Gruppo eterogeneo di adolescenti (9-14 anni) che partecipano a diverse attività sportive ed extrascolastiche (calcio, musica, danza) in un parco soleggiato. Fotografia di gruppo, obiettivo zoom 35mm, colori vivaci, profondità di campo media per mostrare sia i ragazzi che lo sfondo.

Sport e Attività Extrascolastiche: Un Privilegio per Pochi Adolescenti?

Ragazzi, parliamoci chiaro. L’adolescenza è quel periodo pazzesco in cui si gettano le basi per un sacco di cose, inclusa la nostra salute futura. E una delle cose più fighe e utili che possiamo fare è muoverci, fare sport, buttarci in attività che ci piacciono dopo la scuola. Non lo dico io, eh! Lo dicono fior di studi: chi fa attività fisica da giovane sta meglio, va meglio a scuola e rischia meno di infilarsi in guai come fumo, alcol o droghe. Addirittura, pare che muoversi da ragazzi protegga il cuore e tenga lontane malattie come il diabete di tipo 2 più di quanto faccia muoversi solo da adulti. Insomma, fare sport da giovani è un investimento pazzesco per la vita.

Peccato che non sia così facile per tutti. Le linee guida dicono che i ragazzi tra i 5 e i 17 anni dovrebbero fare almeno 60 minuti al giorno di attività fisica da moderata a intensa. Sembra tanto? Forse, ma la realtà è che la stragrande maggioranza degli adolescenti, sia negli USA (dove è stato fatto lo studio di cui vi parlo) che nel mondo, non ci arriva neanche vicino. Parliamo di oltre il 70-80% che non si muove abbastanza! E la pandemia di COVID-19, diciamocelo, ha dato il colpo di grazia, chiudendo palestre, campi sportivi e bloccando le attività scolastiche.

Lo studio ABCD: una lente d’ingrandimento sugli adolescenti USA

Proprio per capire meglio come stanno le cose, un gruppo di ricercatori ha analizzato i dati dell’Adolescent Brain and Cognitive Development (ABCD) Study, uno studio enorme che segue migliaia di ragazzi americani (quasi 11.300 in questo caso!) dai 9-10 anni fino ai 12-14 anni. L’obiettivo? Vedere chi fa sport e attività extrascolastiche, quali attività vanno per la maggiore e, soprattutto, se ci sono differenze legate a fattori sociali come il sesso, l’orientamento sessuale, l’etnia, il reddito familiare o il livello di istruzione dei genitori. Questa si chiama epidemiologia sociale: studiare come la società influenza la nostra salute e i nostri comportamenti.

Cosa abbiamo scoperto? Meno movimento e più disparità

I risultati, pubblicati su Springer Nature, parlano chiaro e, un po’, fanno preoccupare. Prima cosa: l’attività fisica media dei ragazzi (misurata in MET-ore/settimana, un modo per quantificare l’energia spesa) è diminuita significativamente nel corso dei tre anni di follow-up dello studio (dal 2017-2019 al 2019-2021). Di pari passo, è calata anche la percentuale di ragazzi che raggiungevano le fatidiche linee guida sull’attività fisica: dal 22% si è scesi al 18,3%. Un calo che potrebbe essere legato all’età (spesso crescendo si fa meno sport), ma sicuramente amplificato dalla pandemia.

Grafico a linee che mostra un trend discendente dell'attività fisica (MET-h/settimana) negli adolescenti tra i 9 e i 14 anni su un periodo di tre anni. Macro lens, 60mm, high detail, controlled lighting.

Quali sono le attività preferite? E chi le fa?

All’inizio dello studio (quando i ragazzi avevano 9-10 anni), le attività più gettonate erano:

  • Calcio (38,3%)
  • Suonare uno strumento musicale (37,1%)
  • Nuoto/Pallanuoto (30,5%)
  • Baseball/Softball (25,9%)
  • Danza classica/Danza (24,3%)

Tre anni dopo, però, la risposta più comune è stata… non aver fatto nessuna attività specifica! Tra quelle praticate, sono emersi il disegno (14,2%) e il basket (13,5%), mentre nuoto e baseball/softball perdevano posizioni.

Ma la cosa più interessante sono le differenze. Abbiamo visto che:

  • I maschi tendono a fare più calcio e baseball/softball.
  • Le femmine preferiscono suonare strumenti, nuotare e danzare.

Queste differenze di genere si vedono anche in altre attività: i ragazzi sono più su basket, football americano, arti marziali; le ragazze su ginnastica, pallavolo, disegno/pittura e teatro.

Il fattore socio-economico: il portafoglio conta (purtroppo)

Qui arrivano le note dolenti. Lo studio ha mostrato chiaramente che i fattori socio-demografici pesano tantissimo sulla possibilità di fare sport e attività.

  • Reddito e Istruzione dei Genitori: I ragazzi provenienti da famiglie con redditi più bassi e con genitori meno istruiti fanno significativamente meno attività fisica (misurata in MET-ore/settimana). Questo vale sia all’inizio che alla fine dello studio. Partecipano anche meno alle attività più comuni come calcio, musica, nuoto, baseball e danza. Perché? I motivi possono essere tanti: i costi elevati degli sport organizzati, scuole con meno risorse e offerte sportive, mancanza di accesso a strutture sicure e adeguate nel quartiere, forse anche meno consapevolezza da parte dei genitori sui benefici dell’attività fisica o meno possibilità di accompagnare i figli.
  • Sesso: All’inizio dello studio (9-10 anni), i maschi erano più attivi delle femmine. Questa differenza, però, tendeva a scomparire tre anni dopo, forse perché l’attività fisica diminuiva un po’ per tutti. Le ragazze spesso incontrano più barriere: stereotipi di genere (“lo sport non è femminile”), preoccupazioni per l’immagine corporea, a volte meno opportunità o supporto.
  • Orientamento Sessuale: I ragazzi che si identificavano come gay/bisessuali facevano meno attività fisica rispetto ai coetanei eterosessuali. Questo è un dato triste ma confermato da altre ricerche. Spesso gli adolescenti delle minoranze sessuali evitano gli ambienti sportivi (spogliatoi, campi) per paura di sentirsi insicuri, giudicati o vittime di bullismo.
  • Etnia: Anche qui le cose sono complesse. All’inizio, i ragazzi di origine asiatica erano meno attivi dei bianchi (ma più propensi a suonare strumenti o nuotare). Tre anni dopo, erano i ragazzi di origine latina/ispanica e nativa americana a mostrare livelli di attività più bassi rispetto ai bianchi. Le cause? Ancora una volta, accesso limitato a strutture, vincoli di tempo (studio, lavoretti, aiuto in famiglia), differenze culturali o nel supporto familiare.

Due spogliatoi sportivi vuoti, uno illuminato e accogliente, l'altro più buio e meno invitante, a simboleggiare le diverse esperienze di sicurezza e inclusione. Obiettivo grandangolare 24mm, profondità di campo, illuminazione contrastante.

Perché tutto questo ci interessa? Implicazioni e possibili soluzioni

Questi risultati non sono solo numeri, ci dicono che il diritto a giocare e a muoversi non è uguale per tutti. E questo ha conseguenze sulla salute a lungo termine e sul benessere dei ragazzi. Cosa possiamo fare?
Lo studio suggerisce alcune piste:

  • La Scuola al Centro: Visto che i ragazzi passano tanto tempo a scuola e i costi sono una barriera, potenziare i programmi sportivi scolastici (come i tornei interni o le attività pomeridiane) potrebbe essere una soluzione accessibile, specialmente per chi viene da contesti svantaggiati. E fa bene anche al rendimento scolastico!
  • Creare Ambienti Positivi: Insegnanti, allenatori, educatori hanno un ruolo chiave nel creare un clima di supporto, inclusivo, dove tutti si sentano a proprio agio, combattendo stereotipi (soprattutto verso le ragazze e le minoranze sessuali) e bullismo.
  • Informazione e Prevenzione: Anche i medici e i pediatri possono fare la loro parte, parlando con ragazzi e famiglie dei benefici del movimento e dando informazioni corrette sulla gestione degli infortuni sportivi (un altro ostacolo, specie per chi ha meno accesso a cure mediche).

L’idea è sviluppare strategie mirate che tengano conto di queste differenze sociali, economiche e culturali.

Limiti e Punti di Forza dello Studio

Ogni studio ha i suoi limiti. Questo è osservazionale, quindi non può stabilire cause ed effetti certi. I dati sull’attività fisica sono stati riportati dai genitori, che a volte non sono precisissimi (spesso sovrastimano!). Inoltre, un piccolo cambiamento nel modo di fare le domande tra l’inizio e la fine ha reso difficile un confronto diretto su tutto il periodo.
Però, i punti di forza sono notevoli: un campione enorme e molto diversificato di adolescenti, l’uso di un questionario dettagliato (SAI-Q) che include anche attività non prettamente sportive come la musica, e l’uso dei MET-ore/settimana che dà una misura più precisa dell’intensità e durata dell’attività.

Un medico sorridente che parla con un adolescente e un genitore nel suo studio, indicando un poster sui benefici dell'attività fisica. Fotografia ritrattistica, obiettivo 50mm, luce naturale dalla finestra, profondità di campo per mettere a fuoco i soggetti.

In Conclusione: Un Appello all’Azione

Insomma, questa ricerca ci sbatte in faccia una realtà: le opportunità di fare sport e attività extrascolastiche durante l’adolescenza non sono distribuite equamente. Reddito, istruzione dei genitori, sesso, orientamento sessuale, etnia… tutto contribuisce a creare disparità che possono avere un impatto duraturo sulla salute. Capire queste dinamiche è il primo passo per pensare a interventi mirati, a politiche pubbliche più eque e a un impegno collettivo per garantire a tutti i ragazzi, nessuno escluso, la possibilità di crescere sani, attivi e felici. C’è ancora tanto da studiare per capire a fondo i meccanismi e le motivazioni, ma una cosa è certa: non possiamo stare a guardare.

Fonte: Springer

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