Veduta aerea dinamica del mercato di Tanah Abang oggi, che mostra il contrasto tra i moderni blocchi commerciali multipiano e il brulicare di attività nelle strade circostanti, tessuti colorati visibili sulle bancarelle esterne, luce del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre, obiettivo grandangolare 20mm, alta definizione, tracciamento del movimento per catturare il flusso di persone e veicoli, stile fotografia urbana.

Tanah Abang: Storie Intrecciate di Tessuti e Architettura nel Cuore Pulsante di Jakarta

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, non solo nello spazio ma anche nel tempo, alla scoperta di uno dei luoghi più incredibili di Jakarta: il mercato di Tanah Abang. Non stiamo parlando di un mercato qualsiasi, ma del più grande mercato tessile dell’Indonesia e uno dei più antichi della città, con radici che affondano addirittura nel 1735! Pensate un po’, quasi tre secoli di storia racchiusi tra bancarelle, edifici e, soprattutto, tessuti.

Perché i tessuti? Beh, sono stati proprio loro il motore pulsante della crescita straordinaria di Tanah Abang. Ma questo luogo è molto più di un semplice centro economico. È un crogiolo di storie, un palcoscenico dove si sono intrecciate vicende coloniali e post-coloniali, un vero e proprio “tessuto” urbano che ha colorato e dato forma a Jakarta.

Attraverso archivi e osservazioni dirette, cercheremo di svelare l’evoluzione di questo mercato, capendo come la sua architettura si sia trasformata, riflettendo i cambiamenti sociali, economici e politici. È come sfogliare un libro di storia vivente, dove ogni strato racconta qualcosa.

Le Radici Lontane: Un Mercato Nato in Epoca Coloniale

Per capire Tanah Abang, dobbiamo fare un salto indietro, all’epoca della Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC). Nel 1619 fondarono Batavia (l’odierna Jakarta) e iniziarono a espandersi, trasformando le aree circostanti in piantagioni. Fu proprio in mezzo a queste piantagioni che, nel 1735, un funzionario della VOC di nome Justinus Vinck ebbe l’idea di aprire due mercati: Senen e, appunto, Tanah Abang. Immaginatevelo: un piccolo mercato, probabilmente fatto di bambù e assi di legno, che fungeva da collegamento vitale tra la città fortificata di Batavia e le campagne circostanti.

La storia iniziale non fu sempre facile. Dopo un terribile massacro della popolazione cinese a Batavia nel 1740, il mercato rimase abbandonato per circa vent’anni. Ma la sua resilienza è incredibile. All’inizio dell’Ottocento, riprese vita e iniziò a crescere.

L’Ottocento e l’Esplosione del Batik

Il XIX secolo fu un periodo di grandi cambiamenti. Il centro amministrativo coloniale si spostò verso sud, avvicinando di fatto Tanah Abang al cuore pulsante della città in espansione. Ma la vera svolta arrivò a metà secolo, dopo la caduta del Sultanato di Mataram nel 1830. Molti artigiani fedeli al sultano, esperti nella meravigliosa arte del batik, si rifiutarono di sottomettersi agli olandesi e migrarono verso varie città, incluse le aree costiere e Batavia.

Questi artigiani portarono con sé le loro abilità uniche. Il batik, più che un semplice tessuto decorato, divenne un mezzo di sostentamento e un nuovo elemento del tessuto sociale. Tanah Abang divenne rapidamente un centro nevralgico per il commercio del batik, attirando produttori e commercianti da tutta Giava (Pekalongan, Yogyakarta, Solo…). Il mercato si trasformò così nel cuore pulsante del tessile, un ruolo che non avrebbe più abbandonato. È affascinante pensare a come le vicende politiche abbiano indirettamente plasmato l’identità di questo luogo!

Fotografia macro di un antico tessuto batik giavanese, dai colori terrosi e motivi intricati, illuminazione controllata per evidenziare la texture, obiettivo macro 100mm, alta definizione.

La Svolta “Etica” e la Prima Modernizzazione (1900-1942)

Arriviamo al primo Novecento, un periodo segnato dalla cosiddetta “Politica Etica” olandese. In teoria, era un tentativo di “ripagare” il debito morale verso le popolazioni indigene attraverso programmi di irrigazione, migrazione ed educazione. In pratica, portò anche a una maggiore organizzazione e controllo dello spazio urbano. Le città vennero modernizzate, si introdussero piani regolatori e si costruirono nuove infrastrutture.

Anche i mercati furono coinvolti. Seguendo le tendenze europee, si passò dai mercati aperti a strutture più organizzate, spesso coperte (le “market halls”). Tanah Abang non fece eccezione. Prima del 1911 era un mercato privato, ma con le nuove politiche passò sotto il controllo municipale. Nel 1926 venne inaugurata una nuova struttura, molto diversa dalle precedenti. Addio bambù e legno, benvenuto cemento armato!

L’architettura di questo periodo è interessante. Pur essendo una struttura standardizzata, il mercato del 1926 presentava un tetto a capanna con ornamenti geometrici in stile Art Deco, sostenuto da imponenti colonne a vista. Era un segno tangibile della modernizzazione, un tentativo di integrare il mercato nel tessuto urbano “formale”, ma anche di controllarlo meglio. Gli spazi divennero più definiti, le corsie più ordinate. Il mercato, pur rimanendo un luogo di scambio, perdeva un po’ della sua spontaneità di spazio sociale aperto. Questa trasformazione architettonica rifletteva i cambiamenti sociali: il mercato rurale veniva assorbito dalla città coloniale moderna.

Fotografia architettonica in bianco e nero del mercato di Tanah Abang del 1926, stile Art Deco con tetto a capanna, colonne in cemento armato esposte, obiettivo grandangolare 24mm, pellicola in bianco e nero, profondità di campo.

Dopo l’Indipendenza: Ordine Vecchio e Nuovo (1945-1998)

Con l’indipendenza dell’Indonesia nel 1945, Jakarta divenne la capitale. Sotto Soekarno (l’era dell'”Ordine Vecchio”), la città iniziò a trasformarsi, puntando a diventare una metropoli moderna. Tanah Abang, pur rimanendo un po’ ai margini del nuovo scintillante centro, continuò la sua vita, gestito ora dal governo provinciale di Jakarta.

Ma è con l’avvento dell'”Ordine Nuovo” di Suharto, nel 1966, che assistiamo a un’altra grande trasformazione. Il regime puntava forte sullo sviluppo economico e sulla stabilità (spesso ottenuta con metodi repressivi). Jakarta divenne un hub di affari in crescita esponenziale. Anche le aree più povere, i *kampung* intorno a Tanah Abang, furono oggetto di programmi di miglioramento (il famoso Kampung Improvement Program), portando modernità ma anche sradicando stili di vita tradizionali.

Nel 1973, la gestione del mercato passò a PD. Pasar Jaya, un’azienda regionale creata appositamente. E arrivò un’altra ristrutturazione radicale. Il vecchio edificio del 1926 fu demolito per far posto a quattro blocchi di edifici a tre piani, in uno stile moderno, funzionale, quasi brutalista. Scatole di cemento, potremmo dire, molto in linea con l’architettura pragmatica dell’epoca, pensate per massimizzare lo spazio e ospitare un numero crescente di commercianti (che passarono da meno di 500 a oltre 3000 in meno di dieci anni!).

Questa modernizzazione portò servizi come elettricità, acqua corrente, scale mobili, ma creò anche nuovi problemi. I costi degli affitti salirono, spingendo molti piccoli commercianti fuori, nelle strade circostanti, alimentando il settore informale che ancora oggi è una caratteristica (e una sfida) dell’area. Il mercato divenne un simbolo dello sviluppo economico del regime, ma anche delle sue contraddizioni: un luogo per le masse, dove trovare imitazioni a basso costo (i famosi prodotti “KW”) dei beni di lusso venduti nei centri commerciali, ma anche un ambiente sempre più controllato e meno “popolare” nel senso originario del termine. L’architettura funzionale e standardizzata rifletteva l’approccio centralizzato e focalizzato sull’economia del governo.

Fotografia di strada che cattura l'atmosfera caotica ma vibrante all'interno dei blocchi del mercato di Tanah Abang negli anni '70-'80, bancarelle piene di tessuti colorati, persone che contrattano, luce naturale filtrata, obiettivo 35mm.

L’Era della Riforma: Fuoco, Privatizzazione e Nuove Identità (1998-Oggi)

La caduta di Suharto nel 1998 aprì l’era della “Reformasi”. Per Tanah Abang, questo periodo iniziò in modo drammatico. Già colpito da incendi negli anni ’70, nel 2003 un incendio devastante distrusse quasi completamente il Blocco A. Fu un momento critico, ma anche un punto di svolta.

Il governo, a corto di fondi per la ricostruzione, aprì le porte al settore privato. Una collaborazione tra PD. Pasar Jaya e sviluppatori privati portò alla rinascita del mercato, ma con una logica completamente nuova. Il Blocco A fu ricostruito da PT. Priamanaya Djan International e trasformato in un imponente edificio di 15 piani! L’architettura cambiò ancora, adottando uno stile con influenze mediorientali, giustificato (secondo il costruttore) dalla volontà di riflettere l’identità della maggioranza dei commercianti, molti dei quali di etnia Betawi e di religione musulmana. Una scelta che, di fatto, segnava una distanza dalle radici giavanesi legate al batik.

Poco dopo, anche il Blocco B fu riqualificato, seguendo un modello simile, grazie a un consorzio che includeva il potente Agung Podomoro Group. Il risultato? Tanah Abang oggi assomiglia più a un moderno centro commerciale all’ingrosso che a un mercato tradizionale. Grattacieli, skybridge per collegare i blocchi, aria condizionata, scale mobili a perdita d’occhio… L’efficienza e la logica commerciale hanno preso il sopravvento.

Questo cambiamento architettonico e gestionale (con il forte ruolo dei privati) riflette tendenze più ampie: la commercializzazione dello spazio urbano, l’influenza del capitalismo globale. Ma c’è un altro fenomeno culturale che ha segnato profondamente Tanah Abang in quest’ultima fase: l’esplosione della moda musulmana.

Iniziata timidamente negli anni ’80 e ’90, la richiesta di abbigliamento conforme ai precetti islamici è cresciuta esponenzialmente nel XXI secolo, in parallelo con una maggiore visibilità della religione nella società indonesiana. Tanah Abang è diventato l’epicentro di questo trend. Oggi, camminando per i suoi corridoi, si è sommersi da hijab colorati, tuniche eleganti, abiti lunghi… La moda musulmana è diventata la merce dominante, attirando acquirenti da tutta l’Indonesia e anche dall’estero. Il mercato non è più solo il luogo dei prodotti “KW” per le classi popolari; ora attrae anche la classe media e alta, diventando un riflesso dell’identità religiosa e del potere d’acquisto della maggioranza musulmana del paese.

Ritratto fotografico di una donna musulmana indonesiana moderna che sceglie tessuti colorati e hijab nel nuovo e affollato mercato di Tanah Abang, luce soffusa, obiettivo 50mm, profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo, toni caldi.

Un Tessuto Che Continua a Evolversi

Allora, cosa ci racconta la storia di Tanah Abang? Ci dice che un mercato è molto più di un luogo dove si compra e si vende. È uno specchio della città e della società. La sua architettura non è mai casuale, ma riflette il potere (coloniale, statale, privato), le ideologie dominanti (modernizzazione, sviluppo economico, identità religiosa), le dinamiche sociali (migrazioni, lotte di classe, affermazione culturale).

Abbiamo visto come Tanah Abang sia passato da piccolo avamposto rurale a mercato coloniale modernizzato, poi a complesso funzionale dell’era sviluppista, e infine a gigantesco hub commerciale privatizzato con una forte impronta identitaria. Ogni trasformazione ha lasciato il segno, ha creato nuove opportunità ma anche nuove tensioni e disuguaglianze.

È come osservare un tessuto complesso, dove fili diversi – storia, politica, economia, cultura, architettura – si intrecciano continuamente, creando pattern sempre nuovi. Tanah Abang ha letteralmente “cucito” e “colorato” Jakarta per quasi tre secoli, e la sua storia è tutt’altro che finita. Chissà quali altri cambiamenti ci riserverà il futuro? Una cosa è certa: continuerà ad essere un luogo affascinante da osservare per capire le pulsazioni profonde dell’Indonesia.

Fonte: Springer

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