Immagine fotorealistica, lenti macro ravvicinate (100 mm) di neuroni interconnessi con sottili punti blu luminosi che rappresentano un'attività antiossidante che cerca di bilanciare aree rosse più scure e leggermente sfocate che rappresentano stress ossidativo, elevato dettagli, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata.

Stress Ossidativo e Autismo: La Sorpresa nei Bambini Piccoli

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che sta facendo parecchio discutere nel mondo della ricerca: il legame tra stress ossidativo e disturbo dello spettro autistico (DSA), soprattutto nei primissimi anni di vita. Sentiamo spesso parlare di stress ossidativo come di un “cattivo” per la nostra salute, ma cosa c’entra con l’autismo, specialmente nei bambini così piccoli? Beh, mettiamoci comodi e cerchiamo di capirci qualcosa insieme.

Cos’è questo Stress Ossidativo?

Immaginate il nostro corpo come una città super attiva. Ci sono processi che producono “scarti”, un po’ come l’inquinamento. Questi scarti, nel nostro corpo, si chiamano specie reattive dell’ossigeno (ROS) o, più comunemente, radicali liberi. Non sono cattivi di per sé, anzi, servono a diverse funzioni. Il problema nasce quando ce ne sono troppi e i nostri sistemi di “pulizia”, gli antiossidanti, non riescono a smaltirli tutti. Questo squilibrio è proprio lo stress ossidativo. È come se la città fosse sommersa dai rifiuti: le cose iniziano a non funzionare bene, e a lungo andare si possono creare danni seri a proteine, DNA e grassi nelle nostre cellule.

Il cervello, pensate un po’, è particolarmente sensibile a questo “inquinamento”. Consuma tantissimo ossigeno, è ricco di grassi e non ha difese antiossidanti potentissime come altri organi. Per questo, molti ricercatori hanno iniziato a pensare che lo stress ossidativo potesse giocare un ruolo importante nello sviluppo di disturbi neuropsichiatrici, incluso l’autismo.

Autismo e Stress Ossidativo: Cosa Sapevamo (o Credevamo di Sapere)

Il disturbo dello spettro autistico è una condizione complessa, che si manifesta con difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale, e con comportamenti ripetitivi o interessi molto specifici. Le cause esatte non le conosciamo ancora, ma si pensa a un mix intricato di fattori genetici, immunitari e ambientali. E qui entra in gioco lo stress ossidativo.

Negli anni, diversi studi hanno suggerito che le persone con autismo avessero un equilibrio ossidante-antiossidante un po’ sballato. Si sono trovati segni di “danno da radicali liberi” nel sangue, nelle urine e persino nel tessuto cerebrale post-mortem di persone con DSA. Un protagonista spesso chiamato in causa è il glutatione, uno degli spazzini antiossidanti più importanti del nostro corpo. Molte ricerche, incluse meta-analisi (che sono studi che mettono insieme i risultati di tante ricerche diverse), hanno riportato livelli più bassi di glutatione nei bambini con autismo. Addirittura, si è ipotizzato che questi biomarcatori legati al glutatione potessero un giorno aiutare nella diagnosi precoce. Anche un altro enzima importante, la glutatione perossidasi (GPx), che usa il glutatione per neutralizzare i ROS, è stata trovata meno attiva in alcuni studi su persone con autismo.

Lenti macro, 90 mm, dettagli elevati, illuminazione controllata, rappresentazione astratta dello stress ossidativo cellulare con molecole antiossidanti blu contrastanti neutralizzanti specie di ossigeno reattivo arancione.

Arriva un Nuovo Indicatore: l’Omeostasi Dinamica Tiolo/Disolfuro (DTDH)

Recentemente, l’attenzione si è spostata anche su un altro modo per misurare lo stato di stress ossidativo, considerato forse più completo: l’analisi dell’omeostasi dinamica tiolo/disolfuro (DTDH). Cosa sono i tioli? Sono molecole che contengono un gruppo speciale (-SH) e sono fondamentali per le nostre difese antiossidanti. I ROS possono “ossidare” questi gruppi, trasformandoli in ponti disolfuro (-S-S-). Fortunatamente, questa trasformazione è spesso reversibile: i ponti disolfuro possono essere “ridotti” di nuovo a tioli, mantenendo un equilibrio dinamico.

Questo equilibrio (DTDH) è cruciale per un sacco di funzioni cellulari, dalla difesa antiossidante alla regolazione dei geni. Misurare i livelli dei tioli (nativi e totali) e dei disolfuri nel sangue ci dà un quadro più preciso dello stato redox (cioè dell’equilibrio ossidativo) dell’organismo. Alterazioni di questo equilibrio sono state viste in tante malattie, dal diabete alle malattie cardiovascolari, fino a quelle neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. E, ovviamente, l’interesse si è esteso anche all’autismo. Alcuni studi recenti, usando una nuova tecnica automatizzata per misurare la DTDH, avevano effettivamente trovato segni di stress ossidativo aumentato in bambini con autismo, suggerendo che la DTDH potesse essere un biomarcatore promettente.

La Nostra Ricerca: Un Focus sui Bambini Piccolissimi (2-6 anni)

Ed eccoci al punto cruciale. La maggior parte degli studi precedenti, anche quelli sulla DTDH, aveva coinvolto bambini più grandi o adolescenti. Ma cosa succede nei primissimi anni, quando l’autismo inizia a manifestarsi? È un periodo fondamentale per lo sviluppo del cervello. Per questo, abbiamo deciso di fare uno studio focalizzato proprio su bambini in età prescolare, tra i 2 e i 6 anni.

Abbiamo coinvolto 49 bambini con diagnosi di autismo e 31 bambini coetanei con sviluppo tipico (il nostro gruppo di controllo). Abbiamo misurato nel loro sangue non solo i parametri della DTDH (tioli nativi, tioli totali, disolfuri e i loro rapporti), ma anche i classici indicatori di stress ossidativo: lo stato ossidante totale (TOS), lo stato antiossidante totale (TAS), l’indice di stress ossidativo (OSI), i livelli di glutatione e l’attività della GPx. Volevamo vedere se questi nuovi marcatori (DTDH) andassero di pari passo con quelli tradizionali e, soprattutto, se ci fossero differenze significative tra i bambini con autismo e i controlli in questa fascia d’età così giovane. Abbiamo anche valutato la severità dell’autismo usando scale specifiche (CARS e CGI-S) per vedere se ci fosse una correlazione con i livelli di stress ossidativo.

Immagine fotorealistica, impostazione di laboratorio, rastrello per provette con campioni di siero di sangue sotto illuminazione morbida e controllata, una pipetta nelle vicinanze che suggerisce analisi, messa a fuoco precisa, lenti macro da 60 mm.

I Risultati: Una Sorpresa Inaspettata

E qui arriva la sorpresa. Nonostante le aspettative basate sulla letteratura precedente, i nostri risultati hanno mostrato che… non c’erano differenze statisticamente significative tra il gruppo di bambini con autismo e il gruppo di controllo per nessuno dei biomarcatori di stress ossidativo che abbiamo misurato! Né per i parametri DTDH, né per TOS, TAS, OSI, glutatione o GPx. Tutti i valori erano praticamente sovrapponibili nei due gruppi.

Inoltre, non abbiamo trovato nessuna correlazione tra i livelli di questi biomarcatori e la gravità dei sintomi dell’autismo valutata con le scale CARS e CGI-S. In pratica, nei bambini tra i 2 e i 6 anni del nostro campione, lo stress ossidativo non sembrava essere né più alto né legato alla severità della condizione.

Abbiamo notato una cosa interessante: l’età del papà al momento della nascita era significativamente più alta nel gruppo con autismo. Questo è un fattore di rischio noto per l’autismo, ma nel nostro studio, l’età paterna non era correlata né ai livelli di stress ossidativo né alla gravità dell’autismo all’interno del gruppo DSA.

Perché Questa Differenza Rispetto ad Altri Studi? L’Importanza dell’Età

Come mai i nostri risultati sono così diversi da molti altri? La spiegazione più plausibile, e quella su cui puntiamo l’attenzione, è proprio l’età dei bambini che abbiamo studiato. Il nostro campione era composto da bambini molto piccoli (età media intorno ai 4 anni), mentre molti studi precedenti avevano incluso bambini più grandi o un range di età molto più ampio.

Potrebbe essere che lo squilibrio ossidativo nell’autismo non sia così marcato nelle primissime fasi dello sviluppo, ma che tenda ad aumentare con il passare degli anni? Forse a causa di processi infiammatori cronici, disfunzioni mitocondriali (le “centrali energetiche” delle cellule) o l’accumulo di esposizioni ambientali che possono peggiorare lo stress ossidativo nel tempo. Sappiamo anche che la capacità antiossidante del corpo tende a diminuire con l’invecchiamento. Quindi, è possibile che nei bambini molto piccoli i meccanismi di difesa riescano ancora a compensare, mantenendo un certo equilibrio che poi, più avanti, potrebbe venire meno.

Questa ipotesi è supportata da alcuni studi, come uno condotto da Morimoto e colleghi nel 2020, che ha diviso i bambini con autismo in due gruppi (2-6 anni e 7-15 anni). Hanno trovato livelli elevati di metaboliti reattivi dell’ossigeno solo nel gruppo dei bambini più grandi (7-15 anni) rispetto ai controlli, mentre non c’erano differenze significative nel gruppo dei più piccoli (2-6 anni), proprio come nel nostro studio! Anche una meta-analisi del 2021 di Chen et al. ha evidenziato che l’età potrebbe influenzare i risultati degli studi sullo stress ossidativo nell’autismo.

Fotografia di ritratto, diversi gruppi di bambini in età prescolare (di età 3-5) impegnati in giochi collaborativi all'interno con blocchi colorati, luce morbida naturale naturale, profondità di campo poco profonda che si concentra sulla loro interazione, lente Prime da 35 mm.

Cosa Significa Tutto Questo?

Beh, prima di tutto, che la relazione tra stress ossidativo e autismo potrebbe essere più complessa e dinamica di quanto pensassimo, e fortemente influenzata dall’età. I nostri risultati suggeriscono che i biomarcatori di stress ossidativo, inclusa la DTDH, potrebbero non essere indicatori affidabili per una diagnosi precoce dell’autismo nei bambini in età prescolare (2-6 anni), semplicemente perché in questa fase potrebbero non esserci ancora differenze significative rispetto ai bambini con sviluppo tipico.

Questo non significa che lo stress ossidativo non abbia un ruolo nell’autismo, ma che il suo impatto potrebbe manifestarsi o diventare misurabile più tardi. È un campanello d’allarme importante per la ricerca futura: bisogna assolutamente tenere conto dell’età quando si studiano questi meccanismi. Servono studi “stratificati” per età, che confrontino gruppi di bambini di diverse fasce d’età, e studi longitudinali, che seguano gli stessi bambini nel tempo per vedere come cambiano i loro livelli di stress ossidativo.

Limiti e Prospettive Future

Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. Abbiamo analizzato solo alcuni biomarcatori, il campione non era enorme, era uno studio trasversale (una “fotografia” in un dato momento) e condotto in un solo centro. Non abbiamo potuto fare analisi per sottogruppi ancora più specifici all’interno della fascia 2-6 anni e non abbiamo incluso bambini sotto i 2 anni. Sarebbe interessante, in futuro, includere anche marcatori di infiammazione o di funzione mitocondriale, usare campioni più grandi e magari basati sulla popolazione generale, non solo su chi si rivolge a una clinica.

Nonostante i limiti, pensiamo che il nostro studio dia un contributo importante. Abbiamo analizzato insieme biomarcatori classici e nuovi (DTDH) in una fascia d’età critica e poco esplorata, evidenziando come i risultati possano cambiare drasticamente a seconda dell’età considerata.

In Conclusione

Il viaggio alla scoperta delle basi biologiche dell’autismo è ancora lungo e pieno di sorprese. Il nostro studio sull’omeostasi tiolo/disolfuro e altri marcatori di stress ossidativo in bambini molto piccoli (2-6 anni) con autismo ci ha mostrato un quadro diverso da quello atteso: nessuna differenza significativa rispetto ai coetanei con sviluppo tipico. Questo ci porta a sottolineare con forza quanto sia cruciale considerare l’età come fattore determinante in questo tipo di ricerche. Forse lo stress ossidativo diventa un problema più rilevante con il passare degli anni nello sviluppo dei bambini con autismo. Servono assolutamente nuove ricerche, più ampie, longitudinali e stratificate per età, per capire meglio questa complessa interazione e il suo reale significato per la diagnosi e, magari un giorno, per nuovi approcci terapeutici.

Fonte: Springer

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