Cuore Solitario o Cuore Infranto? Lo Stato Civile e il Rischio Cardiovascolare Sotto la Lente di 16 Esperti
Ciao a tutti! Vi siete mai chiesti perché, leggendo notizie scientifiche, a volte sembra che uno studio dica una cosa e un altro dica l’esatto contrario, magari sulla stessa identica questione? Ad esempio, il caffè fa bene o male? Un bicchiere di vino al giorno aiuta o danneggia? È frustrante, vero? Beh, oggi voglio parlarvi di un argomento affascinante che cerca di andare a fondo proprio di questo problema, applicato a un tema che tocca le corde emotive e la salute di molti: lo stato civile influisce sul rischio di malattie cardiovascolari?
Recentemente, mi sono imbattuto in uno studio epidemiologico davvero particolare, chiamato “multi-analista”. L’idea è semplice ma potente: dare gli stessi dati grezzi e la stessa domanda di ricerca a diversi gruppi di ricercatori indipendenti e vedere cosa succede. Un po’ come dare gli stessi ingredienti a 16 chef diversi e chiedere loro di preparare lo stesso piatto. Il risultato sarà identico? Probabilmente no.
L’Esperimento: 16 Squadre, 1 Domanda, 1 Set di Dati
Ed è proprio quello che hanno fatto in questo studio. Hanno coinvolto 16 gruppi di analisti (per un totale di 24 ricercatori, principalmente statistici, matematici ed epidemiologi) e hanno posto loro una domanda precisa: lo stato civile (specificamente, persone mai sposate rispetto a persone sposate e conviventi) influenza l’incidenza di malattie cardiovascolari (infarto o ictus)? Per rispondere, tutti hanno avuto accesso allo stesso enorme tesoro di dati: l’indagine SHARE (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe), che segue circa 140.000 persone over 50 in 28 paesi europei e Israele.
A ogni gruppo è stato chiesto di fornire una stima dell’effetto (il “succo” del risultato, tipo un odds ratio o un rischio relativo), un commento sui propri risultati e, fondamentale, tutto il codice usato per l’analisi. Massima trasparenza. L’obiettivo non era trovare la “risposta giusta”, ma capire quanto e perché i risultati potessero variare a seconda delle scelte fatte da ciascun analista. Queste scelte, chiamate “gradi di libertà del ricercatore”, sono decisioni legittime che si prendono durante l’analisi (come pulire i dati, definire esattamente chi è “mai sposato” o cosa conta come “evento cardiovascolare”, quali fattori di confondimento considerare, quale modello statistico usare…). Non si tratta di errori palesi o, peggio, di “p-hacking” (manipolare l’analisi per ottenere risultati significativi), ma di scelte soggettive ma difendibili.
Risultati Sorprendenti? Fino a un Certo Punto…
E i risultati? Beh, preparatevi. Ogni singola analisi è stata unica. Non ce n’erano due nemmeno lontanamente simili! La dimensione dei campioni analizzati variava enormemente, da circa 15.000 a oltre 330.000 osservazioni. E le stime dell’effetto? Andavano da un rischio ridotto per i mai sposati (0.72, cioè un 28% in meno rispetto agli sposati conviventi) a un rischio aumentato (1.31, cioè un 31% in più). Un intervallo bello ampio!
A prima vista, potrebbe sembrare il caos totale. La conferma che la ricerca epidemiologica è inaffidabile? Calma, calma. Scavando più a fondo, emerge un quadro più chiaro e, per certi versi, rassicurante. La principale fonte di questa enorme variazione non erano tanto le micro-decisioni su questo o quel dettaglio dell’analisi. No, il “colpevole” principale era il tipo di approccio analitico scelto: analisi trasversali (cross-sectional) contro analisi longitudinali.
Trasversale vs. Longitudinale: La Vera Linea di Divisione
Spieghiamoci meglio. Un’analisi trasversale è come una fotografia: scatta un’istantanea della popolazione in un dato momento e guarda chi è sposato/non sposato e chi ha/ha avuto una malattia cardiovascolare. Un’analisi longitudinale, invece, è come un film: segue le persone nel tempo (usando i dati raccolti nelle varie “ondate” dello studio SHARE) per vedere chi sviluppa nuovi casi di malattia cardiovascolare a seconda del proprio stato civile all’inizio o durante il periodo di osservazione.
Ebbene, le analisi che erano puramente o parzialmente trasversali tendevano a trovare un rischio più basso o simile per i mai sposati (stime tra 0.72 e 1.02). Quelle puramente longitudinali, invece, tendevano a trovare un rischio più alto per i mai sposati (stime tra 0.95 e 1.31). Perché questa differenza? Una possibile spiegazione è il cosiddetto “bias di prevalenza-incidenza”. Le persone mai sposate (specialmente gli uomini) che hanno un infarto o un ictus potrebbero avere una prognosi peggiore e morire prima, quindi sarebbero “sottorappresentate” tra i casi prevalenti in un’analisi trasversale. L’analisi longitudinale, guardando ai nuovi casi (incidenza) in persone inizialmente sane, è generalmente considerata più adatta per studiare le cause e l’influenza nel tempo.
Il team dello studio ha fatto anche delle analisi aggiuntive per confermarlo: prendendo un modello di base e cambiando solo il disegno da trasversale a longitudinale (mantenendo uguali definizioni di variabili, confondenti, etc.), la stima del rischio relativo passava da 0.76 (trasversale) a 1.10 (longitudinale). Bingo!
Le Scelte “Minori”: Quanto Contano Davvero?
E tutte le altre scelte? La definizione precisa di “mai sposato” o di “evento cardiovascolare”? I fattori per cui aggiustare l’analisi (età, sesso, istruzione, fumo, etc.)? Il tipo di modello statistico (regressione logistica, Cox, etc.)? Sorprendentemente, queste decisioni, pur variando tantissimo tra i gruppi (pensate che c’erano 14 diversi set di variabili di aggiustamento!), avevano un impatto molto minore sulla stima finale dell’effetto, una volta che si considerava il tipo di analisi (trasversale o longitudinale). Ad esempio, in un’analisi longitudinale specifica, cambiando i vari set di aggiustamento scelti dai team, il rischio relativo variava solo tra 1.10 e 1.16. Una differenza decisamente più contenuta rispetto all’abisso tra 0.72 e 1.31!
Questo non significa che queste scelte non siano importanti, anzi. Ma in questo specifico caso, il “grande bivio” era tra guardare una foto istantanea o seguire un film nel tempo. È interessante notare anche come metodi statistici più moderni (come l’imputazione multipla per gestire i dati mancanti, i grafici aciclici diretti per scegliere i confondenti, l’emulazione di trial target) siano stati usati pochissimo. Forse per la complessità dei dati SHARE, forse per abitudini consolidate.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questo studio multi-analista ci lascia con una visione meno pessimistica rispetto ad altri studi simili condotti in discipline come la psicologia o le neuroscienze, dove a volte i risultati variavano dal positivo al negativo senza un chiaro perché. Qui, gran parte della variabilità sembra riconducibile a una scelta fondamentale sul disegno dello studio, che a sua volta risponde a domande leggermente diverse (prevalenza vs. incidenza). Le analisi che miravano a stimare quantità simili (lo stesso “estimand”, direbbero gli statistici) e usavano campioni simili, hanno prodotto risultati più omogenei.
Certo, rimangono delle lezioni importanti:
- La chiarezza è tutto: La domanda di ricerca deve essere formulata nel modo più rigoroso possibile, specificando esattamente cosa si vuole misurare (l’estimand). Gli autori dello studio pensavano che le parole “influenza” e “incidenza” avrebbero spinto tutti verso analisi longitudinali, ma così non è stato, forse per l’interpretazione o per la complessità dei dati.
- Trasparenza necessaria: Rendere disponibili dati e codice è fondamentale, anche se, realisticamente, pochi andranno a spulciare migliaia di righe di codice.
- Esplorare l’incertezza: Le analisi “multiverso” (in cui lo stesso ricercatore prova molteplici scelte analitiche ragionevoli) e altri studi multi-analista possono aiutarci a capire meglio la robustezza dei risultati.
- Privilegiare il disegno robusto: Quando si studiano cause ed effetti nel tempo, le analisi longitudinali sono generalmente da preferire a quelle trasversali, e bisogna considerare attentamente come gestire i dati mancanti e i cambiamenti nel tempo.
Insomma, la prossima volta che leggete di studi apparentemente contraddittori, ricordatevi di questa storia. La variabilità non è necessariamente segno di cattiva scienza, ma può derivare da scelte metodologiche diverse, a volte con impatti enormi (come la scelta tra trasversale e longitudinale), altre volte con impatti minori. Capire queste sfumature è cruciale per interpretare correttamente i risultati della ricerca e per fare progressi reali nella conoscenza. E forse, ci aiuta anche a capire un po’ meglio la complessa relazione tra il nostro cuore e i legami che scegliamo (o non scegliamo) di stringere.
Fonte: Springer