Un team eterogeneo di professionisti, rappresentanti di startup e grandi aziende, che collaborano intensamente attorno a un tavolo luminoso con interfacce olografiche, 35mm portrait, stile film noir con profondità di campo, a simboleggiare le sfide e le sinergie nella trasformazione digitale.

Startup vs. Colossi Aziendali: Chi Suda di Più nella Giungla della Trasformazione Digitale?

Amici, parliamoci chiaro: la trasformazione digitale. Due parole che ormai sentiamo ovunque, quasi come il prezzemolo. Ma cosa significano davvero per chi fa impresa? E soprattutto, è la stessa battaglia per una startup appena nata e per un colosso aziendale con decenni di storia alle spalle? Recentemente mi sono imbattuto in uno studio tedesco illuminante (tranquilli, ve lo racconto in parole semplici!) che ha messo a confronto proprio questi due mondi, identificando le barriere socio-tecniche che si parano davanti a startup e grandi aziende. E vi assicuro, le differenze ci sono, eccome, ma anche qualche inaspettata somiglianza.

L’idea di base è che la trasformazione digitale non è solo una questione di comprare nuovi software o lanciare un e-commerce. No, è un cambiamento che scuote le fondamenta: tecnologia, persone e organizzazione. Immaginate un delicato ecosistema: se toccate un filo, tutto il resto ne risente. Ecco, lo studio ha usato un approccio simile, analizzando queste tre dimensioni per capire dove si inceppa il meccanismo.

Ma perché questo confronto è così interessante?

Beh, pensateci un attimo. Le startup, per definizione, sono giovani, affamate di innovazione, flessibili come giunchi. Nascono spesso già digitali o con una forte propensione alla tecnologia. I colossi, invece, hanno strutture consolidate, processi rodati (a volte un po’ arrugginiti, diciamocelo), risorse finanziarie imponenti, ma anche una certa inerzia al cambiamento. È un po’ come paragonare un motoscafo agile e scattante a una maestosa nave da crociera: entrambi navigano, ma con stili e sfide diverse.

Lo studio si è basato su interviste a esperti di entrambi i mondi, cercando di capire quali fossero gli ostacoli più sentiti. E i risultati, ve lo anticipo, sono una miniera d’oro per chiunque stia affrontando questo percorso.

Le Barriere Tecnologiche: Un Campo Minato Diverso per Ciascuno

Quando si parla di tecnologia, le differenze emergono subito.

Per le startup, il tasto dolente è spesso la mancanza di risorse. Immaginate di dover costruire un’auto da corsa mentre state già gareggiando per vincere il campionato e, magari, per pagare l’affitto del garage! L’automazione dei processi, ad esempio, è un sogno, ma richiede tempo, denaro e competenze specifiche che spesso scarseggiano. E poi c’è la mancanza di stabilità dei processi: in una startup tutto cambia velocemente, i processi di oggi potrebbero essere obsoleti domani. Automatizzare qualcosa che non è ancora “fermo” è come cercare di inchiodare una gelatina al muro. Altri scogli? L’implementazione e l’uso non ottimale delle tecnologie, la difficoltà di far crescere i sistemi al passo con l’azienda e, non da ultimo, le vulnerabilità di sicurezza che aumentano con la complessità.

E i grandi gruppi? Loro nuotano nell’oro, direte voi. Sì, ma hanno altri grattacapi. La mancanza di standardizzazione dei processi in ambienti enormi e interconnessi è un incubo. Ogni dipartimento, ogni filiale, potrebbe avere il suo “dialetto” tecnologico. L’alta complessità dell’ambiente dei processi, con fornitori, clienti e partner esterni, rende l’automazione un puzzle da mille pezzi. C’è poi la dipendenza dai “process owner”, figure chiave che se non collaborano bloccano tutto. L’usabilità insufficiente di tecnologie sovraccariche e la mancanza di compliance nella cybersecurity sono altri mostri da affrontare. E non dimentichiamo la difficoltà di integrare nuovi sistemi in architetture IT che sembrano labirinti e il conseguente aumentato bisogno di formazione.

C’è però un terreno comune di sofferenza: l’insufficiente usabilità delle tecnologie (sì, anche per le startup, che magari scelgono tool non proprio intuitivi) e, soprattutto, l’inadeguata preparazione e strutturazione dei dati. Un problema che affligge quasi tutti, come un raffreddore digitale. Anche la mancanza di centralizzazione dei dati è un problema condiviso, rendendo difficile l’accesso e l’utilizzo efficace delle informazioni.

Primo piano di ingranaggi meccanici complessi che si intersecano con linee di codice digitale luminoso, macro lens, 80mm, illuminazione controllata ad alto dettaglio, a simboleggiare le sfide dell'integrazione tecnologica e dell'automazione nella trasformazione digitale.

Le Persone: Il Cuore (e a Volte il Freno) della Trasformazione

Passiamo ora al fattore umano, forse il più delicato. Perché la tecnologia più avanzata del mondo non serve a nulla se le persone non la sanno usare, non la vogliono usare o, peggio, ne hanno paura.

Una barriera comune, e molto sentita, sono le lacune di competenze. Nelle startup, spesso si impara “facendo”, senza una formazione strutturata. Nei colossi, la velocità dell’evoluzione tecnologica lascia indietro anche i più esperti. Legato a questo, nelle grandi aziende si fatica con una diagnosi inadeguata delle competenze: come fai a offrire formazione mirata se non sai cosa sanno (o non sanno) i tuoi dipendenti? Le startup, dal canto loro, lottano con la difficoltà di reclutare e trattenere talenti.

Il mancanza di impegno (engagement) è un’altra bestia nera, più sentita nelle grandi aziende, dove le strutture rigide e le modalità di lavoro poco flessibili possono smorzare l’entusiasmo. Ma anche nelle startup, dove i compiti sono spesso molto ampi, la motivazione può vacillare. Entrambi i tipi di aziende lamentano poi la mancanza di risorse per la formazione continua: budget risicati o, nel caso delle startup, semplicemente il tempo che manca.

Le startup soffrono anche per compiti poco chiari e in continuo cambiamento. La flessibilità è un’arma a doppio taglio: le priorità cambiano, le responsabilità si sovrappongono, e pianificare diventa un’impresa. La sovra-sollecitazione lavorativa è un classico, con persone che ricoprono più ruoli contemporaneamente. Anche la gestione tecnologica insufficiente per la collaborazione e il famigerato “pensiero a silos” (ognuno pensa al suo orticello) minano il lavoro di squadra. Le responsabilità che cambiano di continuo e la mancanza di scambio personale in presenza (il full remote ha i suoi limiti!) sono altri punti critici, insieme all’elevato sforzo di coordinamento e ai vincoli legali.

I colossi aziendali, invece, si scontrano con la mancanza di adattabilità dei dipendenti, specialmente con ampie fasce d’età e aspettative diverse verso la tecnologia. La sovra-sollecitazione lavorativa qui è spesso dovuta alla miriade di strumenti disponibili, che invece di aiutare, confondono. Il “pensiero a silos” è una piaga biblica. Le responsabilità poco chiare per la DT, la bassa autoefficacia dei dipendenti (paura del futuro), le competenze digitali eterogenee nei team, i modelli di lavoro inflessibili, un design del posto di lavoro poco attraente (uffici open space rumorosi) e la difficoltà ad attrarre talenti (la competizione è feroce!) completano il quadro. Non ultima, la mancanza di risorse tecnologiche adeguate per i dipendenti.

L’Organizzazione: Strutture che Aiutano o Ingabbiano?

Infine, l’organizzazione stessa. Le fondamenta su cui tutto poggia.

Per le startup, una sfida è mantenere la cultura aziendale in strutture decentralizzate. Se tutti lavorano da remoto o in sedi diverse, come si crea quel senso di squadra? La mancanza di disponibilità al cambiamento (sì, anche nelle startup, anche se meno che nei colossi) e una cultura dell’errore insufficiente (dove sbagliare è visto male) sono presenti. Nel management dei processi, emergono la mancanza di trasparenza nella comunicazione (i processi restano legati alle singole persone), la mancanza di capacità (mancano specialisti e tempo per documentare) e, soprattutto, la mancanza di standardizzazione dei processi. Come dicevo prima, l’organizzazione cambia così in fretta che stabilizzare i processi sembra un lusso.

I colossi, ahimè, combattono con strutture di leadership e organizzative inadeguate. Gerarchie troppo rigide, paura di perdere il controllo, canali di comunicazione inefficaci. La mancanza di disponibilità al cambiamento qui è un macigno, così come una cultura dell’errore poco sviluppata. A livello di processi, la mancanza di trasparenza è un problema serio (processi non documentati o modellati), insieme a strutture organizzative obsolete che frenano l’innovazione e la flessibilità. La mancanza di agilità nei progetti di trasformazione digitale, spesso complessi, è un altro ostacolo.

Un problema che unisce tutti, ma proprio tutti, è il trasferimento di conoscenze insufficiente. Il sapere specialistico spesso non viene centralizzato o documentato, rimanendo legato alle singole persone. Mancano strutture e strumenti che facilitino lo scambio. Nelle grandi aziende, c’è anche un elevato sforzo per la preparazione della conoscenza (costoso e lungo). Le startup, inoltre, vedono il knowledge management complicato dai frequenti aggiustamenti del modello di business e dalla mancanza di un regolamento chiaro per la gestione delle informazioni.

Un gruppo eterogeneo di persone, alcune in abiti da startup casual e altre in abiti corporate formali, che discutono animatamente attorno a un tavolo con post-it e lavagne digitali, 35mm portrait, duotone blu e grigio, a simboleggiare le sfide umane e organizzative nella collaborazione per la trasformazione digitale.

Tiriamo le Somme: Chi Sta Peggio?

Lo studio ha anche chiesto agli esperti di “pesare” queste barriere. E qui le cose si fanno ancora più interessanti. In generale, le startup vedono le sfide come meno critiche rispetto ai colossi. Per loro, le aree più rognose sono il data management (gestione dei dati), la collaborazione e il knowledge management (gestione della conoscenza). Comprensibile: sono aspetti cruciali per l’agilità e l’innovazione.

Le differenze più marcate tra startup e grandi aziende? Eccole:

  • Cultura aziendale: un macigno per i colossi, molto meno per le startup con le loro gerarchie piatte.
  • Qualificazione: più tosta per i grandi gruppi, data la mole di persone da formare.
  • Automazione: più complessa per i colossi, con i loro processi intricati.

In sostanza, i colossi si sentono più impantanati a causa di strutture rigide e complessità maggiori. Le startup, invece, pur essendo più agili, devono comunque domare la gestione dei dati, la collaborazione e la diffusione del sapere per non perdere il loro vantaggio competitivo.

E Quindi? Che Si Fa? Qualche Spunto Pratico

Identificare le barriere è il primo passo, ma non basta. Bisogna agire! Lo studio suggerisce che sia startup che grandi aziende possono imparare molto l’una dall’altra. E ci sono già esempi virtuosi.

Un colosso ha introdotto dei “centri di competenza dati” nei vari dipartimenti per ridurre la dipendenza dall’IT e far sì che i team imparino a lavorare con i dati. Geniale, no? Una startup, per risolvere il problema della condivisione della conoscenza, ha adottato la piattaforma Notion per documentare tutto e ha creato una “Wissen-to-go-Reihe” (una specie di “pillole di sapere da asporto”), un’ora fissa in cui i membri del team presentano temi attuali. Semplice ed efficace!

Certo, ogni azienda è un mondo a sé, ma alcune idee generali possono essere utili:

  • Per le startup:
    • Dare priorità alla standardizzazione dei processi chiave man mano che l’azienda cresce.
    • Investire in strumenti di collaborazione e knowledge management fin da subito.
    • Non sottovalutare la formazione, anche con risorse limitate (peer learning, corsi online).
  • Per i colossi:
    • Promuovere una cultura del cambiamento e dell’errore, partendo dall’alto.
    • Semplificare le strutture e i processi, ove possibile.
    • Investire massicciamente in upskilling e reskilling digitale.
    • Creare team interfunzionali per abbattere i silos.

E perché non favorire più collaborazioni tra startup e grandi aziende? Eventi di networking, workshop congiunti, progetti pilota… Le startup portano agilità e idee fresche, i colossi risorse e mercato. Un matrimonio che, se ben gestito, potrebbe fare faville per la trasformazione digitale di entrambi.

Un’Ultima Riflessione (con i Piedi per Terra)

Questo studio, come ogni ricerca, ha i suoi limiti: il numero di intervistati, una certa concentrazione di aziende chimiche tra i colossi, il focus sulle barriere interne. Però, ci offre una mappa preziosa delle insidie della trasformazione digitale. Ci dice che non esistono soluzioni magiche uguali per tutti, ma che capire le proprie debolezze specifiche è fondamentale per tracciare la rotta giusta.

La trasformazione digitale è un viaggio, non una destinazione. E che siate al timone di un agile motoscafo o di una maestosa nave da crociera, l’importante è continuare a navigare, imparando dagli ostacoli e, perché no, anche dalle onde sollevate dagli altri naviganti.

Fonte: Springer

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