Fotografia ritratto di un adolescente, presumibilmente uno studente autistico, in un'aula scolastica. Il ragazzo guarda fuori dalla finestra con espressione pensierosa e contemplativa. Luce naturale illumina il suo volto. Lente prime da 35mm con profondità di campo ridotta, sfondo leggermente sfocato ma riconoscibile come ambiente scolastico. L'immagine evoca riflessione, speranza e la necessità di ascoltare la sua prospettiva. Portrait photography, prime lens, 35mm, depth of field, natural light, contemplative.

Scuola Superiore e Autismo: La Parola ai Ragazzi! Cosa Funziona (e Cosa No)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore: come vivono la scuola superiore i ragazzi e le ragazze nello spettro autistico. Spesso sentiamo parlare di autismo da esperti, insegnanti, genitori… ma quante volte ci fermiamo ad ascoltare *direttamente* loro, i protagonisti di questa esperienza? Beh, di recente mi sono imbattuto in una ricerca affascinante, una “scoping review” (cioè uno studio che mappa le ricerche esistenti) che ha fatto proprio questo: ha messo al centro le voci degli studenti autistici che frequentano le scuole superiori “normali”, quelle che in gergo tecnico chiamano “mainstream”. E quello che emerge è potente, a tratti difficile, ma assolutamente fondamentale.

Pensateci un attimo: in Australia, da dove parte lo studio ma con riflessi che sentiamo vicini anche qui, circa 1 persona su 100 ha una diagnosi di autismo. Molti di questi ragazzi frequentano le scuole di tutti, ma hanno tassi di abbandono scolastico più alti e risultati peggiori rispetto ai loro coetanei neurotipici. Perché? I motivi sono tanti: ambienti scolastici non adatti, insegnanti non sempre preparati, pregiudizi duri a morire legati a una visione “medica” che vede l’autismo solo come un deficit. E la cosa più assurda? Nonostante leggi internazionali e nazionali (anche in Italia abbiamo normative sull’inclusione) che dicono chiaramente di ascoltare i ragazzi, le loro voci restano spesso inascoltate nella ricerca e nella pratica educativa.

Questa revisione ha analizzato 13 studi pubblicati tra il 2002 e il 2022, tutti focalizzati sui racconti in prima persona degli studenti. E il quadro che ne esce, diciamocelo, non è roseo: i bisogni di questi ragazzi non vengono soddisfatti come dovrebbero. Ma invece di piangerci addosso, vediamo cosa ci dicono, perché dalle loro parole possiamo imparare tantissimo.

L’Ambiente Scolastico: Un Campo Minato Sensoriale (Ma Non Solo)

Una delle prime cose che salta all’occhio è l’impatto dell’ambiente fisico. Molti studenti descrivono la scuola superiore come rumorosa, caotica, affollata. Immaginate i corridoi al cambio dell’ora, le mense, i cortili… per alcuni, un vero incubo sensoriale. “C’è una coda lunghissima all’uscita, siamo tutti schiacciati”, racconta uno studente. Aule soffocanti dove è “difficile stare svegli… difficile pensare”. Il rumore che “mi fa perdere la concentrazione”, che fa sentire il cervello “come se si stesse smontando”. Addirittura, le campanelle “rumorose ed echeggianti” possono scatenare emicranie. Insomma, un sovraccarico costante.

Anche spazi meno “accademici”, come le palestre o gli spogliatoi per l’educazione fisica, sono fonti di ansia. Luci al neon, movimenti rapidi, rumori forti, fischietti, urla… e poi l’imprevedibilità dei compagni negli spogliatoi, descritta come angosciante da alcuni. Eppure, a volte, un piccolo spazio può fare la differenza: l’ufficio dell’insegnante di ginnastica, per qualcuno, diventa un rifugio sicuro, un posto dove “c’è sempre qualcuno con cui parlare, che ascolterà quello che hai da dire”.

Fotografia ritratto di un adolescente, studente autistico, che si sente sopraffatto in un corridoio scolastico affollato e rumoroso. Usa una lente prime da 35mm con profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo caotico. Stile duotone blu e grigio per accentuare il senso di ansia e isolamento. Depth of field, duotone (blue and grey).

E qui arriviamo alle strategie di sopravvivenza e alle richieste. Avere la possibilità di ritirarsi in spazi più tranquilli (biblioteche, giardini scolastici) grazie a “pass” o permessi speciali riduce stress e ansia. Il giardino diventa uno spazio “bello, rilassante”. Ascoltare musica con le cuffie, usare tappi per le orecchie… piccoli accorgimenti che aiutano a regolare le emozioni e a concentrarsi.

Un altro tasto dolente? La scrittura a mano. Per molti è faticosa, dolorosa (“mi fanno male le braccia quando scrivo molto”). Il computer, invece, è un alleato prezioso: “Al computer vado velocissimo… torno alla penna ed è come mettere un pinguino sulla terraferma”, spiega brillantemente uno studente. La tecnologia non è solo un aiuto per i compiti, ma anche un modo per restare connessi con gli amici, anche se le preferenze variano (messaggi vs. faccia a faccia).

Infine, il carico di lavoro. Scadenze ravvicinate, compiti a casa percepiti come eccessivi dopo una giornata già pesante a scuola. “Torno a casa così stanco che non riesco nemmeno a fare i compiti”. La casa diventa il luogo per decomprimere, per sfuggire al sovraccarico sensoriale e accademico. È fondamentale che la scuola ne tenga conto.

Comunicazione e Relazioni: Un Equilibrio Delicato

Le relazioni con insegnanti e compagni sono un altro nodo cruciale. Qui emergono le difficoltà legate agli stili comunicativi e sociali differenti. Come dice uno studente con una metafora potente: è come se la maggior parte delle persone fosse “sintonizzata sulla frequenza rossa”, mentre alcuni nascono sulla “frequenza blu”. Il blu interagisce bene con altri blu, ma per connettersi con il rosso, “il rosso deve capire il blu, altrimenti scappa via”.

Molti ragazzi raccontano la fatica nel parlare con gli altri: la paura di fraintendere i segnali sociali, non sapere come iniziare o finire una conversazione. Alcuni sviluppano strategie come prepararsi degli “script” o pensare ad argomenti che possano interessare i coetanei.

Con gli insegnanti, la differenza la fa l’atteggiamento. Non piacciono i prof autoritari, rigidi, “cattivi”, che urlano o trattano gli studenti con condiscendenza (“ti dicono di andare a sederti da solo finché non stai bene”). Spesso, dietro questi atteggiamenti, c’è una scarsa conoscenza dell’autismo: “Gli insegnanti non sono abbastanza formati o non capiscono”. Al contrario, vengono apprezzati gli insegnanti gentili, giusti, empatici, con cui si può parlare “come con un altro studente”, che sanno ascoltare, sono coerenti e magari hanno anche senso dell’umorismo.

Con i compagni, le esperienze sono variegate. C’è chi vede la scuola superiore come un’opportunità per fare amicizia e imparare le dinamiche sociali. Ma purtroppo, molti raccontano di isolamento, esclusione e bullismo. Sentirsi etichettati (“ritardato”, “spastico”), esclusi (“Mi considerano una me**a, praticamente… Entro da qualche parte e mi dicono solo di andarmene a f*****o”), presi di mira perché “diversi”. Avere anche solo un amico con cui condividere interessi fa un’enorme differenza, fa sentire parte di qualcosa, “non un solitario o uno sfigato”. Attività strutturate, come giocare a calcio o a tennis durante la pausa, possono aiutare a creare connessioni.

Fotografia ritratto di un adolescente, studente autistico, seduto in un angolo tranquillo della biblioteca scolastica, assorto nella lettura. Lente prime da 50mm, profondità di campo ridotta per isolare il soggetto. Luce morbida e calda che crea un'atmosfera calma e concentrata. Depth of field, warm tones, soft light.

Inclusione Reale vs. Esclusione Mascherata

Tutti gli studi toccano il tema dell’inclusione (o della sua mancanza) in classe. Tra le barriere: lezioni troppo frontali (“teacher talk”), carichi di lavoro eccessivi, lezioni noiose. Ma anche essere “aiutati” in modo troppo evidente da insegnanti o assistenti, cosa che fa sentire diversi ed esposti (Humphrey e Lewis, 2008; Saggers et al., 2011). E poi, ancora, la scarsa consapevolezza sull’autismo e l’essere derisi in classe.

Cosa facilita invece un’esperienza positiva?

  • Insegnanti che creano un ambiente supportivo e inclusivo per tutti: calmi, amichevoli, disponibili, buoni ascoltatori, strutturati, coerenti e giusti.
  • Insegnanti flessibili, con senso dell’umorismo, che rendono l’apprendimento divertente.
  • Il lavoro di gruppo, quando ben strutturato, perché offre occasioni per collaborare e costruire legami.

Al contrario, sono un ostacolo gli insegnanti con scarse capacità di gestione della classe, senza routine prevedibili, o poco reattivi ai bisogni degli studenti (“quando non si prendono il loro tempo e vanno veloci… quando scrivono un sacco di cose alla lavagna da copiare […] diventa troppo complicato”).

Cosa Possiamo Imparare (e Fare)?

Questa revisione ci sbatte in faccia una realtà: nonostante le buone intenzioni, le scuole superiori “normali” spesso non sono progettate per accogliere la neurodiversità. L’ambiente fisico è un ostacolo enorme, così come la mancanza di comprensione e gli stereotipi che portano a isolamento e sofferenza.

Ma la soluzione non è ghettizzare. È trasformare la scuola “normale” in una scuola *davvero* per tutti. Come?

  • Ascoltando attivamente gli studenti autistici: sono loro gli esperti della loro esperienza. Coinvolgiamoli nella pianificazione dei loro percorsi (PEI/PDP), nelle decisioni che li riguardano.
  • Adattando l’ambiente: prevedere spazi tranquilli per decomprimere, ridurre il rumore dove possibile, offrire flessibilità (es. uso della tecnologia vs. scrittura a mano).
  • Formando gli insegnanti: non solo sull’autismo in generale, ma sulle strategie pratiche per creare classi inclusive, gestire la sensorialità, supportare la comunicazione e le relazioni sociali.
  • Promuovendo una cultura dell’inclusione tra pari: sensibilizzare i compagni, combattere attivamente il bullismo.
  • Rendendo l’apprendimento più flessibile e coinvolgente: usare gli interessi specifici degli studenti come leva per l’apprendimento, alleggerire il carico di compiti non essenziali, dare più tempo se necessario, supportare senza stigmatizzare.

Fotografia di persone in un contesto scolastico. Un piccolo gruppo di adolescenti, tra cui uno studente autistico riconoscibile per un atteggiamento magari più concentrato o con cuffie, che collabora positivamente con un insegnante in un'aula luminosa. Lente zoom 24-70mm, profondità di campo media per includere il contesto. Luce naturale che entra dalle finestre. Focus sulla collaborazione e interazione positiva. Depth of field, natural light, positive interaction.

La ricerca ci dice che usare metodi di raccolta dati che vadano oltre le interviste tradizionali (come foto-racconto, diari, disegni) può aiutare a far emergere meglio le voci di questi ragazzi.

Insomma, la strada per una scuola davvero inclusiva e “autism-friendly” passa necessariamente dall’ascolto e dalla collaborazione *con* gli studenti autistici. Non sono solo “oggetti” di studio o di intervento, ma soggetti attivi, co-creatori di conoscenza sulla loro stessa condizione. È ora di prenderli sul serio e lavorare insieme per costruire una scuola dove ognuno possa sentirsi accolto, compreso e messo nelle condizioni di esprimere il proprio potenziale. Non è solo un loro diritto, è un arricchimento per tutti.

Fonte: Springer

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