Dolore Pelvico Post Parto: Missione Possibile? Lo Studio EMaPP Cerca Risposte
Ciao a tutte! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca tante, troppe donne dopo il parto, ma di cui si discute ancora troppo poco: il dolore cronico del cingolo pelvico (in inglese, Pelvic Girdle Pain o PGP). Sì, quel dolore fastidioso, a volte invalidante, che può rendere un inferno le prime settimane, mesi, e a volte persino anni dopo aver dato alla luce un figlio.
Ammettiamolo, la gravidanza e il parto sono un’esperienza incredibile, ma possono lasciare il segno sul nostro corpo. Si stima che circa il 70% delle donne sperimenti qualche forma di dolore pelvico durante la gravidanza, e per un 10% questo problema non scompare magicamente dopo il parto, anzi, diventa cronico, persistendo per più di 3 mesi. E non parliamo di un leggero fastidio. Parliamo di un dolore che può avere conseguenze pesanti sulla vita quotidiana:
- Fisiche: difficoltà a camminare, salire le scale, prendersi cura del neonato, tornare all’attività fisica.
- Psicologiche: può accompagnarsi a depressione, mancanza di sonno, stress.
- Socioeconomiche: può portare a congedi malattia prolungati e ritardi nel rientro al lavoro.
Il problema è che, nonostante sia così diffuso, spesso questo dolore viene minimizzato, considerato “normale” o qualcosa che “passerà da solo”. Ma le ricerche ci dicono che non è così, può persistere anche per oltre un decennio! E le terapie? Spesso quelle conservative non bastano, e mancano prove solide su cosa funzioni davvero dopo le prime 8 settimane dal parto. Un bel problema, vero?
Il Dolore che Nessuno Vede
Immaginate di avere un dolore costante lì, nella zona del bacino, che vi limita in ogni movimento. Vi sentite dire che è normale, che dovete stringere i denti. Vi sentite frustrate, stanche, forse anche un po’ depresse. Ecco, questa è la realtà per molte neomamme. Spesso si sentono incomprese dai medici, che magari liquidano il problema pensando che si risolverà spontaneamente. Ma quando i mesi passano e il dolore è ancora lì, la frustrazione cresce. Si cercano soluzioni, si prova la fisioterapia standard, ma a volte non basta. Nei casi più ostinati, si arriva a parlare di infiltrazioni guidate o addirittura interventi chirurgici. Serve chiaramente qualcosa di più, servono interventi efficaci e basati su prove scientifiche.
Una Speranza su Misura? Le Ortesi DEFO
Tra le possibili soluzioni ci sono le ortesi pelviche, delle specie di “cinture” o supporti. Le linee guida europee e del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) le menzionano. L’idea è che possano migliorare la stabilità delle articolazioni, l’allineamento, fornire input sensoriali per ottimizzare il controllo muscolare, ridurre il dolore e migliorare la funzione. Tuttavia, quelle “standard”, che si comprano già fatte, hanno i loro limiti: spesso sono scomode, ingombranti, poco estetiche e limitano i movimenti. E se un’ortesi è scomoda, ovviamente, si finisce per non usarla, vanificando ogni potenziale beneficio.
Qui entra in gioco un’idea innovativa: le ortesi dinamiche personalizzate in tessuto elastomerico (DEFO). Immaginatele come dei pantaloncini o supporti fatti su misura, con un tessuto speciale, elastico e dinamico, progettato per essere più confortevole e adattarsi meglio al corpo. Studi precedenti avevano già suggerito che queste DEFO fossero ben tollerate e potessero migliorare dolore e qualità della vita durante la gravidanza. La domanda sorge spontanea: potrebbero funzionare anche per il dolore cronico dopo il parto?

Per rispondere a questa domanda, però, non si può partire subito con uno studio enorme e costoso. Bisogna prima capire se è fattibile organizzarlo. Ed è proprio questo lo scopo dello studio di cui vi parlo oggi, chiamato EMaPP (Evaluating the Management of chronic Pelvic girdle Pain following pregnancy). Si tratta di uno studio di fattibilità randomizzato e controllato. In parole semplici, abbiamo voluto testare “sul campo” se fosse possibile condurre un futuro studio su larga scala per confrontare l’efficacia delle DEFO (insieme a consigli e esercizi standard) rispetto ai soli consigli ed esercizi standard.
Mettere alla Prova l’Idea: Come Funzionava lo Studio EMaPP
Abbiamo coinvolto donne maggiorenni con dolore pelvico severo, presente da più di 3 mesi dopo il parto, reclutate in tre diverse aree dell’Inghilterra. Le partecipanti sono state divise casualmente (randomizzate) in due gruppi:
- Gruppo Intervento: Riceveva consigli standard, un programma di esercizi personalizzato E le ortesi DEFO da indossare per buona parte della giornata.
- Gruppo Controllo: Riceveva solo i consigli standard e il programma di esercizi personalizzato.
Tutto è stato gestito principalmente a distanza, con due sessioni di fisioterapia via videoconferenza. Abbiamo raccolto un sacco di dati:
- Fattibilità: Siamo riusciti a reclutare abbastanza donne? Hanno seguito le indicazioni? Hanno completato i questionari? Le procedure erano accettabili?
- Dolore: Abbiamo misurato l’intensità del dolore (giorno e notte, peggiore e medio) ogni due settimane per 24 settimane usando una scala numerica (NPRS) – questo sarebbe stato il nostro indicatore principale in un futuro studio.
- Altri indicatori: Abbiamo valutato la funzione (con il Pelvic Girdle Questionnaire – PGQ), la qualità della vita (EQ-5D-5L, SF-36), la depressione post-partum (EPDS), la continenza urinaria (ICIQ-UI-SF), la paura del movimento (kinesiophobia – TSK) e la percezione corporea.
- Aderenza all’ortesi: Per capire quanto e quando le donne indossassero le DEFO, abbiamo inserito un piccolo sensore di temperatura (Orthotimer®) nel tessuto.
- Costi: Abbiamo raccolto dati sull’uso delle risorse sanitarie per valutare la fattibilità di un’analisi costi-efficacia futura.
- Esperienze: Abbiamo intervistato alcune partecipanti e fisioterapisti per capire le loro esperienze dirette con le DEFO, gli esercizi e lo studio in generale.
Avevamo stabilito dei criteri precisi (un sistema a semaforo: verde, giallo, rosso) per decidere se e come procedere con uno studio più grande, basati su reclutamento, completamento dei dati, aderenza all’uso delle DEFO e un primo segnale di possibile efficacia.

Luci e Ombre: Cosa Abbiamo Imparato
Allora, com’è andata? Beh, come spesso accade nella ricerca, abbiamo avuto risultati contrastanti, con alcune buone notizie e alcune sfide importanti.
La sfida più grande è stata senza dubbio il reclutamento. Il nostro obiettivo era reclutare 60 donne in 7 mesi da 3 centri, ma siamo riusciti a coinvolgerne solo 24. Nonostante gli sforzi enormi del team di ricerca e delle reti di supporto clinico, convincere le donne a partecipare è stato difficile. Abbiamo provato di tutto: pubblicità sui social media, volantini, contatto tramite liste d’attesa di fisioterapia. Una strategia che ha funzionato un po’ meglio è stata ricontattare telefonicamente le donne a cui avevamo inviato materiale informativo ma che non avevano risposto. Questo suggerisce che forse le neomamme, prese da mille impegni, hanno bisogno di un piccolo “promemoria” o di un contatto più diretto.
Perché è stato così difficile? Le ipotesi sono diverse:
- Il termine “dolore del cingolo pelvico” forse non è così conosciuto o le donne non lo associano al loro problema, magari pensando sia “solo” mal di schiena.
- Il materiale informativo, per quanto approvato dalle pazienti coinvolte nel disegno dello studio, forse era troppo lungo o complesso per una neomamma.
- Registrarsi richiedeva uno sforzo (compilare un modulo cartaceo o mandare un’email) che poteva essere un ostacolo.
- Coinvolgere i medici di base è stato complicato, spesso per mancanza di consapevolezza specifica sul PGP o per difficoltà tecniche nell’identificare le pazienti potenzialmente idonee.
Questa è stata la vera “zona rossa” del nostro semaforo.
Le buone notizie (“zona verde”) riguardano la ritenzione e la completezza dei dati. Le donne che hanno accettato di partecipare sono state fantastiche: la stragrande maggioranza è rimasta nello studio fino alla fine (24 settimane) e ha compilato quasi tutti i questionari. L’uso dell’app web con i promemoria via SMS è stato apprezzato, anche se qualche suggerimento per migliorarla è emerso (es. orario dei promemoria). Le procedure dello studio e gli interventi (consigli, esercizi, DEFO) sono stati generalmente considerati accettabili sia dalle partecipanti che dai fisioterapisti.
Un aspetto interessante emerso dalle interviste è che, mentre i fisioterapisti avrebbero preferito sessioni di persona, le partecipanti avevano opinioni più variegate, suggerendo che forse un approccio ibrido (magari la prima visita di persona e le successive a distanza) potrebbe essere l’ideale. Le DEFO sono state giudicate comode, tranne che durante le ondate di caldo (e il 2022 nel Regno Unito è stato particolarmente caldo!). Un paio di partecipanti hanno avuto infezioni da Candida, forse legate all’uso dell’ortesi – un aspetto da tenere presente.

Passiamo all’aderenza all’uso delle DEFO (“zona gialla/rossa”). Qui abbiamo avuto un intoppo tecnico: i sensori Orthotimer® avevano un’impostazione predefinita che sovrascriveva i dati dopo 100 giorni, cosa che non sapevamo! Quindi, abbiamo perso parecchi dati sull’uso effettivo. Dai dati limitati disponibili e dalle interviste, sembra che l’aderenza all’obiettivo di indossarle per molte ore al giorno (almeno 6 ore, per un totale di 42 ore settimanali) non sia stata raggiunta dalla maggior parte delle partecipanti. È interessante notare, però, che le donne tendevano a usarle in modo strategico, magari per attività specifiche come l’esercizio fisico o le passeggiate più lunghe, piuttosto che indossarle costantemente. Questo ci fa riflettere: forse l’obiettivo di ore “standard” non è realistico o necessario? Forse l’effetto non dipende solo da *quanto* le indossi, ma da *quando* e *perché*? Inoltre, le donne tendevano a sovrastimare il tempo di utilizzo quando lo riportavano a memoria, confermando l’utilità di un metodo di misurazione oggettivo (come l’Orthotimer®, una volta risolto il problema tecnico).
E l’efficacia? Con un campione così piccolo, è impossibile trarre conclusioni definitive (“zona rossa” per il segnale di efficacia). I risultati sui vari questionari erano abbastanza simili tra i due gruppi. C’è stato un leggero miglioramento del dolore in entrambi i gruppi, con un piccolo vantaggio per il gruppo DEFO per quanto riguarda il dolore notturno peggiore, ma non abbastanza per essere sicuri.
Un dato che ci ha colpito è stata l’alta percentuale di donne (quasi il 30% all’inizio dello studio) con punteggi indicativi di possibile depressione post-partum (misurata con la scala EPDS). Questo sottolinea quanto sia importante considerare anche il benessere emotivo in questa popolazione e quanto bisogno insoddisfatto ci sia.
E Adesso? La Strada da Seguire
Quindi, qual è il verdetto finale dello studio EMaPP? La conclusione è che, allo stato attuale, non è fattibile procedere a uno studio definitivo su larga scala con questo stesso disegno. Il problema principale da risolvere è il reclutamento. Bisogna capire meglio come comunicare con le donne che soffrono di PGP post-parto, usare un linguaggio che le raggiunga, semplificare le modalità di partecipazione e, soprattutto, trovare un modo efficace per coinvolgere i medici di base e altri professionisti sanitari.
Le altre sfide emerse (problemi tecnici con i sensori, modalità di erogazione dell’intervento, definizione degli obiettivi di aderenza) sono risolvibili. Ad esempio, si può modificare l’impostazione degli Orthotimer®, pensare a un modello di intervento ibrido (in parte di persona, in parte a distanza), e studiare più a fondo i reali pattern di utilizzo delle DEFO e il loro impatto.
Insomma, lo studio EMaPP non ci ha dato la risposta definitiva sull’efficacia delle DEFO, ma ci ha insegnato moltissimo su come affrontare la ricerca in questo campo complesso e delicato. Ci ha mostrato le difficoltà, ma anche la grande disponibilità delle donne a partecipare una volta superati gli ostacoli iniziali. La ricerca deve andare avanti, perché queste donne meritano risposte e soluzioni efficaci per un problema troppo a lungo ignorato. Il prossimo passo? Tornare al tavolo da disegno, armati di queste nuove conoscenze, per capire come superare la barriera del reclutamento e progettare uno studio che possa davvero fare la differenza.
Fonte: Springer
