Chemioterapia Pre-Pubertà e Fertilità Futura: Si Può Fare Sperma in Provetta?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che tocca le vite di tanti giovani guerrieri: la lotta contro il cancro infantile e le sue conseguenze sulla fertilità futura. Immaginate un bambino che affronta una leucemia, la forma di cancro più comune in età pediatrica. Grazie ai progressi della medicina, oggi oltre l’80% di loro sopravvive. Una notizia meravigliosa, vero? Ma c’è un’ombra che spesso si allunga su questo successo: il rischio di infertilità causato dalle terapie salvavita, come la chemioterapia.
Il Dilemma: Cancro Infantile e Fertilità
Quando un bambino deve sottoporsi a chemioterapia prima della pubertà, le sue cellule germinali (quelle che un giorno produrranno gli spermatozoi) sono particolarmente vulnerabili. Farmaci come la Citarabina (Ara-C) e la Daunorubicina (DNR), usati spesso contro le leucemie, sono considerati a “basso rischio” per la fertilità maschile, ma cosa significa davvero “basso rischio” quando si parla di un tessuto così delicato e in pieno sviluppo? Gli studi sugli effetti specifici di questi farmaci sui testicoli pre-puberali sono sorprendentemente scarsi.
La Citarabina è un tipo furbo di farmaco: si finge un mattoncino del DNA (la citidina) ma, una volta incorporato, blocca la costruzione della catena del DNA, fermandone la sintesi e la riparazione. La Daunorubicina, invece, si infila direttamente nella doppia elica del DNA, scombussolandola e impedendo la lettura e la copia delle informazioni genetiche. Può anche causare rotture nel DNA e generare radicali liberi dannosi.
Ora, per i ragazzi che non producono ancora spermatozoi, l’unica opzione per preservare la fertilità è congelare piccoli frammenti del loro tessuto testicolare prima che le terapie più aggressive inizino. Spesso, però, una prima chemio a basso dosaggio è già stata somministrata. E qui nasce la domanda cruciale che ci siamo posti nel nostro studio: questo tessuto, già “toccato” dalla chemio, potrà un giorno essere utilizzato per produrre spermatozoi funzionanti, magari facendolo maturare in vitro (in laboratorio)?
La Nostra Indagine sui Topolini
Per capirci qualcosa di più, abbiamo usato un modello animale, i topolini. Abbiamo somministrato a topolini molto giovani (3 giorni di vita, ben prima della pubertà e dell’inizio della meiosi) una singola dose bassa di Citarabina o Daunorubicina, simile a quelle usate in clinica umana. Poi abbiamo seguito cosa succedeva ai loro testicoli in diversi momenti:
- Pochissimi giorni dopo (a 6 giorni di vita), per vedere gli effetti immediati.
- Oltre un mese dopo (a 36 giorni di vita), alla fine della “prima ondata” di produzione di sperma (spermatogenesi), per vedere gli effetti a lungo termine in vivo (dentro il corpo).
- Abbiamo anche preso il tessuto testicolare dei topolini di 6 giorni (esposti o meno alla chemio) e abbiamo provato a farlo maturare in vitro per 30 giorni, per vedere se riuscivamo a ottenere spermatozoi in provetta.
L’obiettivo era duplice: verificare se queste dosi fossero davvero a “basso rischio” in vivo e, soprattutto, capire se la spermatogenesi in vitro fosse una strada percorribile per il futuro recupero della fertilità usando tessuto pre-esposto.
Cosa Succede Dentro il Corpo (In Vivo)?
Allora, cosa abbiamo scoperto guardando i testicoli dei topolini cresciuti normalmente dopo la chemio?
Effetti a breve termine (3 giorni dopo l’iniezione):
- La Citarabina (Ara-C) non sembrava aver fatto danni immediati: peso dei testicoli, numero di cellule precursori (spermatogoni), divisione cellulare (proliferazione), morte cellulare (apoptosi) e rotture del DNA erano simili ai controlli non trattati.
- La Daunorubicina (DNR), invece, ha mostrato subito qualche effetto negativo: un rapporto più basso tra spermatogoni e cellule di supporto (Sertoli) e una minore proliferazione cellulare nei tubuli seminiferi (le “fabbriche” di sperma). Questo suggerisce che gli spermatogoni, cellule che si dividono attivamente, sono sensibili anche a basse dosi di DNR.
Effetti a lungo termine (alla fine della prima ondata di spermatogenesi, 36 giorni):
- Con la Citarabina, la spermatogenesi è andata avanti senza intoppi apparenti. Il tessuto sembrava sano, il numero di cellule germinali era normale, così come proliferazione e apoptosi. La produzione di sperma è arrivata fino alla fine. L’unico campanello d’allarme? Una percentuale significativamente più alta di spermatozoi con DNA frammentato. Questo potrebbe significare che il farmaco, pur non bloccando la produzione, lascia delle “cicatrici” nel DNA che persistono fino allo spermatozoo maturo.
- Con la Daunorubicina, abbiamo notato che i tubuli seminiferi erano un po’ più piccoli del normale, ma il peso totale dei testicoli e il contenuto di cellule germinali non erano significativamente diversi dai controlli. Anche qui, la spermatogenesi è arrivata a compimento. Tuttavia, come per la Citarabina, abbiamo trovato una maggior percentuale di spermatozoi con DNA frammentato. Le antracicline come la DNR sono note per causare danni al DNA.
Nel complesso, questi risultati in vivo confermano che le dosi usate sono, in effetti, a bassa gonadotossicità: non hanno impedito la prima ondata di produzione di sperma. Questo è rassicurante.
E in Laboratorio (In Vitro)?
Questa era la parte più emozionante: potevamo far maturare il tessuto pre-esposto alla chemio in una piastra di coltura e ottenere spermatozoi? La risposta, per la prima volta con questi farmaci, è SÌ!
Sia i tessuti esposti a Citarabina che quelli esposti a Daunorubicina sono stati in grado di completare la spermatogenesi in vitro, arrivando a produrre spermatozoi allungati dopo 30 giorni di coltura. Questo è un risultato importantissimo: suggerisce che il potenziale delle cellule staminali spermatogoniali di differenziarsi non viene completamente annullato da queste basse dosi di chemio.
Ma (c’è sempre un ma nella ricerca)… il processo in vitro non è stato una passeggiata, né per i tessuti esposti né per quelli di controllo:
- Efficienza ridotta: In generale, la coltura in vitro ha prodotto molte meno cellule germinali rispetto alla crescita in vivo. Il rapporto cellule germinali/cellule di Sertoli era drasticamente più basso.
- Blocchi nella produzione: Una buona parte dei tubuli seminiferi si è “bloccata” durante la meiosi, soprattutto allo stadio di spermatocita pachitene (uno stadio intermedio cruciale). Con la Citarabina, abbiamo visto anche un blocco un po’ più precoce (leptotene/zigotene).
- Più stress cellulare: Abbiamo osservato più cellule con rotture del DNA (marcate da γH2A.X) e più cellule in apoptosi (morte cellulare programmata) nelle colture in vitro rispetto ai testicoli cresciuti in vivo, indipendentemente dal trattamento chemio. La DNR, in particolare, ha aumentato le rotture del DNA anche in vitro.
- Qualità degli spermatozoi: La percentuale di spermatozoi con DNA frammentato era più alta negli spermatozoi prodotti in vitro rispetto a quelli prodotti in vivo (sia nei controlli che nei trattati con Ara-C). Curiosamente, con la DNR, la percentuale di DNA danneggiato negli spermatozoi in vitro non era diversa dai controlli in vitro, ma era comunque più alta rispetto ai controlli in vivo.
Questi risultati ci dicono due cose fondamentali: primo, la spermatogenesi in vitro da tessuto prepuberale esposto a basse dosi di Ara-C o DNR è fattibile, aprendo una speranza concreta per il futuro. Secondo, il sistema di coltura organotipica che usiamo, pur essendo il migliore disponibile oggi per i topi, ha ancora bisogno di essere ottimizzato per ridurre lo stress cellulare e migliorare l’efficienza e la qualità degli spermatozoi prodotti.
Tiriamo le Somme: Speranze e Sfide
Quindi, cosa portiamo a casa da questo studio? La notizia più bella è che, per la prima volta, abbiamo dimostrato che è possibile ottenere una spermatogenesi completa in vitro partendo da tessuto testicolare di topo esposto in età pre-puberale a basse dosi di Citarabina o Daunorubicina. Questo è un passo avanti significativo e promettente per quei ragazzi che hanno dovuto iniziare la chemio prima di poter congelare il loro tessuto testicolare. L’approccio in vitro potrebbe davvero diventare un’opzione per restituire loro la possibilità di avere figli.
Tuttavia, la strada verso l’applicazione clinica è ancora lunga. Dobbiamo lavorare sodo per migliorare le condizioni di coltura in vitro. L’obiettivo è renderle più simili all’ambiente naturale del testicolo, per aumentare il numero di spermatozoi prodotti e, soprattutto, per garantirne la qualità e la sicurezza, riducendo al minimo i danni al DNA. Bisognerà analizzare a fondo la funzionalità di questi spermatozoi “artificiali”.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che anche il cancro stesso, prima di qualsiasi trattamento, potrebbe avere un impatto sulla salute del tessuto testicolare. E poi ci sono le alternative, come il trapianto di cellule staminali spermatogoniali dopo averle isolate e magari purificate dalle cellule tumorali, un’altra area di ricerca intensa.
Insomma, il nostro lavoro aggiunge un tassello importante al puzzle complesso della fertilità dopo il cancro infantile. È una storia di sfide, ma anche di grande speranza, alimentata dalla ricerca che, passo dopo passo, cerca di offrire un futuro più sereno a questi giovani sopravvissuti.
Fonte: Springer