Intrecci Radicali: Esplorando l’Eredità della Huntingdale Technical School
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel tempo, alla scoperta di un luogo che ha segnato profondamente il mio modo di vedere l’educazione: la Huntingdale Technical School. Forse il nome non vi dirà molto, ma per chi l’ha vissuta, come me negli anni ’80, è stata un faro, un esempio quasi utopico di cosa potesse essere la scuola. Non vi racconterò la mia biografia, ma userò la mia esperienza e le voci di alcuni insegnanti che ho intervistato per esplorare insieme cosa significhi “educazione radicale” e perché storie come quella di Huntingdale siano ancora così potenti oggi.
Mi sono sempre chiesta cosa avesse spinto quegli insegnanti a lavorare in un ambiente così fuori dagli schemi, quali fossero le loro influenze e cosa ne fosse stato di loro dopo quell’esperienza. Così, spinta anche dalla nostalgia emersa per il 50° anniversario della scuola nel 2022, ho deciso di raccogliere le loro Storie Orali. Volevo trasformare le mie domande in riflessioni concrete, capaci magari di ispirare chi oggi cerca modi diversi di fare educazione.
Ma cosa intendiamo per “Educazione Radicale”?
Prima di tuffarci nella storia di Huntingdale, capiamo un attimo cosa significa questo termine un po’ forte. Non si tratta solo di “innovare” o aggiornare i metodi didattici. Come spiegano Fielding e Moss (2011), l’educazione radicale cerca di andare oltre le strutture esistenti, proponendo nuovi modi di pensare e agire per creare “modi diversi di essere nel mondo”. Non è un ritocco, è un ripensamento profondo basato su valori diversi da quelli dominanti.
Quali valori? Pensate a:
- Democrazia partecipativa: non solo come forma di governo, ma come modo di vivere insieme (alla Dewey, per intenderci).
- Giustizia: sociale e politica.
- Solidarietà: riconoscere che cresciamo come individui grazie allo sforzo collettivo.
- Pluralità: accogliere la diversità di prospettive e stili di vita.
- Sperimentazione: avere il coraggio di avventurarsi oltre il conosciuto.
Queste idee non sono nate ieri. Già John Dewey nel 1916 parlava di una “Nuova Educazione”. A.S. Neill fondò la progressista Summerhill School nel 1921. E pensatori come Freire, Illich, Postman e Weingartner negli anni ’60 e ’70 hanno spinto per cambiamenti radicali contro l’oppressione sociale attraverso l’educazione. Anche in Australia, questo fermento culturale ha creato un terreno fertile per esperimenti come Huntingdale.
Huntingdale Tech: Un Esempio Concreto di Radicalità
Fondata nel 1972 come parte della Divisione Scuole Tecniche del Dipartimento dell’Educazione Vittoriano, Huntingdale nacque in un momento di grande interesse per le “scuole comunitarie”. Fu scelta come prototipo per sperimentare nuovi approcci al curriculum e al coinvolgimento della comunità. Immaginate: all’inizio operava in edifici prefabbricati temporanei, mentre si decideva insieme come costruire la struttura permanente!
Il preside fondatore, Tony Delves, era una figura carismatica, già noto per le sue idee innovative. Credeva fermamente nell’importanza delle relazioni, di contenuti rilevanti per gli studenti e dell’unicità di ciascuno. Non si trattava solo di alfabetizzare, ma di formare “adulti maturi, calorosi, sensibili, responsabili”. I principi guida della scuola, sviluppati collettivamente, erano semplici ma potenti:
- L’apprendimento avviene nell’individuo.
- La scuola è una comunità e opera come tale.
- La scuola è parte della comunità più ampia.
E come si traduceva tutto questo nella pratica? Beh, era incredibile. Noi studenti sceglievamo le nostre materie per blocchi di 6-8 settimane (“contract”), creando un orario personale. C’era il “booking-up day”, un giorno frenetico in cui correvamo dai prof per assicurarci un posto nelle classi desiderate – un’esperienza formativa pazzesca in sé! Le classi erano spesso miste per età (dal 7° al 10° anno insieme), lavorando su progetti basati sui nostri interessi.

Per rafforzare le relazioni, la scuola era divisa in sotto-scuole più piccole, ognuna con i propri insegnanti e strutture, e ulteriormente in gruppi di tutoraggio misti per età, dove di solito si restava per tutto il percorso scolastico. Questo significava sentirsi davvero “conosciuti”. C’erano poi aree specialistiche comuni (studio TV, officine, cucina, ceramica, teatro…). E poi, le cose che oggi sembrano fantascienza:
- Chiamavamo tutti gli insegnanti per nome.
- C’era un’area fumatori condivisa tra studenti (sopra i 15 anni o con consenso!) e staff.
- Niente divise, niente campanelle.
- Studenti con disabilità integrati nelle classi normali.
- Apertura alla comunità esterna, con adulti che frequentavano corsi insieme a noi adolescenti.
- Un pulmino della scuola per gite frequenti nel mondo “là fuori”.
La scuola attirava studenti locali, ma anche da lontano, e sorprendentemente, molti figli di professionisti, inclusi insegnanti, che cercavano consapevolmente un’alternativa.
Le Voci degli Insegnanti: Un Mosaico di Esperienze
Le interviste con quattro ex insegnanti (di materie e periodi diversi) hanno rivelato un quadro affascinante. Non erano lì per caso. Molti erano stati “scovati” da Delves, scelti per le loro competenze diverse e la loro passione per un approccio autentico con i ragazzi. C’era chi conosceva Delves fin dall’inizio, chi era arrivato fresco di tirocinio attratto dalla fama “alternativa”, chi veniva da esperienze radicali simili in UK (come Countesthorpe College) e chi portava un background nel mondo reale (come la musica rock) che ha rivoluzionato il suo modo di insegnare.
Una frase ricorrente era la sensazione di libertà e supporto: “Spingi la barca e vedi cosa succede“. C’era la consapevolezza di far parte di qualcosa di speciale, un prodotto del suo tempo (“Erano gli anni ’70, sai?“), ma anche la sorpresa, a posteriori, per quanto fossero stati audaci: “Wow, abbiamo davvero fatto quelle cose?“. Tutti ricordano quel periodo come incredibilmente formativo e prezioso per la loro carriera. La poesia è stata uno strumento potente per distillare l’essenza di queste storie, catturando lo spirito del luogo – che ho provato a immaginare come un profumo, “Eau d’Huntingdale”, con note di libertà, scelta, relazioni e un pizzico di fumo di sigaretta! – ma anche la tristezza per la sua fine.
La Fine di un’Era (e Cosa Ci Insegna)
Purtroppo, come molte istituzioni radicali, Huntingdale non è durata per sempre. I cambiamenti politici degli anni ’80 (in particolare il Rapporto Blackburn del 1985) portarono allo smantellamento del sistema delle scuole tecniche in Victoria. Seguirono fusioni forzate, cambi di nome e, alla fine, la trasformazione in un college secondario standard. Oggi, sul sito della scuola che occupa lo stesso luogo, non c’è traccia di quel passato alternativo; si parla di compiti, orari, uniformi e persino colori di capelli accettabili. Una storia triste, ma non insolita.

Come sottolinea Holzman (1997), molte scuole alternative nate negli anni ’60-’70 hanno avuto vita breve o sono state riassorbite dal sistema. Il fatto che Huntingdale sia sopravvissuta così a lungo è probabilmente dovuto al forte sostegno iniziale della sua Divisione. Una volta venuto meno quel supporto, il destino era segnato.
Ingold e gli Intrecci: Un Nuovo Modo di Vedere
Mentre cercavo di dare un senso a tutte queste influenze – quelle *sugli* insegnanti, quelle *degli* insegnanti, quelle *della* scuola – mi sono resa conto che i diagrammi lineari non funzionavano. Era tutto troppo… aggrovigliato. Gli insegnanti stessi usavano metafore organiche, parlavano di “crescita”. È stato allora che mi sono imbattuta nel pensiero di Tim Ingold e nelle sue idee di linee, nodi, intrecci (entanglements) e reti (meshwork).
Ingold propone di vedere il mondo non come un assemblaggio di blocchi predefiniti, ma come un tessuto di linee di vita, crescita e movimento che si intersecano e si annodano continuamente. Le cose non sono statiche, ma in perenne divenire. Un nodo, anche se sciolto, conserva la memoria delle sue pieghe. Questa metafora mi ha permesso di vedere Huntingdale non come un “oggetto” finito confinato nel passato, ma come un punto di incontro dinamico di persone, idee, risorse, strutture. Linee che venivano da prima e che sono continuate dopo, trasformate da quell’incontro. Huntingdale continua a “vivere” nelle persone che l’hanno attraversata, influenzando i loro percorsi futuri. Ho provato a catturare questa idea in una poesia finale, pensando a questi “grovigli di viticci” che si estendono nel tempo.

L’Eredità di Huntingdale e la Sfida di Oggi
Cosa ci insegna tutto questo sull’educazione radicale oggi? Che non è un modello da copiare pedissequamente. Come dice Anderson (2018), è specifica del contesto. Ma imparare da chi ci ha provato prima è fondamentale. Documentare queste storie è vitale, perché altrimenti come faremmo a sapere che “la possibilità di altre possibilità esiste”?
Nell’attuale clima educativo, spesso dominato da standardizzazione, test, “best practice” rigide e una visione quasi meccanicistica dell’apprendimento, ricordare esperienze come Huntingdale è più importante che mai. Ci ricorda che l’educazione può essere basata su immaginazione, rischio, sperimentazione, democrazia e relazioni autentiche. È una lotta, certo. Mantenere viva la speranza per forme di educazione radicali di fronte alle pressioni istituzionali conservatrici è difficile.
Ma parlare con questi ex insegnanti ha rinvigorito la mia convinzione che valga la pena lottare per un’educazione che sia veramente tale, e non indottrinamento. L’influenza di Huntingdale continua a dipanarsi, come lunghi viticci aggrovigliati, nel mio lavoro di formatrice di insegnanti e, chissà, forse anche nelle vite dei futuri docenti con cui interagisco. La sfida per tutti noi che crediamo in un’educazione inclusiva, democratica e creativa è trovare il modo di nutrire questi viticci, perché possano continuare a crescere e intrecciarsi nel futuro.
Fonte: Springer
