Immagine concettuale, wide-angle 10mm, sharp focus, che mostra una mappa del mondo fisica parzialmente sovrapposta da una griglia digitale luminosa e complessa, con icone rappresentanti dati, infrastrutture (cavi, satelliti) e simboli di controllo (scudi, lucchetti), a simboleggiare la sovrapposizione e la tensione tra sovranità territoriale e digitale.

Sovranità Digitale: Chi Comanda Davvero nel Cyberspazio?

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, un po’ complesso ma tremendamente attuale: quello della sovranità nell’era digitale. Vi siete mai chiesti cosa succede ai vecchi concetti di confine, territorio e potere quando tutto si sposta online, in quel luogo strano e senza limiti fisici che chiamiamo cyberspazio? Beh, preparatevi, perché stiamo per esplorare proprio questo.

Ma cos’è questa Sovranità? Un ripassino veloce

Partiamo dalle basi. Quando pensiamo alla sovranità, ci vengono in mente re, stati, confini ben definiti su una mappa. È un concetto che ha radici profonde nella storia, pensate a Jean Bodin nel ‘500 o alla Pace di Westfalia nel 1648 (anche se gli storici dibattono sulla sua reale importanza come “punto zero”). In sostanza, si parla del potere supremo e legittimo che un’autorità (di solito lo Stato) esercita su un territorio e sulla sua popolazione.

Ci sono due aspetti chiave qui:

  • Autorità: Il diritto riconosciuto di governare, con lo Stato che ha il monopolio della forza.
  • Territorialità: Il legame tra questa autorità e uno spazio geografico definito, che distingue chiaramente un “dentro” (dove lo Stato comanda) da un “fuori”.

Poi c’è una distinzione importante: la sovranità de jure (quella formale, riconosciuta dal diritto internazionale) e quella de facto (l’effettivo esercizio del potere sul campo). Spesso non coincidono perfettamente, pensate a stati che sulla carta sono sovrani ma faticano a controllare il proprio territorio a causa di attori non statali o interventi esterni.

E nel Digitale? Arriva la Sovranità 2.0

Ora, come applichiamo tutto questo al cyberspazio? Qui le cose si complicano. Il termine “sovranità digitale” (o “sovranità cibernetica/di rete”) è spuntato inizialmente nel dibattito cinese all’inizio del secolo, come reazione all’espansione del potere digitale americano. Gli USA vedevano internet come strumento di democratizzazione (soft power), mentre la Cina lo percepiva come un progetto egemonico occidentale, data la dominanza USA su infrastrutture chiave come l’ICANN (l’ente che gestisce i nomi di dominio).

Poi è arrivata la Francia con la sua “souveraineté numérique”, una spinta per difendersi dalla penetrazione dei giganti tech americani (i famosi GAFAM: Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft). Lo scandalo Snowden del 2013, che ha rivelato programmi di sorveglianza di massa da parte dell’NSA, ha dato una bella scossa a questo dibattito.

Ma cosa significa esattamente “sovranità digitale”? Non c’è una definizione unica, ma possiamo identificare alcuni temi ricorrenti:

  • La capacità di collettività (stati, comunità) di innovare tecnologicamente in autonomia (pensate allo sviluppo di software libero o infrastrutture nazionali).
  • La sicurezza e privacy di individui e collettività, e il controllo sui propri dati (personali, dei cittadini, dello stato).
  • L’idea che gli stati debbano riaffermare la propria autorità su internet per proteggere cittadini e imprese dalle sfide alla loro autodeterminazione.
  • Il concetto di autonomia strategica, cioè la capacità di decidere e agire autonomamente sugli aspetti digitali essenziali per il futuro.

Il Covid-19 è stato un campanello d’allarme: l’incapacità di creare app di tracciamento statali efficaci ha costretto molti paesi europei ad appoggiarsi alle API di Google e Apple. E non è un caso che la nuova Commissione Europea (2024-2029) abbia un portafoglio dedicato a “Sovranità Tecnologica, Sicurezza e Democrazia”. Persino gli Stati Uniti, patria di molte Big Tech, si stanno interrogando sulla dipendenza da aziende private (vedi il caso Starlink di Elon Musk in Ucraina) e investono massicciamente per garantirsi autonomia su semiconduttori e materie prime critiche, spinti anche dalle tensioni geopolitiche (come quella tra Taiwan e Cina).

Fotografia astratta, wide-angle 10mm, long exposure, che visualizza flussi di dati luminosi e colorati che attraversano confini nazionali stilizzati su una mappa del mondo digitale, simboleggiando la tensione tra territorialità e cyberspazio senza confini.

Cyberspazio: Un Territorio Senza Confini? Non Proprio…

Una delle grandi sfide è proprio questa: come si applica un concetto basato sul territorio a uno spazio che per sua natura sembra non averne? Gli stati stanno cercando di “territorializzare” il cyberspazio, adattando i suoi confini sfuggenti alle divisioni geografiche tradizionali.

C’è chi, come Milton Mueller, è molto critico e sostiene che la struttura tecnica di internet mini alla base la sovranità territoriale tradizionale. Per lui, il cyberspazio dovrebbe essere un “bene comune globale” gestito con regole condivise, non un campo di battaglia per la sovranità statale. Vede i tentativi di imporre la sovranità digitale come una spinta autoritaria. Altri, come Ruohonen, evidenziano i paradossi che emergono quando si applica la sovranità classica ad asset digitali che attraversano continuamente i confini.

Le Voci Diverse: La Sovranità Digitale Indigena

Ma non sono solo gli stati a parlare di sovranità digitale. Un discorso importantissimo, e distinto, è quello portato avanti dai popoli indigeni. La loro “sovranità sui dati indigeni” non nasce dalla giurisdizione statale, ma dal diritto fondamentale all’autodeterminazione nel gestire le informazioni che li riguardano e riguardano i loro territori.

Questa rivendicazione emerge da una lunga storia di “colonialismo dei dati”, in cui autorità esterne hanno raccolto dati sui popoli indigeni spesso senza consenso, reciprocità o beneficio per le comunità stesse. La sovranità sui dati indigeni mira a restituire a queste comunità il diritto di governare la raccolta, l’accesso e l’uso dei dati secondo i loro valori e modelli di governance. Documenti chiave come Te Mana Raranuga e Te Kauhai Raraunga (dalla Nuova Zelanda) articolano questi principi, sottolineando come i dati siano essenziali per l’autodeterminazione.

La differenza fondamentale con la sovranità digitale statale sta nelle motivazioni: mentre gli stati cercano di rafforzare il loro potere e controllo, le comunità indigene usano la sovranità sui dati come strumento per combattere ingiustizie storiche e per la decolonizzazione, vedendo i dati come un asset culturale ed economico da gestire secondo i propri valori. Non si tratta solo di giurisdizione legale, ma di ridisegnare l’ecosistema dei dati in modo che rifletta le priorità indigene, con un approccio più localizzato e specifico per ogni nazione/comunità.

Ritratto simbolico, prime lens 35mm, depth of field, che mostra membri di una comunità indigena che proteggono dati digitali rappresentati come semi luminosi tenuti tra le mani, con uno sfondo naturale sfocato, a simboleggiare la custodia culturale e l'autodeterminazione sui dati.

La Struttura Conta: Topologia, Cavi e Flussi di Dati

Ricordate la famosa “Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio” di John Perry Barlow? Quella che diceva ai governi “lasciateci soli, non avete sovranità qui”? Beh, la storia ha dimostrato che le cose sono andate diversamente. Stati autoritari come Cina e Russia hanno mostrato che il controllo statale può estendersi eccome anche online.

Ma c’è ancora qualcosa di “eccezionale” nel modo in cui la sovranità si manifesta nel digitale? Io credo di sì, e deriva dalla struttura stessa del cyberspazio. Due aspetti sono cruciali:

  1. La struttura topologica e la natura senza confini: Internet è una “rete di reti”. La sua organizzazione (topologia) influenza le dinamiche di potere. A differenza dello spazio fisico euclideo, dove ci sono confini e distanze fisse, nel cyberspazio lo “spazio” è costituito dalle connessioni stesse. È dinamico, può espandersi (con più potenza di calcolo, data center, energia).
  2. Come gli stati applicano la sovranità digitale: Questo ci porta a considerare le infrastrutture fisiche e i flussi di dati.

Pensiamo ai cavi sottomarini: trasportano oltre il 99% del traffico internet globale! Sono infrastrutture critiche, ma la loro natura transnazionale (attraversano acque internazionali, appartengono spesso a corporation private o stati esteri) limita il controllo di un singolo stato. Questo crea dipendenze e vulnerabilità (spionaggio, sabotaggio).

E poi ci sono i flussi di dati transfrontalieri, in costante aumento. Il controllo su questi flussi è diventato cruciale per la “sovranità sui dati”. I governi cercano di mantenere giurisdizione sui dati sensibili con leggi sulla localizzazione (che obbligano a conservare i dati entro i confini nazionali), ma questo può ostacolare l’innovazione e l’efficienza. L’UE, con il GDPR, cerca di estendere la sua governance dei dati oltre i confini territoriali, puntando a definire standard globali.

Visualizzazione wide-angle 15mm, long exposure, di cavi sottomarini luminosi che si snodano sul fondo dell'oceano tra i continenti, con flussi di dati astratti che li percorrono, mettendo in evidenza la criticità e la vulnerabilità di questa infrastruttura globale.

Il Codice è Legge: Incorporare le Regole nell’Architettura

Qui arriviamo a un punto affascinante, già intuito da Lawrence Lessig: nel cyberspazio, le regole possono essere incorporate direttamente nel codice, nell’architettura stessa della rete. Questo dà agli stati (e non solo) un potere di controllo potenzialmente molto più profondo che nel mondo fisico.

Vediamo alcuni esempi:

  • Cina: La Legge sulla Cybersicurezza del 2017 impone la registrazione con nome reale per accedere ai servizi internet. Questo elimina l’anonimato e lega direttamente le azioni digitali all’autorità statale. Gli ISP diventano strumenti di controllo. Progetti come il “New IP” di Huawei mirano a ridefinire i protocolli internet per aumentare la sorveglianza statale.
  • Russia: La Legge sull’Internet Sovrano del 2019 ha creato “RuNet”, un segmento di internet controllabile a livello nazionale, capace di isolarsi dalla rete globale. Centralizzando il traffico e imponendo tecnologie di ispezione profonda dei pacchetti (DPI), la Russia riscrive la sovranità nel codice.
  • Unione Europea: Anche l’UE sta incorporando regole. Il Data Governance Act e il Data Act mirano a creare “spazi di dati europei comuni” con standard condivisi. Il nuovo quadro sull’Identità Digitale Europea (eIDAS 2.0) punta a creare un portafoglio digitale (wallet) basato sulla crittografia che dia ai cittadini maggior controllo sui propri dati, incorporando principi come la minimizzazione dei dati.

Allora, Dove Stiamo Andando?

Come abbiamo visto, la sovranità digitale è un concetto complesso, sfaccettato, in continua evoluzione. Si scontra con la natura senza confini del cyberspazio, ma allo stesso tempo gli stati (e altri attori) trovano modi nuovi e potenti per esercitare controllo, spesso incorporandolo nell’architettura stessa del digitale.

Si creano così molteplici livelli di giurisdizione digitale sovrapposti – dal fisico (cavi, data center) al virtuale (cloud, AI, piattaforme) – dove la sovranità non è unica né statica, ma viene continuamente rinegoziata.

Restano aperte domande cruciali:

  • Quali sono i limiti reali, pratici e concettuali, dell’autorità statale nel cyberspazio?
  • Come possiamo definire e studiare un concetto così sfuggente, tenendo conto delle proprietà uniche del cyberspazio?
  • Come bilanciare le rivendicazioni dei popoli indigeni sul controllo dei propri dati con quelle degli stati sul controllo dei confini (digitali) e dei cittadini?

Affrontare queste domande richiederà un dialogo sempre più stretto tra discipline diverse – filosofia, diritto, scienze politiche, informatica – per navigare la complessità della sovranità nell’era digitale. È una sfida enorme, ma fondamentale per capire chi comanda davvero nel nostro futuro sempre più connesso.

Fonte: Springer

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