Parto in Bihar: Quando la soddisfazione della mamma è questione di vita o di morte per il neonato
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che tocca le corde più profonde dell’esperienza umana: la nascita di una nuova vita e come l’ambiente in cui avviene possa fare letteralmente la differenza tra la vita e la morte. Mi sono imbattuto in uno studio affascinante che getta una luce potente su una realtà specifica, quella dello stato del Bihar, in India, ma che, credetemi, ha echi universali.
Parliamo di soddisfazione materna durante il parto nelle strutture sanitarie e del suo legame incredibile con la sopravvivenza del neonato. Sembra quasi scontato, no? Una mamma che si sente accolta, supportata, curata in un momento così vulnerabile e potente come il parto, probabilmente vivrà un’esperienza migliore. Ma lo studio va oltre: dimostra che questa “sensazione”, questa soddisfazione, è un fattore chiave per la salute e la sopravvivenza del bambino nei suoi primi 28 giorni di vita, il cosiddetto periodo neonatale.
Il Contesto Indiano e la Sfida del Bihar
L’India, come nazione, ha fatto passi da gigante nel ridurre la mortalità neonatale (il famoso NMR, Neonatal Mortality Rate). Pensate che siamo passati da 52 morti ogni 1000 nati vivi nel 1990 a 20 nel 2020. Un risultato notevole, frutto di riforme sanitarie, programmi specifici come la National Rural Health Mission (NRHM) e incentivi economici per spingere le donne a partorire in ospedale anziché a casa.
E qui entra in gioco il Bihar. Questo stato, purtroppo, è uno di quelli che faticano a tenere il passo. Nonostante un aumento pazzesco dei parti in strutture sanitarie (dal 40% nel 2005 a oltre l’80% nel 2020 a livello nazionale, con il Bihar che nel 2020 raggiunge il 76%!), la mortalità neonatale scende troppo lentamente. Nel 2020, era ancora a 21 per 1000 nati vivi, un numero alto che rappresenta quasi il 78% di tutte le morti infantili nello stato.
Questo ci dice una cosa fondamentale: portare le donne a partorire in ospedale è necessario, ma non sufficiente. La vera domanda è: che tipo di assistenza ricevono una volta arrivate lì?
Cosa Abbiamo Scoperto: La Qualità Conta, Eccome!
Lo studio che ho analizzato ha usato un approccio misto, combinando dati quantitativi da un sondaggio su quasi 2400 famiglie in 8 distretti del Bihar con interviste qualitative approfondite. Hanno chiesto alle donne che avevano partorito nell’ultimo anno come si erano trovate: tempi di attesa, comportamento del personale, pulizia, privacy, disponibilità di attrezzature, supporto ricevuto, consigli per le cure post-parto… insomma, tutto quello che contribuisce a definire la “qualità percepita” del servizio.
E il risultato è stato chiarissimo: una maggiore soddisfazione materna riguardo alla qualità delle cure ricevute è significativamente associata a una minore mortalità neonatale. Detto in parole povere: dove le mamme si sentono trattate bene e le cure sono percepite come di buona qualità, i bambini hanno molte più probabilità di sopravvivere.
Questo fa suonare un campanello d’allarme. Non basta contare quanti parti avvengono in ospedale; dobbiamo assicurarci che questi ospedali offrano cure rispettose, efficaci e sicure.
Le Falle nel Sistema: Perché le Mamme Non Sono Soddisfatte?
Ma allora, cosa non funziona? Perché tante donne in Bihar non sono soddisfatte delle cure ricevute? Lo studio identifica diverse criticità, soprattutto nelle strutture pubbliche, da cui dipende la stragrande maggioranza della popolazione:
- Tempi di attesa infiniti: Ore passate ad aspettare, spesso nel dolore e nell’ansia.
- Comportamento inappropriato del personale: Mancanza di empatia, a volte persino abusi verbali. Una donna ha raccontato: “L’ostetrica non mi ascoltava, mi ha insultata. Stavo soffrendo e piangendo… mi ha detto: ‘Se ti è piaciuto fare sesso, perché non sopporti il dolore?'”. Parole che gelano il sangue.
- Carenza di supporto e cura: Sensazione di essere abbandonate a sé stesse.
- Scarsa pulizia e privacy: Ambienti non sempre igienici e mancanza di spazi riservati.
- Carenza di personale qualificato e attrezzature: A volte mancano le competenze o gli strumenti necessari.
- Consulenza post-parto inadeguata: Poche informazioni su come prendersi cura di sé e del neonato una volta a casa. Meno della metà delle donne riceveva consigli prima delle dimissioni.
- Dimissioni troppo precoci: Le donne vengono spesso rimandate a casa poche ore dopo il parto (in media 10 ore nello studio!), ben prima delle 24-48 ore raccomandate dall’OMS, spesso per mancanza di letti. Una mamma ha detto: “Dopo il parto, sono rimasta in ospedale solo quattro ore… a causa della carenza di letti, mi hanno chiesto di andarmene.”
- Mancanza di servizi essenziali: Come le ambulanze (solo un quarto vi aveva accesso) o il trasporto gratuito per tornare a casa.
Questi problemi non sono solo “fastidi”. Sono fattori che minano la fiducia nel sistema sanitario, aumentano lo stress materno e, come dimostra lo studio, possono avere conseguenze tragiche sulla vita del neonato. Le donne che riportavano una qualità del servizio “scarsa” avevano una probabilità significativamente maggiore di subire la perdita del loro bambino (tasso di mortalità neonatale di 26 per 1000 nati vivi, contro 8 per 1000 tra chi riportava qualità “buona” o “migliore”).
Non Solo Soddisfazione: Altri Fattori di Rischio
Ovviamente, la soddisfazione materna non è l’unico fattore in gioco. Lo studio conferma altri elementi di rischio noti per la mortalità neonatale:
- Basso peso alla nascita: I neonati molto piccoli sono più vulnerabili.
- Intervallo tra le nascite troppo breve: Meno di due anni tra un parto e l’altro aumenta il rischio.
- Ordine di nascita elevato: I bambini nati dopo molti fratelli hanno un rischio maggiore.
- Età materna: Sia le madri molto giovani che quelle più avanti con gli anni riportano più decessi neonatali.
- Basso livello di istruzione e status socio-economico: Le donne analfabete e quelle appartenenti ai gruppi economici e di casta più bassi subiscono perdite maggiori.
- Parto cesareo: Associato a un rischio più alto, spesso perché legato a complicazioni della gravidanza che richiedono l’intervento.
- Residenza rurale: Vivere in aree rurali comporta un rischio maggiore rispetto alle aree urbane.
Tuttavia, anche tenendo conto di tutti questi fattori, la qualità percepita del servizio rimane un elemento determinante e indipendente per la sopravvivenza del neonato.
Cosa Possiamo Imparare? Oltre i Numeri, la Qualità della Vita
Questa ricerca ci lancia un messaggio potente: la corsa ad aumentare il numero di parti istituzionali, pur essendo importante, non può prescindere da un impegno altrettanto forte per migliorare la qualità di questi parti. Non possiamo accontentarci di portare le donne dentro le mura di un ospedale; dobbiamo assicurarci che lì trovino competenza, rispetto, supporto e sicurezza.
Il Bihar, con le sue enormi sfide infrastrutturali (mancanza cronica di centri sanitari, personale, letti – pensate che il rapporto posti letto/popolazione è cinque volte peggiore della media indiana!), ha un bisogno disperato di investimenti mirati. Ma non bastano i mattoni e le attrezzature. Serve un cambiamento culturale nel modo in cui il personale sanitario si relaziona con le pazienti, serve formazione continua, serve un sistema che metta davvero al centro la donna e il suo bambino.
L’obiettivo di ridurre la mortalità neonatale a 12 per 1000 nati vivi entro il 2030 (come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – SDGs) sembra lontano per il Bihar, ma non irraggiungibile. La chiave sta proprio lì: nell’ascoltare la voce delle madri, nel prendere sul serio la loro soddisfazione e nel lavorare instancabilmente per garantire che ogni nascita sia non solo sicura, ma anche un’esperienza positiva e rispettosa.
Insomma, la prossima volta che sentiamo parlare di statistiche sulla salute materno-infantile, ricordiamoci che dietro ogni numero c’è una storia, un’esperienza, una vita. E che la qualità di quell’esperienza, la soddisfazione di quella madre, può davvero fare la differenza. È una lezione importante, non solo per il Bihar, ma per tutti noi.
Fonte: Springer