Gruppo di giovani amici italiani (uomini e donne, 20-25 anni) in un aperitivo all'aperto in una piazza italiana, alcuni uomini ridono fragorosamente con birre in mano, una donna nel gruppo sembra leggermente a disagio o giudicata mentre sorseggia un cocktail colorato, luce naturale del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre, obiettivo 35mm, profondità di campo media per mostrare l'interazione e l'ambiente.

Bere al femminile in Italia: lo stigma che non vediamo (ma c’è)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ronza in testa da un po’, qualcosa che tocca le corde della nostra cultura, quella mediterranea, e in particolare l’Italia. Parliamo di alcol e donne. Sembra un argomento come un altro, no? Un bicchiere di vino a cena, un aperitivo con le amiche… eppure, scavando un po’, emerge una realtà meno scintillante, fatta di giudizi sottili, doppi standard e uno stigma che pesa, eccome se pesa.

Mi sono imbattuta in uno studio qualitativo affascinante che ha voluto indagare proprio questo: come viene vissuto e percepito il consumo di alcol da parte delle giovani donne italiane. Hanno intervistato 80 ragazze tra i 18 e i 28 anni, con abitudini diverse riguardo al bere, dai profili più “tranquilli” a quelli considerati più “a rischio”. E quello che è venuto fuori, beh, diciamo che fa riflettere parecchio.

Il solito doppio standard: se beve lui è “figo”, se beve lei…

Parliamoci chiaro: viviamo ancora in una società dove, per tante cose, esistono due pesi e due misure a seconda che tu sia uomo o donna. E l’alcol non fa eccezione. Lo studio conferma che le aspettative sociali sul bere sono profondamente intrise di queste dinamiche di genere. Un uomo che beve, magari anche un po’ troppo, viene spesso visto come il “macho”, l’anima della festa, uno che si diverte. Una donna nella stessa situazione? Ah, lì la musica cambia.

Le partecipanti ai focus group hanno raccontato come una donna che “esagera” con l’alcol rischi di essere etichettata in modi tutt’altro che lusinghieri. Si passa da termini che la descrivono come stupida o superficiale (“oche”, “galline” – sì, avete letto bene) a quelli che la dipingono come sessualmente promiscua, una “facile”. Questo perché, nella nostra cultura, bere è ancora legato all’idea di “perdere il controllo”, e per una donna, perdere il controllo sembra essere molto più grave e socialmente inaccettabile.

Etichette e stereotipi: “Oca”, “Camionista” o “Preda”?

Le etichette che vengono appiccicate addosso alle donne che bevono “troppo” sono davvero pesanti e rivelano stereotipi duri a morire:

  • Promiscuità sessuale: L’idea è che una donna che beve stia cercando attenzioni maschili, che sia intenzionalmente più “disponibile”. Termini come “poco di buono” o peggio ancora, “tr*ia” (usato, tristemente, anche da altre donne), sono dietro l’angolo. C’è questa assurda equazione: donna + alcol = disponibilità sessuale.
  • Mancanza di intelligenza: Come accennato, termini come “oche” o “galline” vengono usati per descrivere donne percepite come sciocche, rumorose, che cercano solo di mettersi in mostra in modo stupido quando bevono.
  • Devianza dagli standard di femminilità: Una donna che beve viene vista come “poco femminile”. Si usano termini come “ubriacona” o, sentite questa, “camionista”, per indicare un comportamento rude, mascolino, non appropriato per una signora. Anche la scelta del drink può fare la differenza: un gin tonic? “Roba da uomini”, ti dicono, come se bere qualcosa di forte ti rendesse automaticamente meno donna. E non dimentichiamo il collegamento con la maternità: avvicinandosi ai 30 anni, una donna che beve viene vista come una potenziale “cattiva madre”, anche se figli non ne ha o non ne vuole.
  • Oggettificazione: Sotto l’effetto dell’alcol, la donna può essere vista come un mero oggetto, un “giocattolo”, una “preda”. L’uomo che beve è “figo”, la donna che beve è “infelice”, “insicura”, cerca solo attenzioni.

Fotografia ritratto di una giovane donna italiana (25 anni) in un bar, espressione pensierosa e leggermente a disagio mentre tiene un bicchiere di vino, luce soffusa, obiettivo 35mm, profondità di campo ridotta per isolare il soggetto, toni duo blu e grigio.

Separazione: “Noi” donne perbene vs “Loro” che esagerano

Una delle cose che mi ha colpito di più è stata la componente della “separazione”. Non sono solo gli uomini a giudicare. Spesso sono le donne stesse a prendere le distanze da altre donne che mostrano segni di ubriachezza. Si crea una sorta di divisione: “noi”, le donne moderate, rispettabili, normali, e “loro”, quelle che esagerano, che hanno “qualcosa che non va”.

Frasi come “Guarda quella cosa sta facendo” dette tra amiche, o il considerare una donna che beve molto come una che “ha necessariamente un problema”, mentre un uomo nella stessa situazione “sta solo facendo l’uomo”, mostrano come questo stigma venga interiorizzato e perpetuato anche all’interno del genere femminile. Si rafforzano così le norme sociali su cosa sia un comportamento “accettabile” per una donna.

Il prezzo del giudizio: esclusione e colpevolizzazione

E arriviamo alla quarta componente dello stigma: la perdita di status e la discriminazione. Le donne che non si conformano alle aspettative sociali sul bere subiscono una forte riprovazione sociale. Vengono giudicate “brutte da vedere”, “disgustose”, persone con cui “non vorresti mai uscire”. E questo giudizio non si limita all’episodio specifico, ma intacca il valore della persona nella sua interezza. “Perdi valore come persona”, ha detto una partecipante, “è come se non fossi adatta alla società”.

Questo giudizio può essere così pesante da venire interiorizzato, portando a sentimenti di colpa e vergogna dopo aver bevuto un po’ di più. “Sentivo il peso di quello sguardo su di me, sapevo di aver sbagliato”, ha raccontato una ragazza.

Le conseguenze concrete?

  • Esclusione sociale: Si viene messe da parte, sparlate alle spalle, a volte persino filmate e umiliate sui social media (e qui, di nuovo, il doppio standard: un video di un ragazzo ubriaco fa ridere, quello di una ragazza la etichetta come “facile” o “senza valori”).
  • Colpevolizzazione (victim blaming): Questo è forse l’aspetto più inquietante. Se a una donna succede qualcosa di brutto mentre è ubriaca, specialmente se si tratta di violenza sessuale, la tendenza è quella di dire “se l’è cercata”. Il fatto che avesse bevuto o come fosse vestita diventa una giustificazione per l’aggressione subita. È un meccanismo terribile che sposta la responsabilità dall’aggressore alla vittima, basandosi proprio sugli stereotipi legati all’alcol e alla femminilità.

Scena in un locale notturno, una giovane donna seduta da sola a un tavolo con un drink, leggermente sfocata sullo sfondo un gruppo di persone che chiacchiera e ride, luce al neon ambientale, obiettivo zoom 24-70mm impostato a circa 50mm, atmosfera di isolamento e giudizio sociale.

Perché succede tutto questo? La radice nel potere

L’ultima componente dello stigma, secondo il modello usato nello studio, è lo squilibrio di potere. Lo stigma non nasce dal nulla, ma si radica in strutture sociali, economiche e politiche dove c’è una disparità. In questo caso, parliamo delle relazioni di genere nella nostra società, ancora influenzate da un modello patriarcale.

L’idea che la donna debba essere l'”angelo del focolare”, pura, controllata, serve a mantenere uno status quo, a limitare la libertà femminile e, in ultima analisi, a preservare una posizione di potere maschile. Stigmatizzare le donne che “deviano” da questo modello, anche attraverso il consumo di alcol, è un modo per esercitare controllo sociale.

Le ragazze intervistate ne sono consapevoli, parlano di “maschilismo”, di “mentalità chiusa”, del desiderio maschile di “sentirsi superiori”. Tuttavia, affrontare e smantellare questo stigma è difficile, proprio perché tocca le fondamenta delle relazioni di genere e del potere nella società. Alcune partecipanti hanno descritto strategie di coping che tendono più all’evitamento o alla negazione (“me ne frego del giudizio e continuo a bere”) piuttosto che a una sfida aperta allo stigma, forse percependo la sua forza radicata.

Cosa ci portiamo a casa?

Questo studio ci sbatte in faccia una realtà scomoda: in Italia, nel 2024, essere una donna che beve non è la stessa cosa che essere un uomo che beve. C’è uno stigma sottile ma pervasivo, che etichetta, giudica, esclude e colpevolizza. Questo non solo ha implicazioni sulla salute mentale e sul benessere delle donne, ma può anche renderle più vulnerabili e ostacolare la richiesta di aiuto in caso di problemi con l’alcol.

È fondamentale riconoscere questo fenomeno, parlarne apertamente e sfidare questi doppi standard. Non si tratta solo di difendere il diritto di una donna a bersi un bicchiere in pace, ma di mettere in discussione le più ampie disuguaglianze di genere che ancora permeano la nostra cultura. Le soluzioni non possono limitarsi a interventi educativi, ma devono affrontare le cause strutturali di questo stigma. Dobbiamo lavorare tutti insieme – uomini e donne – per cambiare la narrazione, nei media, nelle scuole, nei locali e, soprattutto, nelle nostre teste.

Fonte: Springer

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