Studenti Co-Designer: La Rivoluzione Silenziosa nella Formazione Sanitaria?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che sta sobbollendo nel mondo dell’educazione sanitaria, qualcosa che potrebbe davvero cambiare le carte in tavola: l’idea di coinvolgere gli studenti come co-designer dei loro stessi percorsi formativi. Sembra figo, vero? Immaginate studenti e docenti che si siedono allo stesso tavolo per creare insieme corsi, materiali didattici, persino metodi di valutazione. Una vera partnership.
Negli ultimi dieci-quindici anni, l’idea della collaborazione studenti-docenti nell’istruzione superiore ha preso piede. Avrete sentito termini come “studenti co-ricercatori”, “co-produttori”, “agenti di cambiamento”… un sacco di nomi diversi che, diciamocelo, a volte creano un po’ di confusione. Ma la sostanza è quella: riconoscere che gli studenti non sono solo vasi da riempire, ma persone con esperienze, idee e prospettive preziose.
Ma cosa significa “Co-Design” nello specifico?
Ecco, qui le cose si fanno interessanti. Mentre il concetto generale di “partnership” può riguardare tanti aspetti (ruoli, relazioni), il co-design si concentra proprio sull’atto del “fare insieme”. Significa che gli studenti non sono solo consultati o informati, ma partecipano attivamente alla progettazione vera e propria: ideano, propongono, modificano contenuti, attività, curricula. È un livello di coinvolgimento molto alto, forse il più alto.
Il problema? Nonostante l’entusiasmo crescente, specialmente nel campo più ampio dell’istruzione superiore, quando si guarda specificamente alla formazione delle professioni sanitarie (medicina, infermieristica, ecc.), la ricerca su questo tema è ancora limitata. Spesso ci si basa su modelli generali, senza approfondire le specificità del nostro settore. E soprattutto, manca una visione chiara e condivisa su *come* fare co-design in modo strutturato ed efficace.
Proprio per capirne di più, è stata condotta una scoping review, una sorta di mappatura della letteratura scientifica esistente sull’argomento. L’obiettivo era duplice:
- Capire come viene descritto e a quali scopi viene utilizzato il concetto di “studenti co-designer” nella formazione sanitaria.
- Vedere come questo ruolo è stato studiato finora e quali risultati sono emersi.
Hanno setacciato database scientifici dal 2010 al 2023, cercando articoli che parlassero proprio di programmi formativi co-progettati con gli studenti nel campo della salute. Dopo una bella scrematura, sono rimasti 20 studi che rispondevano esattamente ai criteri. E cosa è venuto fuori? Ve lo racconto subito.

La Realtà del Co-Design: Promettente ma… Disorganizzato
La prima cosa che salta all’occhio è che, sì, l’idea piace. Quasi tutti gli studi analizzati mostrano un impegno a migliorare l’insegnamento e l’apprendimento coinvolgendo gli studenti. Ma c’è un “ma” grande come una casa: mancano framework standardizzati e valutazioni empiriche rigorose.
In pratica, molti articoli esaltano il contributo degli studenti, ma pochi spiegano nel dettaglio *come* questo co-design viene strutturato, implementato e valutato. C’è molta enfasi sui benefici potenziali – maggiore coinvolgimento degli studenti, più innovazione, formazione più aderente alla realtà professionale – ma poca “ciccia” metodologica.
Un altro dato interessante: la stragrande maggioranza degli studi (17 su 20) riguarda la formazione universitaria di base (laurea triennale o magistrale). Le applicazioni nella formazione post-laurea o continua sono quasi inesplorate. Forse perché i corsi undergraduate sono più strutturati e si prestano meglio a interventi di questo tipo? Può darsi.
Come Avviene (o Non Avviene) il Co-Design?
Analizzando i 20 studi, emergono alcuni pattern:
- Terminologia Vaga: Come dicevo, si usano tanti termini (co-creazione, co-costruzione, partnership…) spesso in modo intercambiabile, senza definizioni precise o riferimenti chiari. Questo crea confusione.
- Scopi Diversi: Il co-design viene usato per sviluppare corsi, simulazioni, metodi di valutazione, interi programmi formativi o interventi educativi specifici.
- Chi Partecipa? Di solito, studenti e docenti/personale universitario. A volte vengono coinvolti anche altri attori, come pazienti standardizzati o professionisti neolaureati, a seconda dell’obiettivo. Un punto critico sollevato è la possibile asimmetria di potere tra studenti e docenti, che potrebbe essere mitigata aumentando il numero di studenti nel gruppo di co-design.
- Il Processo: Qui casca l’asino. Spesso la descrizione del processo è vaga. Solo 9 studi su 20 descrivono in dettaglio le fasi, la tempistica e i compiti specifici. Ancora meno (6 studi) spiegano esplicitamente i metodi usati per “costruire” il co-design (es. workshop, brainstorming strutturato, ecc.). E quasi nessuno studio menziona il coinvolgimento degli studenti nella scelta stessa dell’argomento da co-progettare! Spesso il tema è deciso a priori dai docenti o dai ricercatori.
- Preparazione: Solo 6 studi prevedono una fase di preparazione specifica per i partecipanti, per spiegare il processo di co-design, chiarire gli obiettivi e magari affrontare subito le dinamiche di gruppo (potere, rispetto, diritto di parola). Un aspetto che sembra cruciale ma spesso trascurato.

Cosa Rende il Co-Design un Successo (e Cosa lo Ostacola)?
Nonostante la mancanza di standardizzazione, gli studi identificano alcuni fattori chiave che sembrano favorire il successo del co-design:
- Partecipanti Giusti: Servono studenti proattivi e docenti aperti alla collaborazione. Atteggiamenti, prospettive, fiducia in sé (per gli studenti) e familiarità con le organizzazioni studentesche (per i docenti) sono importanti. La motivazione sul tema specifico è fondamentale.
- Organizzazione Solida: Sia le rappresentanze studentesche che la struttura accademica devono essere ben organizzate. Serve supporto istituzionale, processi chiari, comunicazione efficace, e magari anche formazione specifica per chi partecipa. La mancanza di tempo e priorità concorrenti sono barriere comuni.
- Spazio Adeguato: Creare un ambiente dove le gerarchie si appiattiscono è cruciale. Spazi “liberi da gerarchia” favoriscono la partecipazione attiva e l’espressione aperta. Anche la composizione del gruppo è importante per prendere decisioni efficienti.
- Interazioni Efficaci: Il ruolo del facilitatore è chiave per definire compiti, gestire il tempo e mantenere un clima collaborativo. Bisogna saper navigare le gerarchie istituzionali e il processo di negoziazione, che possono essere fonti di difficoltà.
Le sfide principali? La già citata asimmetria di potere, la mancanza di tempo, la scarsa consapevolezza del ruolo del co-design, la paura di ritorsioni (anche se rara, va considerata), e a volte la resistenza da parte di alcuni docenti a cedere parte del controllo decisionale. Inoltre, c’è il rischio che gli studenti si sentano frustrati se il loro contributo non porta a cambiamenti concreti.
Quali Sono i Risultati Concreti? Effetti su Formazione, Collaborazione e Partecipanti
Quando funziona, il co-design sembra portare benefici tangibili:
- Miglioramento della Formazione: I corsi diventano più autentici, realistici e utili, perché arricchiti dal punto di vista degli studenti. L’engagement emotivo e cognitivo degli studenti aumenta. Si creano materiali didattici più pertinenti. Il feedback in tempo reale permette miglioramenti continui.
- Modalità di Collaborazione: Favorisce il benessere psicologico (sentirsi ascoltati, supportati), il “sensemaking” partecipativo (costruire insieme significati), l’ascolto reciproco e un senso di uguaglianza. Attenzione però: c’è il rischio di scivolare in una modalità “terapeutica” perdendo di vista l’obiettivo, o che lo scoraggiamento prenda il sopravvento se gli sforzi sembrano vani. Le dinamiche di potere possono alterare gli scambi anche quando non sembra.
- Sviluppo dei Partecipanti (soprattutto Studenti): Il co-design è una palestra incredibile. Gli studenti sviluppano competenze professionali (es. interprofessionalità), accademiche e didattiche (es. presentare a conferenze), soft skills (comunicazione, pensiero strategico, problem solving, leadership, lavoro di gruppo), fiducia in sé, capacità critica e auto-riflessiva. Acquisiscono anche una maggiore comprensione delle dinamiche organizzative. Anche i docenti imparano, diventando più consapevoli dell’impatto delle loro decisioni sugli studenti.

Ok, Bello… Ma Ora? Verso un Co-Design Più Strutturato e Rigoroso
Insomma, per farla breve: il co-design nella formazione sanitaria è un campo emergente, pieno di potenziale, ma ancora decisamente sottosviluppato. C’è bisogno di fare ordine.
La review suggerisce alcune direzioni chiave:
- Serve Struttura e Guida: Bisogna andare oltre le dichiarazioni di principio. Servono framework chiari e differenziati a seconda dello scopo (co-design di un corso vs. di una simulazione vs. di un curriculum), criteri specifici per l’implementazione nei diversi contesti, metodologie strutturate per integrare davvero il contributo degli studenti (non solo sentirli), e strumenti pratici per facilitare l’interazione e gestire le dinamiche di potere.
- Ispirarsi a Metodi Esistenti: Un approccio interessante menzionato è quello dei “Change Laboratory”. Si tratta di interventi strutturati, basati sulla teoria dell’attività, che usano “materiali specchio” (es. video di pratiche reali, incidenti critici) per stimolare una riflessione profonda e una riprogettazione collaborativa del lavoro. Potrebbero offrire un modello utile per rendere il co-design più sistematico e guidato dalla teoria.
- Più Ricerca (e Fatta Meglio): La ricerca attuale è spesso aneddotica, basata su auto-report, e manca di rigore metodologico. Non sappiamo molto sugli effetti a lungo termine del co-design, né sui processi di apprendimento che attiva. Servono studi più robusti (magari sperimentali controllati, o qualitativi approfonditi come analisi delle interazioni o studi fenomenologici) per isolare gli effetti del co-design, capire *come* funziona l’apprendimento in questi contesti e validare questa pratica su basi empiriche solide.

In Conclusione: Una Promessa da Mantenere
L’idea di avere studenti come co-designer nella formazione sanitaria è affascinante e promette di rendere l’educazione più efficace, coinvolgente e significativa. Tuttavia, siamo ancora agli inizi. C’è un gap enorme tra l’ideale e la pratica attuale, caratterizzata da frammentazione, mancanza di metodo e scarsità di prove empiriche robuste.
Perché questa “rivoluzione silenziosa” diventi una pratica consolidata e basata sull’evidenza, c’è bisogno di un impegno collettivo: ricercatori, docenti, istituzioni e studenti stessi devono lavorare insieme per sviluppare approcci più strutturati, rigorosi e sostenibili. Il potenziale c’è tutto, ora bisogna trasformarlo in realtà.
E voi, cosa ne pensate? Avete esperienze di co-design nella vostra formazione o insegnamento? Raccontatemelo nei commenti!
Fonte: Springer
