36% nell’intera coorte (ERCP e PBD). Insomma, un quadro non proprio roseo.

E se ci fosse un modo migliore? L’idea del PPS e lo studio pilota TESLA

Qui entra in gioco un’idea che potrebbe sparigliare le carte: lo stenting percutaneo primario (PPS). L’obiettivo del PPS è semplice ma geniale: mantenere la sterilità delle vie biliari evitando di attraversare l’ampolla. Gli stent vengono posizionati in modo da superare solo l’ostruzione, con l’estremità distale che rimane nel dotto biliare extraepatico. E per evitare drenaggi esterni, si “sigilla” il tragitto della puntura dopo la procedura. Niente male, vero?

Questa tecnica è stata testata in uno studio pilota, chiamato TESLA (MEC-2019-0789), su 67 pazienti con MHBO inoperabile. I risultati? Promettentissimi! Pensate: nessun caso di colangite o pancreatite dopo il PPS iniziale. Altre complicanze severe legate al drenaggio si sono verificate solo nel 17.9% dei casi, tutte risolte con reinterventi. Parliamo di colecistite acuta (3.0%), perdita biliare (1.5%), emorragia (4.4%) e ittero persistente (9.0%). La maggior parte dei pazienti (61.2%) ha potuto iniziare un trattamento sistemico palliativo entro quattro settimane, e la sopravvivenza mediana globale è stata di 10.1 mesi. Un bel salto in avanti rispetto ai dati storici!

Un paziente anziano con ittero evidente guarda con speranza fuori da una finestra di ospedale, luce soffusa del mattino, obiettivo da 35mm, profondità di campo, toni seppia e blu.

Certo, uno studio pilota su un singolo centro, per quanto ben fatto, ha i suoi limiti. La bravura dei radiologi interventisti coinvolti potrebbe aver influito positivamente. Ed è per questo che si è deciso di fare il passo successivo.

Dalla teoria alla pratica: lo studio TESLA RCT

Per validare questi risultati incoraggianti, è stato disegnato uno studio multicentrico, randomizzato e controllato: il TESLA RCT. Immaginatelo come il “campionato” in cui si confrontano due approcci per vedere quale sia il migliore. Parteciperanno sei centri accademici olandesi di riferimento, e l’obiettivo è reclutare 148 pazienti con MHBO inoperabile.

Come funziona? I pazienti vengono assegnati casualmente (randomizzati, in gergo tecnico) a uno dei due gruppi:

  • Braccio di intervento: ricevono lo stenting percutaneo primario (PPS) con stent metallici autoespandibili non ricoperti, senza attraversare l’ampolla e senza lasciare un drenaggio esterno.
  • Braccio di controllo: ricevono il drenaggio biliare endoscopico (ERCP) secondo le linee guida internazionali.

La diagnosi di MHBO deve essere confermata istologicamente o, se non possibile, giudicata molto probabile dal team multidisciplinare. I pazienti devono avere un’iperbilirubinemia significativa (>50 µmol/L) e, ovviamente, non essere candidabili a chirurgia o trapianto di fegato. Ci sono anche criteri di esclusione, come il sospetto di malattia benigna, precedenti tentativi di drenaggio biliare o segni clinici di colangite al momento dell’arruolamento.

L’endpoint primario, cioè la cosa più importante che si andrà a misurare, è la percentuale di pazienti con complicanze maggiori entro 90 giorni dalla randomizzazione. Per complicanze maggiori si intende qualsiasi evento che porti a un ricovero prolungato (oltre 72 ore), una riammissione in ospedale, un qualsiasi reintervento invasivo, o il decesso. Ma non finisce qui! Si valuteranno anche tanti altri aspetti (outcome secondari): il successo tecnico della procedura, il numero di reinterventi, la riduzione dei livelli di bilirubina, quanti pazienti riusciranno ad accedere alla terapia sistemica palliativa, la qualità della vita (misurata con questionari specifici come l’EORTC QLQ-C30 e il BIL21) e la sopravvivenza globale.

Come funzionano, in parole povere?

Nel braccio PPS, sotto guida ecografica e fluoroscopica, si accede alle vie biliari. Se serve una conferma diagnostica, si fa una biopsia. La stenosi (il restringimento) viene dilatata con un palloncino, poi si inserisce lo stent metallico autoespandibile, facendo attenzione a non superare l’ampolla. Dopo il posizionamento, si può fare un’ulteriore dilatazione con palloncino. Infine, il tragitto della puntura viene sigillato con una sostanza apposita (Avitene™) per evitare drenaggi esterni. Se proprio non si riesce a superare il tumore con il filo guida, si piazza un drenaggio esterno temporaneo e si ritenta dopo 3-5 giorni.

Nel braccio ERCP, la procedura viene eseguita da un gastroenterologo esperto, seguendo le linee guida ASGE 2021. L’obiettivo in entrambi i casi è drenare più del 50% del fegato non atrofico. Si raccomanda di non essere timidi nel posizionare più di uno stent se necessario, evitando però di drenare segmenti atrofici o con occlusione della vena porta.

Tutti i pazienti ricevono antibiotici: una dose endovenosa durante la procedura e un ciclo di cinque giorni dopo. Se la bilirubina è molto alta prima dell’intervento, si consiglia di iniziare antibiotici orali già alla diagnosi per prevenire colangiti spontanee.

Immagine macro di uno stent biliare metallico autoespandibile, illuminazione da studio controllata, alta definizione, obiettivo macro da 100mm, su sfondo medico sterile.

Sfide e prospettive future

Certo, uno studio del genere non è una passeggiata. Una delle sfide principali è riuscire a indirizzare i pazienti ai centri partecipanti prima che abbiano già subito tentativi di drenaggio, perché questo è un criterio di esclusione. Bisogna convincere i centri periferici a inviare tempestivamente i pazienti con sospetta MHBO. Poi, c’è la questione della riproducibilità: il successo di questi interventi dipende molto dall’esperienza dell’operatore. Per questo, tutti i centri partecipanti al TESLA RCT devono aver eseguito almeno cinque procedure PPS secondo il protocollo pilota prima di arruolare pazienti nello studio randomizzato, per ridurre l’impatto della curva di apprendimento.

Un’altra potenziale limitazione è che il protocollo permette l’inserimento di stent anche senza una conferma istologica definitiva di malignità. Per minimizzare il rischio di trattare una malattia benigna, ci sono criteri di inclusione ed esclusione molto stringenti, la discussione del caso in un team multidisciplinare in un centro accademico e il monitoraggio dei livelli di bilirubina prima della procedura.

Nonostante queste sfide, l’entusiasmo è palpabile. Se il TESLA RCT dimostrerà che il PPS è superiore all’ERCP nel ridurre le complicanze maggiori, potremmo essere di fronte a un cambiamento significativo nello standard di cura per i pazienti con ostruzione biliare ilare maligna inoperabile. L’idea di evitare la contaminazione batterica, non attraversando l’ampolla e non lasciando drenaggi esterni, ha il potenziale per migliorare drasticamente gli esiti per questi pazienti, offrendo loro una migliore qualità di vita e, si spera, più tempo.

Il primo paziente è stato randomizzato il 9 agosto 2023, e noi tutti aspettiamo con ansia i risultati. Incrociamo le dita perché questa nuova strategia possa davvero fare la differenza!

Fonte: Springer

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