Social Media e Resilienza: La Forza dei Giovani Volontari Ruandesi nella Pandemia
Ciao a tutti! Parliamoci chiaro: le pandemie, come quella del COVID-19, ci hanno messo tutti a dura prova, vero? Isolamento, incertezza… un bel frullato di emozioni. Ma in mezzo a tutto questo, avete mai pensato a come la tecnologia, e in particolare i social media, possano diventare dei veri e propri alleati? Oggi voglio raccontarvi una storia affascinante che arriva dal Ruanda, una storia di giovani volontari e di come i social li abbiano aiutati a essere incredibilmente resilienti.
Sì, avete capito bene, il Ruanda! Un paese che ha già dimostrato una forza d’animo pazzesca nel rialzarsi da periodi storici difficilissimi. Ebbene, durante l’emergenza COVID-19, i giovani volontari ruandesi, già attivi dal 2013 nel “Rwanda Youth Volunteers in community policing” (RYVCP), sono scesi in campo, o meglio, sono rimasti attivi nelle loro comunità, per arginare la diffusione del virus e supportare la popolazione. E indovinate un po’ quale strumento si è rivelato cruciale per loro?
I Social Media: Un Faro nell’Incertezza
Uno studio recente ha voluto vederci chiaro: come hanno fatto questi ragazzi a mantenersi forti, organizzati e a continuare ad aiutare gli altri, nonostante le restrizioni e la paura? La risposta, in gran parte, risiede nell’uso intelligente dei social media. Pensateci un attimo: riunioni fisiche impossibili, informazioni che cambiano di ora in ora. Come fare? Ecco che entrano in gioco piattaforme come WhatsApp, Facebook, Twitter e Instagram.
Lo studio, condotto nel distretto di Huye in Ruanda, ha coinvolto 21 persone tra giovani volontari, leader locali, rappresentanti del governo centrale e opinion leader. E quello che è emerso è davvero illuminante. I social media sono stati fondamentali per almeno quattro aspetti chiave della loro resilienza:
- Raccolta di informazioni: Immaginate di dover prendere decisioni rapide per la sicurezza vostra e altrui. I volontari usavano i social per ricevere aggiornamenti in tempo reale dal governo, dalle istituzioni sanitarie e persino dai cittadini stessi sullo stato della pandemia nelle diverse zone. “I social media ci hanno aiutato a raccogliere le informazioni necessarie per la pianificazione e questo ci ha reso esemplari nei nostri interventi”, ha raccontato un giovane volontario. Addirittura, hanno ricevuto formazione specifica tramite queste piattaforme!
- Diffusione delle informazioni: Non basta sapere, bisogna far sapere! I giovani volontari hanno usato i social per condividere con la comunità le misure preventive, l’evoluzione dei contagi, e per smentire le fake news. “Questi siti ci hanno aiutato a diffondere informazioni sulle misure per prevenire il COVID-19, rendendo più facile la comprensione da parte delle persone”, ha spiegato un altro. Un modo per raggiungere tantissime persone rapidamente, superando le barriere fisiche.
- Collaborazione e risoluzione dei problemi: Lavorare insieme, anche a distanza. I social sono diventati la loro sala riunioni virtuale, il luogo dove discutere strategie, coordinare azioni e sentirsi parte di un team. “Ci hanno aiutato a facilitare la comunicazione tra di noi e a decidere quali azioni intraprendere mentre eravamo impegnati nella lotta contro il COVID-19”, ha testimoniato un volontario. Questo senso di appartenenza e di azione collettiva è potentissimo.
- Adattamento e gestione delle nuove situazioni (coping): La pandemia ha stravolto la quotidianità. I social media hanno offerto un modo per mantenere un contatto, per sentirsi meno soli e persino per trovare un po’ di svago. Un rappresentante del governo ha sottolineato: “I social media sono stati usati per l’intrattenimento mentre le persone restavano a casa. Ci sono persino giovani che li hanno usati per promuoversi e mettere in luce le proprie attività”. Pensate a sketch o video informativi creati dai volontari stessi e diffusi online, un modo per educare e alleggerire allo stesso tempo.

Non Solo Rose e Fiori, Ma Quasi!
Certo, lo studio riconosce che i social media possono anche essere una fonte di distrazione. Chi di noi non si è perso almeno una volta scrollando all’infinito? Ma nel contesto specifico dei giovani volontari ruandesi durante la pandemia, il bilancio è decisamente positivo. Sono stati uno strumento che ha permesso loro di agire “in modo moderno, pertinente al secolo in cui viviamo”, come ha detto un volontario, superando l’impossibilità di gestire tutto da remoto come si faceva prima.
Un aspetto interessante è che il successo di questa rete digitale è stato facilitato anche da iniziative locali, come quelle di MTN Rwanda, una grande compagnia telefonica, che ha offerto tariffe internet accessibili e transazioni online gratuite. Questo, unito alla dimensione contenuta del paese, ha reso più semplice la diffusione delle informazioni.
Cosa Ci Insegna Questa Storia?
Beh, per me è una lezione potentissima sull’adattabilità umana e sul ruolo che la tecnologia può giocare nel supportarla. Questi giovani volontari non si sono arresi di fronte a un nemico invisibile e alle restrizioni, ma hanno trovato nuovi modi per essere presenti, per informare e per collaborare. I social media, spesso demonizzati, si sono rivelati in questo caso un’ancora di salvezza e uno strumento di empowerment.
Lo studio suggerisce che queste piattaforme dovrebbero essere considerate seriamente negli interventi di assistenza sociale comunitaria, specialmente quando si lavora con i giovani, che sono nativi digitali. Possono ridurre i costi, superare le distanze e rendere la comunicazione più immediata ed efficace. Pensateci: meno spese di trasporto, niente affitto di sale riunioni, più tempo risparmiato!
Ovviamente, ogni studio ha i suoi limiti. Questo si è concentrato su un approccio qualitativo in un distretto specifico del Ruanda, quindi non possiamo generalizzare i risultati a cuor leggero. E sarebbe interessantissimo, come suggeriscono gli autori, approfondire le motivazioni morali e gli ideali che hanno spinto questi giovani a mettersi in gioco con tanto coraggio, senza aspettarsi nulla in cambio.

In conclusione, la storia dei giovani volontari ruandesi ci ricorda che la resilienza non è solo una dote individuale, ma qualcosa che si costruisce e si alimenta anche attraverso la connessione con gli altri. E in un’epoca di crisi, i social media possono essere i fili invisibili che tengono unite queste connessioni, permettendo alle comunità di affrontare le sfide con maggiore forza e consapevolezza. Una bella iniezione di speranza, non trovate?
Fonte: Springer
