Fotografia di danza, una ballerina contemporanea in una posa che mostra estrema flessibilità (es. grand écart) ma con un'espressione di potenza controllata, in uno studio di danza moderno. Obiettivo prime 50mm, profondità di campo media, illuminazione drammatica laterale, bianco e nero con alto contrasto.

Stretching per Ballerini: Flessibilità Sì, Ma Occhio al Cronometro!

Ciao a tutti, appassionati di movimento e danza! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che sta a cuore a ogni ballerino: lo stretching. Sappiamo tutti quanto sia fondamentale la flessibilità per eseguire quelle linee mozzafiato e quei movimenti fluidi che caratterizzano la danza contemporanea. Ma c’è sempre quel piccolo tarlo: fare troppo stretching prima di salire sul palco o durante l’allenamento può compromettere la potenza esplosiva dei salti o la stabilità del nostro equilibrio? È una domanda che ci siamo posti tutti, vero?

Beh, ho messo il naso in uno studio scientifico super interessante che ha cercato di fare un po’ di chiarezza proprio su questo dilemma. Hanno preso un gruppo di ballerini di danza contemporanea a livello universitario – gente che si allena seriamente, insomma – e hanno messo alla prova tre tipi diversi di stretching: quello statico (SS), quello dinamico (DS) e la facilitazione neuromuscolare propriocettiva (PNF), una tecnica un po’ più complessa ma molto efficace. L’obiettivo? Capire come questi metodi influenzano nell’immediato la flessibilità, la potenza (misurata con il salto verticale, il famoso Countermovement Jump o CMJ) e l’equilibrio (usando il Y-Balance Test, o YBT). Ma non solo! La parte più intrigante è che hanno anche indagato quanto tempo durano gli effetti sulla flessibilità. Perché, ammettiamolo, sapere quando fare stretching è tanto importante quanto sapere come farlo!

I Protagonisti dello Stretching: Statico, Dinamico e PNF

Prima di tuffarci nei risultati, rinfreschiamoci la memoria su questi tre metodi:

  • Stretching Statico (SS): È il classico allungamento che teniamo per un certo tempo (nello studio, 30 secondi per 3 serie). Pensate a quando afferrate la punta del piede e mantenete la posizione. È ottimo per aumentare l’ampiezza del movimento (Range of Motion, ROM), ma alcuni temono possa “addormentare” un po’ i muscoli prima di una performance esplosiva.
  • Stretching Dinamico (DS): Qui si tratta di movimenti controllati che portano gradualmente i muscoli al limite della loro estensione, ma senza mantenere la posizione. Immaginate slanci delle gambe o rotazioni del busto. È spesso preferito nei riscaldamenti pre-gara perché “sveglia” i muscoli e migliora la flessibilità senza (teoricamente) ridurre la forza.
  • Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva (PNF): Questa è una tecnica più avanzata, spesso fatta con un partner o un terapista. Nello studio hanno usato la tecnica “Hold-Relax with Agonist Contraction” (HR-AC): si allunga passivamente il muscolo, poi si fa una contrazione isometrica contro resistenza, ci si rilassa e infine si contrae il muscolo opposto per aumentare ancora l’allungamento. È noto per essere molto efficace sulla flessibilità.

L’Esperimento: Cosa Abbiamo Fatto (o meglio, cosa hanno fatto i ricercatori)?

Lo studio è stato progettato in modo molto rigoroso, come un “randomized crossover trial”. In pratica, ogni ballerino ha provato tutte e quattro le condizioni (SS, DS, PNF e un gruppo di controllo che non faceva stretching) in ordine casuale, con delle pause tra una fase e l’altra per evitare che gli effetti si sovrapponessero.

Nella prima fase, subito dopo lo stretching (o il riposo per il gruppo di controllo), i ballerini facevano tre test:

  1. Sit-and-Reach (SeR): Il classico test per misurare la flessibilità della catena posteriore (schiena e bicipiti femorali).
  2. Countermovement Jump (CMJ): Un salto verticale da fermi per misurare la potenza esplosiva delle gambe.
  3. Y-Balance Test (YBT): Un test che valuta l’equilibrio dinamico su una gamba sola.

Nella seconda fase, l’attenzione si è spostata sul tempo. I ballerini facevano solo il test Sit-and-Reach, ma lo ripetevano più volte: prima dello stretching, subito dopo, e poi a distanza di 5, 10 e 15 minuti. Questo per vedere come cambiava la flessibilità nel tempo dopo i diversi tipi di allungamento.

Fotografia di danza, una ballerina contemporanea esegue un test sit-and-reach su un tappetino in uno studio luminoso. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo, luce naturale morbida.

I Risultati: Sorprese e Conferme

E ora, la parte succosa! Cosa è emerso da questo studio?

Flessibilità (Sit-and-Reach):
Qui nessuna sorpresa enorme: tutti e tre i metodi di stretching (PNF, SS, DS) hanno migliorato significativamente la flessibilità subito dopo l’esecuzione, molto più del gruppo di controllo che non aveva fatto nulla. PNF e DS sono risultati leggermente più efficaci del gruppo di controllo fin da subito.
Ma la vera chicca arriva dalla seconda fase, quella temporale:

  • Lo stretching Dinamico (DS) e il PNF hanno mostrato un miglioramento progressivo della flessibilità che continuava ad aumentare fino a 15 minuti dopo la fine dello stretching!
  • Lo stretching Statico (SS) ha raggiunto il picco di miglioramento a 10 minuti, per poi calare leggermente a 15 minuti (ma rimanendo comunque significativamente migliore rispetto a prima dello stretching).

Questo è super interessante! Significa che gli effetti del DS e del PNF sulla flessibilità potrebbero essere più duraturi nell’immediato post-stretching rispetto allo SS.

Potenza (CMJ) ed Equilibrio (YBT):
E qui arriva la sorpresa, o forse la conferma per chi lavora con ballerini altamente allenati. Nonostante le preoccupazioni che spesso circolano, nessuno dei tre metodi di stretching ha avuto un impatto significativo (né positivo né negativo) sulla potenza del salto verticale o sull’equilibrio dinamico dei ballerini. Esatto, avete letto bene! Né lo stretching statico né il PNF hanno “azzoppato” la performance, e nemmeno lo stretching dinamico l’ha migliorata in modo statisticamente rilevante in questo specifico studio.

Perché questa differenza rispetto ad altri studi che a volte mostrano cali di performance dopo lo stretching statico? I ricercatori suggeriscono alcune ipotesi affascinanti:

  • Allenamento a lungo termine: I ballerini, abituati da anni a lavorare sulla flessibilità estrema, potrebbero aver sviluppato adattamenti nei loro muscoli e tendini che li rendono più “resilienti” agli effetti potenzialmente negativi dello stretching acuto sulla produzione di forza. I loro tessuti sono già così elastici e abituati che un po’ di stretching in più non li scombussola più di tanto.
  • Durata dello stretching: Nello studio, ogni gruppo muscolare è stato allungato per un totale di 90 secondi (3 serie da 30 secondi). Ricerche precedenti suggeriscono che i cali di performance diventano più probabili quando si superano i 60 secondi di allungamento continuo per singolo muscolo, o comunque con durate totali molto più lunghe. Forse la dose utilizzata era quella giusta per ottenere flessibilità senza “pagare pegno”.
  • Frequenza dello stretching dinamico: Per quanto riguarda il mancato miglioramento della performance dopo lo stretching dinamico (che a volte si verifica per un effetto chiamato PAPE – Post-Activation Performance Enhancement), potrebbe dipendere dalla velocità dei movimenti. Nello studio hanno usato un ritmo di 20 ripetizioni al minuto, che potrebbe non essere stato abbastanza veloce o intenso da innescare questo potenziamento muscolare.

Fotografia sportiva d'azione, un ballerino contemporaneo maschio a mezz'aria durante un salto verticale (CMJ) in uno studio di danza. Obiettivo teleobiettivo zoom 100-400mm, velocità otturatore elevata per congelare il movimento, tracciamento del movimento.

Cosa Significa Tutto Questo per Noi Ballerini?

Questi risultati sono oro colato per chi danza! Ci dicono che, almeno per ballerini contemporanei ben allenati, possiamo usare lo stretching statico, dinamico o PNF per migliorare la nostra flessibilità prima di una lezione o di una prova senza temere di compromettere la nostra potenza o il nostro equilibrio, a patto di non esagerare con la durata per singolo muscolo.

Considerando che gli effetti sulla flessibilità del DS e del PNF sembrano durare un po’ di più nei primi 15 minuti, potrebbero essere scelte particolarmente interessanti. Lo stretching statico rimane un’ottima opzione, ma forse è meglio farlo non proprio l’istante prima di dover eseguire un salto potentissimo, visto che il suo picco di efficacia è intorno ai 10 minuti.

I ricercatori suggeriscono anche una strategia pratica: se vogliamo essere sicuri al 100% e magari cercare quel piccolo extra di performance, potremmo privilegiare lo stretching dinamico ad alta frequenza (più veloce delle 20 ripetizioni/minuto usate nello studio) nel riscaldamento pre-spettacolo o pre-allenamento intenso. Questo potrebbe darci i benefici della flessibilità e potenzialmente attivare quell’effetto PAPE per una maggiore esplosività.

Se invece usiamo lo stretching statico o il PNF, potrebbe essere saggio lasciare passare almeno 5 minuti tra la fine dello stretching e l’inizio dell’attività che richiede massima potenza o equilibrio, giusto per sicurezza e per permettere ai muscoli di “riassestarsi”.

Uno Sguardo al Futuro (e ai Limiti)

Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Ad esempio, ha testato solo i singoli metodi di stretching, ma non combinazioni (tipo statico + dinamico). E ha guardato solo i primi 15 minuti dopo lo stretching. Sarebbe interessante vedere cosa succede dopo 30 minuti o un’ora.

Ma nonostante questo, ci dà delle indicazioni preziose e rassicuranti. Possiamo continuare a lavorare sulla nostra amata flessibilità, scegliendo il metodo che preferiamo o che ci sembra più adatto al momento, sapendo che per noi ballerini allenati, il rischio di compromettere la performance è probabilmente molto più basso di quanto si pensasse. L’importante è ascoltare il proprio corpo e… tenere d’occhio l’orologio!

Spero che questa “chiacchierata scientifica” vi sia stata utile! Continuate a danzare e a esplorare i vostri corpi con consapevolezza!

Macro fotografia di fibre muscolari umane viste al microscopio, con colori vivaci che ne evidenziano la struttura. Obiettivo macro 100mm, illuminazione scientifica controllata, altissimo dettaglio, messa a fuoco precisa.

Fonte: Springer

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