Immagine concettuale che mostra due metà di un volto di studente universitario. Metà sinistra: espressione concentrata e pensierosa, sfondo di libri e lavagna (identità studente). Metà destra: espressione più esigente o transazionale, sfondo con simboli di denaro o carrello della spesa (identità cliente). Obiettivo 50mm, illuminazione drammatica con contrasto tra le due metà, stile duotone blu e grigio.

Studente o Cliente? Come ti vedi all’Università Cambia (Quasi) Tutto!

Ciao a tutti! Oggi voglio chiacchierare con voi di qualcosa che mi ronza in testa da un po’, qualcosa che riguarda da vicino la vita di noi universitari. Vi siete mai chiesti se vedervi principalmente come “studenti” o come “clienti” dell’università faccia davvero la differenza? Beh, sembra proprio di sì, e non poco! Ho messo il naso in una ricerca affascinante che ha provato a capirci qualcosa di più, e i risultati sono… beh, diciamo che fanno riflettere.

Chi Sei all’Università? Studente o Cliente?

Partiamo dalle basi. Viviamo in un’epoca in cui le università, diciamocelo, assomigliano sempre più ad aziende. Si parla di “mercato dell’istruzione”, di competizione per accaparrarsi iscritti, di servizi da offrire. È quasi inevitabile che inizi a serpeggiare l’idea dello studente-cliente, qualcuno che paga per un servizio (la formazione) e si aspetta determinati risultati, magari con il minimo sforzo, un po’ come quando compriamo un prodotto.

Dall’altra parte, c’è l’identità più “classica”, quella dello studente puro. Quello che si immerge nello studio per il piacere di imparare, che vuole crescere, sviluppare pensiero critico, che si sente parte di una comunità accademica.

La ricerca che ho sbirciato (condotta su 453 studenti universitari, mica pochi!) ha misurato proprio quanto ci identifichiamo con questi due “ruoli”. La buona notizia? In generale, ci sentiamo ancora più studenti che clienti. Tiriamo un sospiro di sollievo? Forse, ma non corriamo troppo.

L’Identità da Studente: La Strada Maestra (Sembra)

Qui le cose si fanno interessanti. La ricerca ha messo in luce un legame forte e positivo tra il sentirsi “studenti” e tutta una serie di cose belle:

  • Apprendimento Profondo: Chi si identifica di più come studente tende ad adottare un approccio allo studio più profondo. Significa che non ci si limita a memorizzare le cose per l’esame (il cosiddetto apprendimento superficiale), ma si cerca di capire davvero, di collegare i concetti, di trovare un significato personale in quello che si studia. È l’apprendimento che ti forma davvero.
  • Intenzione di Continuare: Sentirsi parte del mondo accademico come studenti aumenta la voglia di proseguire gli studi. Logico, no? Se ti senti nel posto giusto, vuoi restarci.
  • Benessere Psicologico: Ebbene sì, identificarsi come studente fa bene anche all’anima! È associato a emozioni più positive, maggiore autostima e soddisfazione per la vita.
  • Meno Propensione a Imbrogliare: Chi si sente studente tende ad avere un atteggiamento meno favorevole verso l’imbrogliare agli esami. Coerente con l’idea di uno studio basato sull’impegno e sulla crescita personale, non sulla scorciatoia.
  • Meno Apprendimento Superficiale: Di conseguenza, chi si sente studente è meno incline a studiare solo per “passare l’esame”, memorizzando a pappagallo senza capire a fondo.

Insomma, l’identità da studente sembra la ricetta perfetta per un’esperienza universitaria ricca, formativa e gratificante.

Primo piano di uno studente universitario sorridente e concentrato mentre legge un libro in una biblioteca luminosa e moderna. Obiettivo prime 50mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco lo studente e sfocare leggermente gli scaffali sullo sfondo, luce naturale laterale, alta definizione.

E Se Mi Sento un Cliente? Attenzione ai Rischi…

Ora, capovolgiamo la medaglia. Cosa succede quando prevale l’identità da “cliente”? I risultati della ricerca qui sono meno incoraggianti, anzi.

  • Più Apprendimento Superficiale: Identificarsi come cliente è risultato legato a un approccio allo studio più superficiale. L’obiettivo sembra diventare il “pezzo di carta” ottenuto con il minimo sforzo, piuttosto che la comprensione reale. Si punta all’efficienza della memorizzazione, non alla profondità.
  • Atteggiamento più Favorevole all’Imbroglio: Coerentemente, chi si vede come cliente sembra più incline a giustificare o considerare l’idea di imbrogliare. Forse perché l’università è vista come un “servizio” da cui ottenere il massimo risultato (il voto) con il minimo “costo” (l’impegno)? È un’ipotesi.

Da sola, l’identificazione come cliente non sembrava legata né all’apprendimento profondo né al benessere psicologico. Anzi, altre ricerche suggeriscono che possa portare a incolpare di più i docenti per i propri insuccessi e, alla lunga, a una minore soddisfazione. Sembra quasi un’identità “incompatibile” con la realtà dell’impegno richiesto dallo studio universitario.

Ma C’è un “Ma”: Il Potere delle Norme

Attenzione però, non è tutto così netto. La ricerca ha aggiunto un pezzo importante al puzzle: le norme sociali percepite. Cosa significa? Semplicemente, cosa pensiamo che facciano o pensino “gli altri” all’università riguardo allo studio.

E qui salta fuori la sorpresa: l’identità da cliente non è sempre “dannosa”. Se uno studente si identifica come cliente, MA percepisce che nell’ambiente universitario la norma è l’apprendimento profondo (cioè, crede che la maggior parte degli altri studenti si impegni seriamente per capire a fondo), allora le cose cambiano! In questo caso specifico:

  • Anche l’identificazione come cliente può portare a un maggiore apprendimento profondo.
  • Anche l’identificazione come cliente può associarsi a un migliore benessere psicologico (più soddisfazione, più autostima, meno depressione).

È come se la forza della norma (“qui si studia sul serio!”) riuscisse a “correggere” le potenziali derive negative dell’identità da cliente. Se tutti intorno a te remano verso la comprensione profonda, anche se ti senti un “cliente”, sei spinto in quella direzione. Questo ci dice quanto sia fondamentale l’ambiente che respiriamo in ateneo!

Gruppo diversificato di studenti universitari che collaborano attorno a un tavolo in un'aula studio moderna. Alcuni discutono, altri prendono appunti. Obiettivo zoom 24-70mm per catturare l'interazione, luce ambientale brillante, focus nitido sui volti e sul materiale di studio, senso di impegno collettivo.

Complicazioni e Scoperte Inattese

Ovviamente, la realtà è complessa. La ricerca ha mostrato anche cose un po’ strane. Per esempio, sembra che noi studenti percepiamo che la norma più diffusa sia… l’apprendimento superficiale! Un po’ un controsenso, visto che poi diciamo di preferire quello profondo. E l’identificazione come studente era legata positivamente anche alla percezione di norme superficiali (oltre che a quelle profonde). Un bel groviglio!

Forse bisogna distinguere tra ciò che pensiamo facciano gli altri (norma descrittiva) e ciò che pensiamo si dovrebbe fare (norma ingiuntiva). Magari pensiamo che molti studino superficialmente, ma che l’ideale *sarebbe* studiare a fondo.

Un’altra cosa curiosa: sentirsi studenti e sentirsi clienti non sono due cose opposte che si escludono a vicenda. Anzi, nello studio erano leggermente correlate positivamente! Esistono studenti “ibridi”, forse quelli che riescono a conciliare l’interesse per lo studio con le prospettive di carriera (i cosiddetti “strivers”, come li chiamano alcuni ricercatori). E indovinate un po’? Sembra che proprio questa combinazione (alta identificazione sia come studente sia come cliente) porti ai risultati migliori in termini di apprendimento e benessere!

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Alla fine della fiera, cosa ci dice questa ricerca? Secondo me, il messaggio chiave è potente: come ci vediamo all’interno dell’università ha un impatto enorme sul nostro modo di studiare, sul nostro benessere e persino sulla nostra onestà accademica.

Identificarsi come studente sembra ancora la strada migliore per un percorso universitario ricco e soddisfacente. Ma l’identità da cliente, sempre più presente nel nostro immaginario (e forse incoraggiata da certe politiche universitarie), porta con sé dei rischi non indifferenti.

La buona notizia è che non tutto è perduto nemmeno per chi si sente più “cliente”. La chiave sembra essere l’ambiente e le norme che si respirano. Se un’università, pur magari adottando logiche di mercato, riesce a promuovere e rendere visibile una forte cultura dell’apprendimento profondo, allora può mitigare gli effetti negativi e persino trarre benefici.

È una bella responsabilità per le università, non trovate? Non basta offrire “servizi”, bisogna coltivare un ambiente in cui sentirsi “studenti” – nel senso più nobile del termine – sia la norma, l’aspirazione condivisa. E per noi studenti? Beh, forse vale la pena riflettere su “chi siamo” in questo percorso e su cosa vogliamo davvero ottenere da questi anni fondamentali. Vogliamo essere solo consumatori di nozioni o costruttori attivi del nostro sapere e del nostro futuro? Io, una mezza idea, ce l’avrei… e voi?

Fonte: Springer

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