Primo piano di un dentista che utilizza uno strumento odontoiatrico con rivestimento scuro (DLC) per modellare un restauro diretto su un dente molare in un ambiente clinico simulato (testa fantoccio). Luce operatoria focalizzata, profondità di campo ridotta per isolare l'azione, lente prime 35mm, alta definizione.

Strumenti Odontoiatrici e Restauri Diretti: Qualità e Porosità Dipendono Davvero da Loro?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che sta molto a cuore a noi dentisti (e, di riflesso, ai nostri pazienti): la qualità e la durata dei restauri diretti, quelle che comunemente chiamiamo otturazioni. Sapete, circa il 60% delle otturazioni che facciamo sono in realtà sostituzioni di vecchi lavori. E i motivi principali? Spesso sono le carie secondarie (quelle che si formano vicino al bordo dell’otturazione) e le fratture del materiale o del margine.

Il Problema dell’Adesività e delle Imperfezioni

Vi siete mai chiesti perché si formano queste carie secondarie? Spesso è colpa di piccoli “gap”, degli spazietti tra dente e restauro, magari dovuti a una compattazione non perfetta del materiale composito, al suo ritiro durante l’indurimento (polimerizzazione) o a una luce non adeguata per farlo indurire bene. Questi gap diventano un nido perfetto per i batteri.

Ma non solo: una superficie ruvida dell’otturazione può accumulare più placca, infiammare la gengiva e, diciamocelo, dare fastidio alla lingua del paziente. E poi c’è la porosità interna: piccoli vuoti nel materiale che possono indebolirlo, rendendolo più suscettibile alle fratture e favorendo l’assorbimento di acqua, che a lungo andare lo degrada.

Qui entra in gioco un fattore cruciale: gli strumenti che usiamo per modellare (contornare) il materiale da restauro. Se lo strumento è troppo “appiccicoso”, rischia di tirare via un po’ di materiale dalla parete del dente o dallo strato precedente mentre lo modelliamo, creando proprio quei gap o quelle porosità che vogliamo evitare! L’acciaio tradizionale, che usiamo da sempre, ha una certa tendenza ad attaccarsi ai compositi. Per questo sono stati introdotti strumenti “non-stick”, antiaderenti. Ma funzionano davvero meglio? Migliorano la qualità immediata del restauro e ne riducono la porosità?

L’Esperimento: Strumenti e Materiali a Confronto

Per capirci qualcosa di più, abbiamo partecipato a uno studio interessante. Abbiamo preso 15 molari umani estratti (tranquilli, per motivi di routine!) e preparato 30 cavità di Classe II (quelle tra dente e dente) e 10 di Classe V (vicino alla gengiva). Cinque dentisti volontari (alcuni neolaureati, altri specializzandi, ma tutti con la stessa formazione di base sulla terapia conservativa) hanno eseguito i restauri.

Abbiamo messo alla prova tre tipi di strumenti per modellare:

  • Strumenti convenzionali in acciaio (LM ErgoSense®)
  • Strumenti con punta in silicone monouso (OptraSculpt®)
  • Strumenti con rivestimento antiaderente in carbonio simile al diamante (DLC – LM ErgoSense Dark Diamond®)

E abbiamo usato tre materiali da restauro comuni:

  • Un composito nanoriempito (Filtek Supreme XTE®)
  • Un composito nanohybrid a base di ceramica modificata organicamente (ormocer – Admira Fusion®)
  • Un cemento vetroionomero rinforzato con resina e fotopolimerizzabile (Fuji II LC®)

Abbiamo lavorato su una testa fantoccio per simulare l’ambiente clinico e seguito protocolli standard per l’adesione e la polimerizzazione. Importante: non abbiamo lucidato i restauri interprossimali per non introdurre difetti artificiali. Dopo almeno 24 ore, abbiamo analizzato tutto con uno stereomicroscopio e, soprattutto, con la micro-tomografia computerizzata (micro-CT), una specie di TAC super dettagliata che ci permette di vedere in 3D anche i più piccoli gap e le porosità interne.

Primo piano macro di uno strumento odontoiatrico in acciaio convenzionale accanto a un dente molare con una cavità preparata. Illuminazione controllata da studio, alta definizione, lente macro 90mm.

Cosa Abbiamo Scoperto sugli Strumenti?

E qui arriva il bello! Abbiamo valutato la qualità immediata dei restauri, cercando gap marginali superiori a 250 micrometri o superfici molto ruvide. Ebbene, la differenza si è vista, soprattutto con i compositi (Filtek e Admira).

Guardate un po’: usando gli strumenti tradizionali in acciaio, ben la metà (5 su 10) dei restauri in composito presentava difetti considerati “inaccettabili”. Con gli strumenti con punta in silicone, la situazione migliorava un po’ (solo 2 su 10 inaccettabili), ma la differenza con l’acciaio non era statisticamente significativa. Ma la vera sorpresa sono stati gli strumenti con rivestimento DLC (diamantato): nessuno dei 10 restauri fatti con questi strumenti è risultato inaccettabile! La differenza tra strumenti DLC e acciaio era statisticamente significativa (p=0.033).

Questo suggerisce che il rivestimento antiaderente DLC aiuta davvero a ottenere un adattamento marginale migliore, probabilmente perché “tira” meno il materiale durante la modellazione. Quindi, la nostra prima ipotesi (che gli strumenti non-stick non influenzassero la qualità) è stata parzialmente smentita per quanto riguarda la qualità immediata dei compositi.

Tuttavia, quando abbiamo guardato la porosità interna e il numero di pori, non abbiamo trovato differenze significative legate al tipo di strumento utilizzato. Né per i compositi, né per il vetroionomero. Sembra quindi che, almeno in questo studio, lo strumento influenzi più l’adattamento marginale che la compattezza interna del materiale.

Fotografia comparativa di tre strumenti per contornare restauri dentali: uno in acciaio, uno con punta in silicone, uno con rivestimento nero diamantato (DLC). Disposti su un vassoio sterile, illuminazione da studio, alta definizione, lente macro 60mm.

E la Porosità? Questione di Materiale!

Se gli strumenti non sembrano incidere sulla porosità, lo stesso non si può dire dei materiali! Qui le differenze sono state enormi e statisticamente molto significative.

Il materiale che ha mostrato la maggiore porosità e il maggior numero di pori è stato, di gran lunga, il cemento vetroionomero Fuji II LC® (porosità media 1.113%). A seguire, il composito ormocer Admira Fusion® (0.144%). Il materiale nettamente meno poroso è risultato il composito nanoriempito Filtek Supreme XTE® (solo 0.005% di porosità!).

Le differenze erano significative tra tutti e tre i materiali. Il Fuji II LC era circa 223 volte più poroso del Filtek Supreme XTE e quasi 8 volte più poroso dell’Admira Fusion. Anche l’Admira Fusion era significativamente più poroso (circa 29 volte) del Filtek Supreme XTE.

Questo è importante perché, come dicevamo, una maggiore porosità può teoricamente compromettere le proprietà meccaniche e la longevità del restauro. Anche se la porosità riscontrata nei due compositi era generalmente bassa (ben al di sotto dei livelli considerati critici in altri studi, che vanno dallo 0.5% al 4%), la differenza tra loro è notevole. Il Filtek Supreme XTE sembra avere una struttura intrinsecamente più compatta o essere più facile da manipolare senza introdurre vuoti.

Quindi, la nostra seconda ipotesi (che il tipo di materiale non influenzasse qualità e porosità) è stata anch’essa parzialmente smentita: il materiale ha un impatto enorme sulla porosità interna!

Immagine da micro-CT che mostra la sezione trasversale di un restauro dentale, evidenziando piccole aree scure che rappresentano la porosità interna. Alta risoluzione, contesto scientifico.

Altri Fattori e Considerazioni

Un dato interessante: non abbiamo trovato differenze significative nella qualità dei restauri tra i diversi dentisti che hanno partecipato. Questo suggerisce che, almeno con questi materiali e strumenti, l’abilità individuale (tra operatori comunque qualificati) potrebbe non essere il fattore predominante per i difetti macroscopici o la porosità, anche se sappiamo che nella pratica clinica l’esperienza conta eccome.

Abbiamo anche notato la presenza di piccoli difetti marginali (sotto i 250 micrometri) in circa due terzi dei restauri in composito. La loro rilevanza clinica è dibattuta: alcuni studi suggeriscono che servano gap più grandi per favorire la carie secondaria, altri che anche gap piccoli (30-60 micrometri) possano avere un ruolo. Di certo, possono macchiarsi e portare a diagnosi errate.

Cosa Portiamo a Casa?

Questo studio, pur con i suoi limiti (campione piccolo di dentisti, possibile scarsa familiarità con alcuni strumenti), ci lascia alcuni spunti importanti:

  • Gli strumenti antiaderenti, in particolare quelli con rivestimento DLC, sembrano davvero ridurre il rischio di difetti marginali macroscopici nei restauri in composito rispetto all’acciaio tradizionale. Potrebbe valere la pena considerarli più spesso nella pratica quotidiana.
  • La porosità interna del restauro dipende moltissimo dal materiale scelto. I cementi vetroionomeri rinforzati con resina mostrano una porosità significativamente maggiore rispetto ai compositi. Tra i compositi testati, il Filtek Supreme XTE è risultato notevolmente meno poroso dell’Admira Fusion.
  • La scelta dello strumento non sembra invece influenzare significativamente la porosità interna del restauro.

Ovviamente, servono ulteriori ricerche, magari studi clinici randomizzati e controllati (anche se difficili da realizzare su questo tema specifico), per confermare questi risultati e capire l’impatto a lungo termine sulla durata dei restauri. Ma intanto, abbiamo qualche indicazione in più per scegliere i nostri “ferri del mestiere” e i materiali, con l’obiettivo di offrire restauri sempre più precisi e durevoli. E voi, che strumenti preferite usare?

Fonte: Springer

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