Ritratto intenso di una giovane donna di origine asiatica con camice bianco da medico, guarda determinata verso l'obiettivo, sfondo sfocato di un ambiente clinico moderno, luce drammatica laterale stile film noir che evidenzia i contorni del viso, obiettivo 50mm prime lens, profondità di campo ridotta.

Medicina nel Regno Unito: Il Percorso a Ostacoli delle Studentesse Asiatiche che Nessuno Racconta

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi dentro una realtà che spesso rimane nascosta tra le pieghe del prestigioso mondo accademico della medicina: le esperienze delle studentesse di origine asiatica nel Regno Unito. Sembra un percorso dorato, vero? Studiare per diventare medico è il sogno di tanti. Ma cosa succede quando il tuo background etnico e il tuo genere diventano, implicitamente o esplicitamente, un ostacolo?

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante, un’analisi fenomenologica interpretativa (che parolona, eh? Ma significa semplicemente cercare di capire a fondo le esperienze vissute dalle persone) che ha dato voce a cinque studentesse di medicina al quarto anno, tutte di origine asiatica, in un’università britannica. E quello che emerge è un quadro complesso, a tratti doloroso, ma assolutamente necessario da conoscere.

Discriminazione Nuda e Cruda: Quando le Parole e i Gesti Feriscono

Parliamoci chiaro: la discriminazione esiste, ed è tangibile. Le ragazze intervistate hanno raccontato episodi di razzismo e sessismo belli e buoni, sia dentro che fuori le aule universitarie e i reparti ospedalieri. Immaginatevi sentirvi dire da un paziente che “puzzate” (uno stereotipo razziale disgustoso), o vedere un consulente medico che invita solo i colleghi maschi a seguirlo in sala visita, lasciando fuori sistematicamente una studentessa asiatica. Come racconta Belinda: “È successo più volte… non mi sentivo a mio agio in quella situazione”.

A volte si arriva persino agli insulti razziali, come la terribile “P slur” (un termine dispregiativo per le persone di origine pakistana), usata con una leggerezza sconcertante, come riporta Pluto: “A volte le persone usano insulti e non pensano sia un grosso problema”. Queste esperienze non sono solo umilianti, ma generano paura e insicurezza, tanto da portare alcune studentesse a evitare determinate aree geografiche, specialmente quelle rurali, percepite come più rischiose. Olivia è categorica: “So per certo che personalmente non farei domanda per nessuna area rurale. Non sai come potrebbe essere il vicinato”.

Ma la discriminazione non è sempre così sfacciata. A volte si maschera da commento apparentemente innocuo, quasi positivo, che però mette a disagio. Mayan racconta di un medico di base donna che, di fronte a un paziente anziano che doveva spogliarsi, ha commentato: “Ohh, non sei fortunato ad avere 4 ragazze qui mentre ti spogli?”. Un rinforzo di stereotipi di genere che fa sentire le studentesse profondamente a disagio.

Fotografia ritratto di una giovane studentessa di medicina di origine asiatica in un corridoio di ospedale, espressione pensierosa e leggermente preoccupata, luce soffusa laterale che crea ombre morbide, obiettivo 35mm, profondità di campo ridotta per isolare il soggetto dallo sfondo clinico sfocato.

Le “Punturine” Sottili: Microaggressioni e Microinequità

Spesso, però, il problema non sono gli episodi eclatanti, ma quelle che vengono chiamate microaggressioni e microinequità. Sono quei commenti, quei gesti, quelle esclusioni sottili, quasi impercettibili, che però giorno dopo giorno scavano dentro. Pensate a una studentessa che, pur conducendo lei il colloquio con il paziente, vede quest’ultimo rivolgersi costantemente al collega maschio. Belinda lo descrive bene: “…anche se ero io a fare il consulto, guardavano il collega maschio e rispondevano a lui”.

Queste situazioni sono subdole perché ti fanno dubitare di te stessa. Olivia esprime perfettamente questa sensazione: “È così sottile, sono solo io che sono sensibile o dovrei davvero sentirmi strana per questo?”. Un’altra esperienza comune? Essere scambiate per infermiere. Tutte le studentesse intervistate hanno menzionato questa frustrazione, il dover continuamente chiarire il proprio ruolo, cosa che ai loro colleghi maschi non capita quasi mai. “C’è sempre uno o due pazienti che chiedono: ‘Oh, lei è l’infermiera, dov’è il dottore?’, succede abbastanza spesso”, dice Belinda. Sembra una piccolezza, ma ripetuta all’infinito diventa logorante.

Il Prezzo da Pagare: L’Impatto su Identità e Benessere

E tutto questo, capite bene, lascia il segno. Un segno profondo sull’autostima, sulla fiducia in sé stesse e persino sull’identità. Lucy, dopo la lamentela di un paziente sul suo presunto odore, ha confessato: “Mi sono messa in discussione e dubitavo un po’ di me stessa ed ero un po’ turbata… Nelle successive una o due settimane in medicina generale, non ho esaminato pazienti, ho solo raccolto anamnesi perché ero un po’ cauta, credo”. Questo tipo di esperienze porta a chiudersi, a partecipare meno attivamente durante i tirocini clinici, a non fare domande per paura di sbagliare o di attirare attenzioni negative.

Si arriva persino a desiderare di essere diversi. Pluto ammette candidamente: “Ci sono state volte in cui pensi solo a te stessa. Se fossi un uomo bianco, sarebbe tutto molto più facile”. Questo sentimento porta molte a sentire il bisogno di “cambiare pelle”, di adottare una “seconda faccia”, come dice Mayan: “Penso di dover cambiare consapevolmente i miei modi”. O come Belinda: “Probabilmente penso che devi cambiarti molto… adattarti come modellarti per integrarti”. Pluto aggiunge: “Devo stare molto attenta a come mi presento alle diverse persone… Sento di dover scegliere i miei modi e le mie parole con molta, molta attenzione in modo da essere più ‘digeribile’, quasi”. È una fatica enorme dover costantemente monitorare e modificare il proprio comportamento.

Primo piano macro su un quaderno di appunti aperto su una scrivania in una stanza studentesca, alcune righe scritte a mano sono visibili ma sfocate, una penna è appoggiata accanto, luce controllata da una lampada da tavolo che illumina solo una parte della pagina, messa a fuoco precisa sui dettagli della carta e della penna, obiettivo macro 90mm, atmosfera intima e riflessiva.

Navigare nel Sistema: Reazioni, Resilienza e Ricerca di Supporto

Come si reagisce a tutto questo? Spesso, purtroppo, con una combinazione di perseveranza, tolleranza e accettazione. Le dinamiche di potere giocano un ruolo enorme. Quando la discriminazione, anche sottile, viene ignorata o persino condonata da un medico senior o da un supervisore, è difficile farsi avanti. Mayan spiega: “Quando il tuo dottore o il tuo capo trova un comportamento accettabile, e tu sei l’ultima nella gerarchia lì, non vuoi distinguerti ed essere la persona che tutti pensano sia troppo sensibile”. Si finisce per minimizzare, per convincersi che non valga la pena sollevare la questione, specialmente durante tirocini brevi.

Questo porta a un senso di solitudine, aggravato quando nemmeno i propri pari intervengono. “Se pensi che sia sbagliato, non sai se tutti gli altri la pensano così, e se sei solo tu a rimuginare su un problema”, dice Mayan. C’è anche la sensazione opprimente di non rappresentare solo sé stesse, ma l’intero gruppo di donne con background simile. Sbagliare diventa un lusso che non ci si può permettere.

Tuttavia, non è solo rassegnazione. C’è una forte determinazione a andare avanti, a lavorare sodo, anche se si percepisce di dover faticare il doppio dei colleghi maschi bianchi per ottenere le stesse opportunità, specialmente in specialità dominate dagli uomini come la chirurgia. Olivia ne è consapevole: “…personalmente penso che probabilmente dovrei lavorare un po’ di più”.

Un barlume di speranza viene dalla presenza di modelli di ruolo positivi. Vedere medici affermati, specialmente donne, con un background simile al proprio, è fonte di ispirazione e dà un senso di appartenenza. Lucy lo descrive con entusiasmo: “Ero così emozionata quando l’ho vista [una chirurga asiatica], c’è qualcuno che mi assomiglia, è anche donna. E quella potrebbe essere qualcuno a cui posso aspirare”. Anche la compagnia di amici con background simili aiuta: “Quando sono con altre persone di minoranze etniche… so che abbiamo una certa comprensione”, confida Pluto.

Guardare Avanti: Cosa Chiedono le Studentesse e Cosa Possiamo Fare

Ma queste studentesse non si limitano a subire o a sperare. Hanno aspettative e propongono soluzioni concrete. Chiedono innanzitutto parità di trattamento. Pluto lo dice chiaramente: “So cosa mi fa sentire molto meglio è quando vengo inclusa e trattata come gli altri studenti di medicina”. Sentirsi parte del team, specialmente in ambienti di lavoro più diversi, fa un’enorme differenza per l’apprendimento e il benessere.

Cosa suggeriscono?

  • Formazione specifica: Seminari per aumentare la consapevolezza culturale e religiosa, sia per gli studenti che per il personale. Pluto suggerisce: “Penso sia solo prendersi il tempo per educare sé stessi… cercare di capire perché le persone si comportano in un certo modo”.
  • Canali di segnalazione sicuri e anonimi: Un’app o un sistema dedicato per condividere esperienze, ricevere supporto e rendere l’università consapevole di questi incidenti. Olivia immagina: “Un’app o un percorso che gli studenti possono davvero usare per sollevare il problema se lo incontrano”.
  • Trasparenza: Quando viene presentata una lamentela, è importante che le studentesse sappiano come è stata gestita la situazione. Belinda sottolinea: “Penso che sarebbe stato abbastanza buono se ci avessero detto cosa è successo con il consulente… ti fa sentire più convalidata”.

Fotografia di un gruppo eterogeneo di studenti di medicina (asiatici, bianchi, neri, uomini e donne) che discutono animatamente ma in modo collaborativo attorno a un tavolo in una sala studio moderna e luminosa, alcuni sorridono, altri ascoltano attentamente, obiettivo zoom 35mm per catturare l'interazione, luce naturale dalle finestre.

Perché Tutto Questo è Importante: Intersezionalità e Implicazioni

Questo studio è prezioso perché utilizza la lente dell’intersezionalità. Non si tratta solo di essere donna, o solo di essere asiatica. Si tratta di come queste due identità si intersecano e creano esperienze uniche di discriminazione. A volte prevale il sessismo (come negli ambienti chirurgici), altre volte il razzismo (magari in contesti meno multiculturali), ma spesso agiscono insieme, cumulandosi e avendo un impatto devastante sul benessere, sull’apprendimento e, potenzialmente, sulla futura carriera di queste giovani donne.

È il primo studio nel Regno Unito ad affrontare specificamente questo incrocio di esperienze per le studentesse di medicina asiatiche usando questa prospettiva. E ci dice che c’è un bisogno urgente che le scuole di medicina prendano sul serio queste problematiche. Non basta avere più studenti da background diversi; bisogna creare un ambiente in cui possano davvero prosperare, sentirsi al sicuro, supportati e valorizzati per quello che sono.

Le raccomandazioni dello studio sono chiare: serve un approccio proattivo, che includa cambiamenti nel curriculum fin dai primi anni, meccanismi di supporto efficaci e trasparenti, promozione di modelli di ruolo positivi e forse anche tirocini più lunghi per costruire relazioni più solide con i supervisori.

Insomma, la strada per una medicina davvero inclusiva è ancora lunga. Ma ascoltare queste voci, capire le loro esperienze, è il primo, fondamentale passo per iniziare a cambiare le cose. Dobbiamo farlo, per loro e per il futuro di una sanità più equa per tutti.

Fonte: Springer

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