Illustrazione fotorealistica del sistema glinfatico nel cervello umano, che mostra il flusso del liquido cerebrospinale (in blu luminoso) lungo i vasi sanguigni (in rosso) attraverso gli spazi perivascolari, con neuroni stilizzati sullo sfondo. Stile scientifico dettagliato, illuminazione drammatica, lente macro 80mm, alta definizione.

Long COVID e Cervello: E se i Sintomi Neurologici Fossero la Spia di un Sistema di Pulizia Alterato?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina e, ammettiamolo, un po’ mi preoccupa: cosa succede nel nostro cervello dopo aver avuto il COVID-19? Molti di noi, o persone che conosciamo, hanno sperimentato quella fastidiosa “nebbia cerebrale”, difficoltà di concentrazione, o la strana perdita dell’olfatto (anosmia) che a volte persiste per mesi. Ma perché? Cosa lega l’infezione respiratoria a questi sintomi neurologici? Una nuova ricerca suggerisce una pista intrigante: potrebbe c’entrare il sistema di pulizia del nostro cervello, il cosiddetto sistema glinfatico.

Ma cos’è questo Sistema Glinfatico?

Immaginate il cervello come una metropoli super attiva, piena di neuroni che lavorano incessantemente. Come ogni città, produce rifiuti metabolici. Ecco, il sistema glinfatico è un po’ come il servizio di nettezza urbana del cervello. È una rete complessa, scoperta relativamente di recente, che utilizza i canali attorno ai vasi sanguigni per far circolare il liquido cerebrospinale (CSF). Questo liquido “lava via” le scorie accumulate nello spazio tra le cellule cerebrali (lo spazio interstiziale), portandole poi fuori dal cervello. Un sistema fondamentale per mantenerlo in salute, soprattutto durante il sonno, quando è più attivo.

Si pensa che un malfunzionamento di questo sistema possa contribuire a diverse condizioni neurologiche, incluse malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, dove si accumulano proteine tossiche come la beta-amiloide. E se il COVID-19, in qualche modo, inceppasse questo meccanismo?

Il Legame Sospetto tra COVID-19 e Sistema Glinfatico

Sappiamo che il virus SARS-CoV-2 non si limita ai polmoni. Può raggiungere il sistema nervoso centrale in due modi principali: attraverso il sangue o, più direttamente, risalendo dai recettori olfattivi nel naso. Quest’ultima via spiegherebbe bene l’anosmia, uno dei sintomi più caratteristici. Una volta nel cervello, il virus può scatenare un’infiammazione (neuroinfiammazione), attivando cellule immunitarie come microglia e mastociti. Questa infiammazione potrebbe essere una delle cause della “brain fog” e di altri disturbi cognitivi.

La domanda che ci siamo posti, e che lo studio che vi racconto ha cercato di approfondire, è: questi sintomi neurologici post-COVID, come l’anosmia o i problemi cognitivi, sono collegati a cambiamenti misurabili nel funzionamento del sistema glinfatico? E se sì, come?

Per investigare, abbiamo utilizzato tecniche avanzate di risonanza magnetica (MRI). L’MRI ci permette di “vedere” dentro il cervello senza essere invasivi e di misurare alcuni parametri che possono darci indizi sull’efficienza del sistema glinfatico. Nello specifico, ci siamo concentrati su tre misure:

  • Spazi perivascolari dilatati (dPVS): Piccoli canali pieni di liquido attorno ai vasi sanguigni. Se sono troppo dilatati, potrebbero indicare un problema nel flusso.
  • Frazione di acqua libera (FW): Misura la quantità di acqua che si muove liberamente nello spazio extracellulare. Un aumento potrebbe suggerire infiammazione o un ristagno di liquidi.
  • Indice DTI-ALPS: Una misura più complessa (basata sulla diffusione dell’acqua lungo specifiche fibre nervose) che riflette l’efficienza della “pulizia” lungo i percorsi venosi profondi del cervello. Un indice più basso suggerisce una funzione glinfatica ridotta.

Immagine macro fotorealistica del cervello umano che mostra in dettaglio gli spazi perivascolari e il flusso del liquido cerebrospinale, illuminazione controllata, alta definizione, lente macro 100mm.

Cosa Abbiamo Scoperto Analizzando i Cervelli dei Pazienti Guariti

Abbiamo analizzato i dati MRI di 71 pazienti che si erano ripresi da un’infezione da COVID-19 confermata. Tra questi, 20 avevano sofferto di anosmia e 41 riportavano sintomi cognitivi persistenti (problemi di memoria, attenzione, ecc.). Abbiamo confrontato le loro misure glinfatiche con quelle dei pazienti COVID senza questi specifici sintomi neurologici, tenendo conto del tempo trascorso dall’infezione all’MRI.

I risultati sono stati davvero interessanti e sembrano indicare un legame specifico tra i sintomi e le alterazioni glinfatiche:

1. Anosmia e Acqua Libera (FW): I pazienti che avevano avuto anosmia mostravano un aumento significativo della frazione di acqua libera (FW) rispetto a quelli senza anosmia. Questo aumento era particolarmente evidente in una specifica area del cervello: la corteccia orbitofrontale sinistra. Quest’area è cruciale per la percezione cosciente degli odori! L’aumento di FW qui potrebbe indicare infiammazione o un’alterazione del normale equilibrio dei fluidi, forse legata proprio all’ingresso del virus attraverso la via olfattiva.

2. Sintomi Cognitivi e DTI-ALPS: I pazienti con sintomi cognitivi persistenti (la famosa “brain fog”) mostravano un indice DTI-ALPS significativamente più basso, ma solo sul lato sinistro del cervello, rispetto ai pazienti senza problemi cognitivi. Ricordate? Un DTI-ALPS più basso suggerisce una ridotta capacità di “pulizia” lungo certi percorsi. Questo potrebbe significare che le scorie metaboliche non vengono eliminate efficacemente, contribuendo ai deficit cognitivi.

3. Spazi Perivascolari (dPVS): Curiosamente, non abbiamo trovato differenze significative nel volume degli spazi perivascolari dilatati (almeno in quelli che abbiamo misurato nei gangli della base) tra i gruppi. Forse questa misura è meno sensibile o riflette cambiamenti che avvengono più tardi.

L’Importanza dei Sintomi: Mediatori del Danno?

Un’analisi più complessa (chiamata analisi di rete) ha rivelato un altro dettaglio cruciale: l’infezione da COVID-19 di per sé non era direttamente collegata alle misure glinfatiche. Il collegamento emergeva attraverso i sintomi neurologici. In altre parole, sembra che sia la presenza di anosmia o di sintomi cognitivi a “mediare” l’associazione tra il COVID e le alterazioni del sistema glinfatico.

Questo suggerisce fortemente che non sia solo l’infiammazione sistemica causata dal virus a creare problemi, ma piuttosto la neuroinvasione (l’ingresso del virus nel cervello) e la conseguente neuroinfiammazione locale a danneggiare il sistema di pulizia cerebrale. I sintomi neurologici, quindi, non sarebbero solo fastidi passeggeri, ma potrebbero essere veri e propri segnali d’allarme di un’alterazione più profonda.

Visualizzazione fotorealistica 3D del cervello umano con focus sulla corteccia orbitofrontale sinistra evidenziata in rosso, stile immagine medica ad alta risoluzione, dettagli anatomici precisi, sfondo scuro.

Cosa Significa Tutto Questo per il Futuro?

Questi risultati, se confermati, hanno implicazioni importanti. Innanzitutto, ci dicono che dovremmo prestare particolare attenzione ai pazienti che hanno manifestato sintomi neurologici durante o dopo il COVID-19. Potrebbero essere a maggior rischio di conseguenze a lungo termine, forse anche di un declino cognitivo futuro, dato il ruolo del sistema glinfatico nell’eliminare proteine associate a malattie neurodegenerative.

La scoperta che l’anosmia è legata all’aumento di FW nella corteccia orbitofrontale rafforza l’ipotesi della via olfattiva come porta d’ingresso privilegiata per il virus nel cervello, con conseguenze dirette sulle aree legate all’olfatto. Allo stesso modo, il legame tra sintomi cognitivi e ridotta efficienza di pulizia (DTI-ALPS basso) apre la porta a future strategie terapeutiche: potremmo un giorno migliorare la “brain fog” agendo proprio sul sistema glinfatico?

Domande Aperte e Prossimi Passi

Ovviamente, come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti e lascia domande aperte. Non abbiamo trovato un legame con i dPVS, forse perché abbiamo guardato solo una regione specifica o perché questi cambiamenti richiedono più tempo per manifestarsi. L’interessante lateralizzazione a sinistra dei risultati (sia per FW che per DTI-ALPS) è un mistero: c’entra forse la specializzazione funzionale degli emisferi cerebrali?

Inoltre, lo studio è “trasversale”, cioè abbiamo fotografato la situazione in un dato momento. Non possiamo stabilire con certezza un rapporto causa-effetto. Serviranno studi longitudinali, che seguano i pazienti nel tempo, per capire meglio come evolvono queste alterazioni e se sono reversibili. E, naturalmente, campioni più grandi e tecniche ancora più avanzate (magari che visualizzino direttamente il flusso glinfatico o biomarcatori di neurodegenerazione) ci daranno un quadro più completo.

Immagine astratta fotorealistica che rappresenta le fibre nervose e la diffusione dell'acqua (molecole blu) lungo gli spazi perivascolari (canali luminosi) nel cervello, visualizzazione DTI stilizzata, colori contrastanti blu e oro, duotone, profondità di campo.

In Conclusione: Non Sottovalutiamo i Sintomi Neurologici

Quello che emerge con sempre maggior chiarezza è che il COVID-19 può lasciare un’impronta sul nostro cervello, e i sintomi neurologici come l’anosmia e i problemi cognitivi potrebbero essere più che semplici fastidi. Potrebbero essere la spia di un’alterazione nel delicato sistema di pulizia cerebrale, il sistema glinfatico, forse innescata dall’ingresso del virus e dall’infiammazione che ne consegue.

È un campo di ricerca in rapidissima evoluzione, ma studi come questo ci aiutano a capire meglio i meccanismi del Long COVID e sottolineano l’importanza di monitorare e supportare chi continua a lottare con le conseguenze neurologiche dell’infezione. La strada è ancora lunga, ma ogni passo avanti nella comprensione è una speranza in più per il futuro.

Fonte: Springer

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