SLFN11 e Tumore al Pancreas: Un Matrimonio (Purtroppo) Mancato?
Amici, oggi vi parlo di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, una di quelle sfide che noi ricercatori affrontiamo ogni giorno con la speranza di fare la differenza: il tumore al pancreas, o più specificamente, l’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC). Sappiamo tutti quanto sia una bestia nera, con una prognosi che, ahimè, lascia ancora molto a desiderare. Nonostante i passi avanti con regimi chemioterapici combinati sempre più aggressivi, i risultati spesso non sono quelli che speriamo.
Nel nostro campo, siamo costantemente alla ricerca di “segnali”, di biomarcatori che ci possano dire in anticipo se una terapia funzionerà per un determinato paziente, o come andrà il suo percorso. Immaginate quanto sarebbe utile avere una sorta di sfera di cristallo molecolare! Ebbene, da qualche tempo, un nome era sulla bocca di molti: SLFN11.
Ma cos’è questo SLFN11 e perché tanto interesse?
SLFN11, che sta per Schlafen family member 11, è una proteina che ha attirato l’attenzione perché sembra giocare un ruolo importante nella risposta delle cellule ai danni al DNA. E sapete cosa fa gran parte della chemioterapia? Esatto, danneggia il DNA delle cellule tumorali per cercare di fermarle. Quindi, l’idea era: se un tumore esprime alti livelli di SLFN11, forse sarà più sensibile a questi farmaci chemioterapici, portando a una migliore risposta al trattamento. In effetti, per altri tipi di cancro – come quello al polmone a piccole cellule, all’ovaio, il sarcoma di Ewing e persino alcune forme di tumore al seno – studi precedenti avevano suggerito proprio questo: alta SLFN11, maggiore sensibilità ai farmaci che danneggiano il DNA (i cosiddetti DDA), e quindi una prognosi migliore. Al contrario, bassi livelli di SLFN11 sembravano associati a chemioresistenza e a una sopravvivenza peggiore.
La famiglia di proteine SLFN è presente nei mammiferi e noi umani ne abbiamo cinque, coinvolte nella regolazione della proliferazione cellulare, nelle risposte immunitarie e persino nella replicazione virale. SLFN11, in particolare, è espressa solo negli umani e possiede un dominio che suggerisce un’attività di elicasi DNA/RNA. Farmaci usati comunemente nel tumore al pancreas, come l’oxaliplatino, l’irinotecano e la gemcitabina, sono proprio degli agenti che danneggiano il DNA. Quindi, la domanda sorgeva spontanea: SLFN11 potrebbe essere il biomarcatore che stavamo cercando anche per il PDAC?
Il Nostro Studio: Cosa Abbiamo Fatto?
Per cercare di rispondere a questa domanda, abbiamo condotto uno studio retrospettivo osservazionale. In pratica, siamo andati a “rivedere i filmati” di 158 pazienti con adenocarcinoma duttale pancreatico non operabile o borderline (cioè, al limite dell’operabilità) che avevano ricevuto chemioterapia palliativa presso l’Hokkaido University Hospital tra il 2012 e il 2021. Questi pazienti sono stati classificati in tre gruppi: metastatici, localmente avanzati e borderline resecabili.
Abbiamo preso i campioni bioptici ottenuti prima dell’inizio della terapia (spesso tramite ecoendoscopia, una tecnica chiamata EUS-FNA) e abbiamo “colorato” le cellule tumorali per vedere quanto SLFN11 esprimessero. Questa tecnica si chiama immunoistochimica, e il livello di espressione è stato quantificato usando un punteggio chiamato H-score. Un H-score più alto significa più SLFN11. Dopodiché, abbiamo cercato di capire se ci fosse un legame tra i livelli di SLFN11 e come i pazienti avevano risposto alla chemioterapia, la loro sopravvivenza libera da progressione (PFS, cioè quanto tempo passa prima che la malattia peggiori) e la loro sopravvivenza globale (OS).
Una cosa interessante che abbiamo notato, in linea con studi precedenti, è che SLFN11 non era presente nel tessuto pancreatico normale, ma solo nelle aree tumorali. Questo suggerisce che la sua espressione potrebbe essere qualcosa che si “accende” durante lo sviluppo del tumore. Il motivo preciso non è ancora chiarissimo, ma si ipotizza che regolazioni epigenetiche, come la metilazione del promotore, possano sopprimere l’espressione di SLFN11 in alcuni tumori, il che potrebbe spiegare perché a volte si rileva poco nel PDAC.

I Risultati: La Doccia Fredda
E qui, amici, arriva il punto cruciale. Abbiamo trovato che SLFN11 era espresso nel 54.4% dei tessuti di PDAC analizzati. Un dato interessante è che il punteggio H-score mediano per SLFN11 era più alto nei casi metastatici rispetto a quelli localmente avanzati o borderline. Questo potrebbe suggerire che un’espressione maggiore di SLFN11 sia associata a una malattia più avanzata. Infatti, uno studio precedente su linee cellulari di cancro gastrico aveva mostrato un aumento dell’espressione di SLFN11 durante la tumorigenesi, indicando che l’espressione di SLFN11 aumenta con l’avanzare del cancro.
La nostra percentuale di positività (55.7%) era più alta rispetto a un precedente report che parlava del 24%. Questa discrepanza potrebbe essere dovuta a differenze nelle tecniche immunoistochimiche, nella sensibilità degli anticorpi usati o nelle caratteristiche della coorte di pazienti. Il nostro studio, va detto, includeva un numero maggiore di pazienti, il che potrebbe dare una stima più robusta della prevalenza di SLFN11 nel PDAC. Oppure, il fatto che lo studio precedente si basasse su casi chirurgici, mentre nel nostro l’H-score aumentava con lo stadio, potrebbe aver contribuito a una maggiore positività.
Ma la vera domanda era: questa espressione di SLFN11 si traduceva in una migliore efficacia della chemioterapia o in una sopravvivenza più lunga? Purtroppo, la risposta è stata no. Nonostante le nostre ipotesi e le speranze basate su altri tumori, non abbiamo trovato alcuna associazione significativa tra l’espressione di SLFN11 e l’efficacia della chemioterapia o gli esiti clinici (PFS e OS) nei nostri pazienti con PDAC. Questo vale sia analizzando tutti i pazienti insieme, sia suddividendoli per tipo di chemioterapia ricevuta (ad esempio, regimi a base di gemcitabina o le cosiddette “triplette” come FOLFIRINOX).
Per esempio, nei pazienti metastatici, la sopravvivenza libera da progressione mediana era di 3.9 mesi nel gruppo SLFN11-positivo e 4.5 mesi in quello negativo. La sopravvivenza globale mediana era di 8.8 mesi nei positivi e 9.0 mesi nei negativi. Nessuna differenza statisticamente significativa. Stessa storia, più o meno, per i pazienti con malattia localmente avanzata.
Perché Questa Discrepanza? E Adesso?
Diciamocelo chiaramente, questo risultato è stato un po’ una delusione. Ci speravamo. Ma la scienza è fatta così: a volte le ipotesi non vengono confermate. Perché SLFN11 non sembra essere un biomarcatore predittivo nel PDAC, a differenza di altri tumori? Le ragioni possono essere molteplici:
- Eterogeneità tumorale: Il tumore al pancreas è notoriamente eterogeneo, il che significa che all’interno dello stesso tumore possono esserci cellule diverse con caratteristiche diverse.
- Meccanismi di resistenza alternativi: Potrebbero esserci altri meccanismi di resistenza ai farmaci che “scavalcano” l’eventuale effetto di SLFN11.
- Bassa espressione generale: Studi precedenti su modelli preclinici avevano già suggerito che l’espressione di SLFN11 nel PDAC è generalmente bassa o assente rispetto ad altri carcinomi. Anche nel nostro studio, l’H-score mediano era basso (pari a 1), il che potrebbe aver reso difficile trovare una correlazione.
- Limitazioni dello studio: Come ogni studio, anche il nostro ha delle limitazioni. È uno studio retrospettivo, condotto in un singolo centro, e il numero di pazienti in alcuni sottogruppi (come quelli trattati con FOLFIRINOX) era limitato. Inoltre, i campioni erano principalmente ottenuti da biopsie con ago sottile (EUS-FNA), che potrebbero non rappresentare l’intero tumore. Anche se è importante notare che tutti i campioni sono stati presi *prima* dell’inizio del trattamento, quindi l’espressione di SLFN11 non era influenzata da terapie precedenti.
Un altro aspetto da considerare è che non abbiamo potuto valutare la relazione tra espressione di SLFN11, risposta agli inibitori di PARP (una classe di farmaci promettente) e mutazioni BRCA, a causa della recente approvazione dell’olaparib per il PDAC. Quindi, le implicazioni di SLFN11 per l’efficacia terapeutica degli inibitori di PARP nel cancro al pancreas rimangono sconosciute.
Nonostante il nostro studio sia, a nostra conoscenza, il primo a valutare l’intensità dell’espressione di SLFN11 nel PDAC usando biopsie FNA per esaminarne la correlazione con la prognosi e gli esiti farmacologici, e abbia dimostrato che questi piccoli campioni clinici sono adeguati per la valutazione di SLFN11, il risultato è che non abbiamo trovato un ruolo chiaro per SLFN11 come biomarcatore nel PDAC. Questo mette in discussione la sua utilità in questo specifico contesto, nonostante le promesse viste in altri tipi di cancro.
Cosa significa tutto questo? Significa che la ricerca deve continuare. Servono studi più ampi, magari prospettici e multicentrici, con una stadiazione più dettagliata e coorti di pazienti più omogenee, per chiarire definitivamente il potenziale ruolo di SLFN11 (o la sua assenza) nel tumore al pancreas. La caccia al biomarcatore perfetto continua, e noi non ci arrendiamo!
Fonte: Springer
