Studenti Paramedici: Gufi, Allodole o… Zombie? Il Sonno Sotto la Lente a Kerman!
Ciao a tutti! Parliamoci chiaro: il sonno è fondamentale. È quel momento magico in cui il nostro corpo e la nostra mente si ricaricano, un po’ come mettere lo smartphone in carica dopo una giornata intensa. Ma cosa succede quando questa “ricarica” non funziona come dovrebbe? Soprattutto per chi, come gli studenti di discipline sanitarie, ha bisogno di essere sempre al top, sia per lo studio che per il futuro benessere dei pazienti?
Ecco, mi sono imbattuto in uno studio affascinante condotto nel 2022 all’Università di Scienze Mediche di Kerman, in Iran, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio questo: come dormono gli studenti paramedici, nello specifico quelli dei corsi per sala operatoria e anestesia. Volevano capire la qualità del loro sonno, quanto si sentissero assonnati durante il giorno e le loro preferenze “mattiniere” o “serali”, il cosiddetto cronotipo.
Ma cos’è il cronotipo?
Prima di tuffarci nei risultati, chiariamo questo concetto. Avete presente l’amico che alle 7 del mattino è già pimpante e pronto a conquistare il mondo, mentre voi vorreste solo altri cinque minuti (o ore) sotto le coperte? E magari voi siete quelli che la sera danno il meglio, mentre l’amico mattiniero crolla sul divano dopo cena? Ecco, queste sono manifestazioni del cronotipo.
Semplificando molto:
- Tipo Mattiniero (Allodola): Sveglia presto, attivo al mattino, tende ad andare a letto presto.
- Tipo Serale (Gufo): Fatica a svegliarsi presto, più attivo nel pomeriggio/sera, va a letto tardi.
- Tipo Intermedio: Una via di mezzo tra i due.
Capire il proprio cronotipo è importante perché influenza quando ci sentiamo più energici e produttivi, e può avere un impatto significativo sulla qualità del nostro sonno, specialmente se i nostri impegni (studio, lavoro) non sono sincronizzati con il nostro orologio biologico interno.
Lo studio di Kerman: cosa abbiamo scoperto?
I ricercatori hanno coinvolto 187 studenti e hanno usato strumenti validati a livello internazionale: il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI) per misurare la qualità del sonno (un punteggio sopra 5 indica sonno di scarsa qualità), l’Epworth Sleepiness Scale (ESS) per valutare la sonnolenza diurna (un punteggio sopra 10 indica sonnolenza eccessiva) e la Morningness-Eveningness Scale (MES) per determinare il cronotipo.
Ebbene, i risultati sono stati… interessanti!
- La sonnolenza diurna non sembrava un problema enorme: il punteggio medio all’ESS era 6.7, e quasi l’80% degli studenti non riportava sonnolenza significativa. Un sospiro di sollievo? Non proprio, continuate a leggere.
- La stragrande maggioranza degli studenti (quasi il 91%!) è risultata avere un cronotipo intermedio. Niente eserciti di gufi o allodole, ma una popolazione più “equilibrata”, almeno sulla carta.
- MA… ecco il punto dolente: ben il 52.9% degli studenti aveva una qualità del sonno scarsa (punteggio PSQI medio di 6.3). Più della metà! Nonostante non si sentissero eccessivamente assonnati durante il giorno, il loro riposo notturno era tutt’altro che ristoratore.

Questo ci dice una cosa importante: non sentire sonnolenza di giorno non significa automaticamente dormire bene la notte. È un po’ come avere un’auto che non segnala la riserva, ma il serbatoio è quasi vuoto. Si rischia di rimanere a piedi (o, in questo caso, di subire le conseguenze a lungo termine della privazione di sonno di qualità).
Correlazioni pericolose: sonno, sonnolenza e cronotipo
Lo studio ha anche trovato delle connessioni significative:
- Peggior qualità del sonno (PSQI più alto) era associata a maggiore sonnolenza diurna (ESS più alto). Anche se la sonnolenza media non era altissima, chi dormiva peggio tendeva comunque a sentirsi più assonnato. Logico, no?
- Peggior qualità del sonno era associata anche al cronotipo (MES). Nello specifico, sembrava esserci un legame con il tipo intermedio, anche se la correlazione era più debole. Questo suggerisce che anche per i tipi “intermedi”, trovare un equilibrio sonno-veglia ottimale può essere complicato.
Insomma, questi tre aspetti – qualità del sonno, sonnolenza e cronotipo – sono intrecciati e si influenzano a vicenda.
Chi dorme peggio? I fattori di rischio
Ma chi erano gli studenti che mostravano una qualità del sonno peggiore? Lo studio ha identificato alcuni fattori associati a punteggi PSQI più alti:
- Età maggiore: Gli studenti un po’ più grandi (dai 23 anni in su) tendevano ad avere un sonno di qualità inferiore rispetto ai più giovani (18-20 anni). Forse per le maggiori responsabilità accademiche o cliniche?
- Essere “non nativi”: Gli studenti che non provenivano dalla regione di Kerman riportavano un sonno peggiore. Questo fa pensare allo stress legato all’adattamento a un nuovo ambiente, alla lontananza da casa, alle preoccupazioni culturali o sociali.
- Preoccupazioni mentali: Avere “pensieri per la testa” era significativamente legato a un sonno disturbato. Le preoccupazioni principali? Problemi personali (70%) e questioni economiche (quasi 43%). Lo stress accademico e le ansie per il futuro pesano, eccome!
Questi risultati sottolineano come il sonno non sia solo una questione biologica, ma sia profondamente influenzato dal nostro contesto di vita, dalle nostre emozioni e dalle pressioni che subiamo.

Perché tutto questo è importante?
Pensateci: stiamo parlando di futuri professionisti della salute. Un sonno di scarsa qualità non influisce solo sul rendimento accademico (difficoltà di concentrazione, apprendimento, memoria), ma può compromettere le capacità decisionali, l’attenzione e la performance clinica, con potenziali rischi per la sicurezza dei pazienti. Inoltre, a lungo termine, un sonno cronicamente disturbato è associato a problemi di salute fisica e mentale.
Questo studio, pur con i suoi limiti (campione specifico, autovalutazioni, possibile influenza della pandemia COVID-19 in corso nel 2022), lancia un messaggio chiaro alle istituzioni educative: bisogna prendersi cura del sonno degli studenti.
Cosa si può fare?
I ricercatori suggeriscono alcune piste:
- Educazione all’igiene del sonno: Insegnare agli studenti pratiche corrette per favorire un buon riposo (routine regolari, ambiente adatto, gestione di caffeina e dispositivi elettronici prima di dormire).
- Flessibilità accademica: Ove possibile, orari più flessibili che tengano conto delle esigenze individuali e dei cronotipi.
- Supporto psicologico: Offrire risorse per gestire lo stress, l’ansia e le preoccupazioni mentali che disturbano il sonno.
- Reti di supporto tra pari: Creare comunità studentesche che possano offrire sostegno reciproco.
- Interventi mirati: Prestare particolare attenzione agli studenti non nativi o a quelli che mostrano maggiori difficoltà.
Insomma, la qualità del sonno degli studenti paramedici (e probabilmente di molti altri studenti universitari) è una questione seria che merita attenzione. Non possiamo permetterci di formare futuri professionisti della salute che siano cronicamente stanchi e stressati. Investire nel loro benessere, a partire da un buon sonno, significa investire nella salute di tutti noi.
E voi, come dormite? Siete più gufi, allodole o… un po’ zombie come più della metà di questi studenti?
Fonte: Springer
