Long COVID: Il Viaggio Continua? Cosa Ci Dice lo Studio EuCARE sulla Persistenza dei Sintomi
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, purtroppo, tocca ancora molti di noi o persone che conosciamo: il Long COVID, o come lo chiamano gli esperti, la Condizione Post COVID-19 (PCC). Sappiamo che dopo l’infezione acuta da SARS-CoV-2, una percentuale non trascurabile di persone (si parla del 10-40%!) continua ad avere sintomi per settimane, mesi, a volte anche di più. Ma quanto dura davvero? E i sintomi cambiano nel tempo? Sono domande cruciali a cui uno studio importante, l’EuCARE POSTCOVID, a cui abbiamo contribuito anche noi qui a Milano, ha cercato di dare risposta.
Cos’è esattamente il Long COVID (PCC)?
Prima di tuffarci nei risultati, rinfreschiamoci la memoria. La PCC è definita come la presenza di sintomi che persistono per almeno 4 settimane dopo l’infezione iniziale da SARS-CoV-2. Questi sintomi possono essere i più svariati e, come potete immaginare, rappresentano un bel fardello sia per chi ne soffre sia per i sistemi sanitari, già messi a dura prova dalla pandemia. Molti studi hanno seguito i pazienti fino a un anno, ma c’è il sospetto che per alcuni la storia sia ancora più lunga.
Il Nostro Studio: Seguire le Tracce del COVID nel Tempo
Nello studio EuCARE POSTCOVID, abbiamo seguito un gruppo di 853 pazienti, sia ricoverati che non durante la fase acuta dell’infezione, tra febbraio 2020 e giugno 2023. Li abbiamo incontrati (di persona o tramite telemedicina, una risorsa preziosa in tempi di lockdown!) a diverse scadenze dopo l’infezione: a circa 3 mesi, poi intorno ai 7 mesi e infine anche dopo più di un anno (fino a 26 mesi in media per chi è arrivato all’ultimo controllo).
Ad ogni visita, abbiamo raccolto informazioni sui sintomi persistenti (quelli che non c’erano prima del COVID), usando un questionario standardizzato dell’OMS. Abbiamo anche valutato la presenza di ansia e depressione (con la scala HADS) e di sintomi da stress post-traumatico (PTSD), perché sappiamo che l’impatto psicologico della malattia e della pandemia è stato enorme.
I Numeri Parlano: Quanti Soffrono Ancora e Come Cambiano i Sintomi?
Ecco il primo dato interessante: la percentuale di persone con PCC è diminuita nel tempo.
- Al primo controllo (3 mesi): ben il 64.6% dei pazienti aveva ancora sintomi.
- Al secondo controllo (7 mesi): la percentuale scendeva al 36.4%.
- Al terzo controllo (26 mesi): era ancora il 30.4% a riportare sintomi persistenti.
Quindi, sì, c’è un miglioramento, ma quasi un terzo dei pazienti stava ancora combattendo con strascichi della malattia a più di due anni di distanza!

Ma quali sintomi? Abbiamo visto un cambiamento nel “volto” del Long COVID.
- Anosmia/Disgeusia (perdita o alterazione di olfatto e gusto): molto comune all’inizio (quasi il 40% dei sintomatici a 3 mesi), ma diventava rara a lungo termine (meno del 5% a 26 mesi).
- Fatica e Problemi Respiratori: presenti in circa 1 paziente su 4 all’inizio, sono diventati i sintomi predominanti nel tempo. A 26 mesi, più della metà dei pazienti con PCC riportava ancora problemi respiratori e oltre il 60% soffriva di fatica persistente. Questa fatica assomiglia molto a quella della sindrome da stanchezza cronica (encefalomielite mialgica), una condizione complessa che può seguire altre infezioni.
- Brain Fog e Dolore Cronico: meno comuni all’inizio, ma la loro frequenza è aumentata significativamente nei controlli successivi, interessando quasi la metà dei pazienti con PCC a lungo termine per il dolore cronico e quasi un quarto per la “nebbia mentale”.
Chi è Più a Rischio di Avere un Long COVID Persistente?
Analizzando i dati, abbiamo cercato di capire se ci fossero fattori associati alla persistenza dei sintomi. Confrontando chi non ha mai avuto PCC, chi è guarito e chi aveva sintomi persistenti, abbiamo notato che:
- Essere donna, aver avuto l’infezione nel 2020 (le prime ondate!), aver avuto un ricovero più lungo e non essere vaccinati contro il COVID-19 erano fattori associati all’aver sviluppato PCC (sia risolto che persistente).
- Ansia, depressione e PTSD erano più comuni in chi aveva avuto o aveva ancora PCC.
Quando poi abbiamo confrontato chi aveva PCC all’inizio e poi è guarito con chi invece aveva sintomi persistenti all’ultimo controllo disponibile, abbiamo visto che essere donna e non essere vaccinati erano associati a una maggiore probabilità di persistenza. Anche i sintomi psicologici sembravano più frequenti in chi aveva PCC persistente, anche se la differenza non era statisticamente netta in questo confronto specifico.

Un dato molto forte emerso dall’analisi statistica più complessa (regressione logistica) è che aver contratto l’infezione nel 2020 è rimasto un fattore di rischio indipendente per la persistenza del PCC, anche tenendo conto di età, sesso, altre malattie e gravità del COVID acuto. Questo suggerisce che forse le prime varianti del virus o le condizioni di gestione della malattia in quel periodo abbiano giocato un ruolo importante.
Vaccini, Varianti e Complessità
Il nostro studio, essendo iniziato presto, ha coinvolto molti pazienti non vaccinati (perché i vaccini non erano ancora disponibili). I dati sembrano confermare quello che altri studi hanno mostrato: la vaccinazione sembra offrire una certa protezione contro lo sviluppo o la persistenza del Long COVID. Inoltre, l’associazione con l’infezione nel 2020 potrebbe legarsi sia alle varianti circolanti all’epoca (Wild-type, Alpha, Delta sembrano associate a più PCC rispetto a Omicron) sia all’assenza di vaccini e terapie antivirali specifiche che sono arrivate dopo.
Cosa Portiamo a Casa (e le Sfide Future)
Questo studio è uno dei primi a seguire i pazienti con PCC per così tanto tempo. Anche se abbiamo perso alcuni pazienti lungo il percorso (cosa che limita un po’ la generalizzazione dei risultati), i dati suggeriscono una tendenza alla riduzione del carico complessivo di PCC nel tempo. Tuttavia, una quota significativa di persone continua a soffrirne a lungo, con sintomi che cambiano: la fatica e i problemi respiratori diventano dominanti, spesso accompagnati da ansia e depressione.
È chiaro che il Long COVID è una realtà complessa. Distinguere i sintomi dovuti specificamente al virus da altri fattori che emergono col tempo (invecchiamento, altre malattie, impatto psicologico a lungo termine) non è semplice. Servono definizioni più precise e studi che includano gruppi di controllo.
Il nostro lavoro sottolinea l’importanza di continuare a seguire questi pazienti, offrire supporto (anche psicologico!) e proseguire la ricerca per capire meglio i meccanismi alla base del PCC e trovare, speriamo presto, trattamenti efficaci. Il viaggio per molti non è ancora finito.
Fonte: Springer
