Fibroblasti Pazienti: La Chiave Nascosta per Capire e Trattare la Sindrome di Chanarin-Dorfman?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un viaggio affascinante nel cuore delle nostre cellule, un viaggio che ci porta a scoprire i segreti di una malattia rara e le speranze per nuove cure. Sto parlando della Sindrome di Chanarin-Dorfman (CDS), una condizione genetica complessa che colpisce diversi sistemi del nostro corpo.
Immaginate il nostro organismo come una città incredibilmente organizzata. Nella CDS, c’è un piccolo intoppo nel sistema di gestione dei grassi (lipidi). A causa di mutazioni in un gene chiamato ABHD5 (conosciuto anche come CGI-58), le cellule non riescono a smaltire correttamente un tipo specifico di grasso, i trigliceridi. Il risultato? Questi grassi si accumulano in piccole “sacche”, chiamate goccioline lipidiche (LDs), un po’ come se i camion della spazzatura della città non riuscissero a svuotare i cassonetti. Questo accumulo avviene in tanti tessuti diversi – pelle, fegato, muscoli – portando a sintomi come ittiosi (una condizione della pelle simile alle squame di pesce), problemi al fegato, difficoltà uditive e, a volte, coinvolgimento del sistema nervoso.
La cosa frustrante è che, nonostante conosciamo la causa molecolare da anni (il gene “difettoso” ABHD5 che non riesce ad attivare l’enzima “spazzino” ATGL), ad oggi non esiste una cura specifica per la CDS. Ed è qui che entriamo in gioco noi ricercatori, con la nostra curiosità e la voglia di trovare soluzioni.
Un Tuffo nel Mondo Microscopico: I Fibroblasti
Per capire meglio cosa non va e cercare nuove strade terapeutiche, abbiamo avuto l’opportunità unica di lavorare con delle cellule speciali: i fibroblasti cutanei. Cosa sono? Sono cellule presenti nella nostra pelle, relativamente facili da ottenere con una piccola biopsia (ovviamente, con il pieno consenso informato dei genitori, trattandosi di un paziente molto giovane!). Nel nostro caso, provenivano da un bambino a cui era stata diagnosticata la CDS a causa di una specifica mutazione “nonsense” nel gene ABHD5, ereditata da entrambi i genitori (mutazione omozigote c.700 C>T, p.Arg234*). Questa mutazione crea una versione “tronca” e non funzionante della proteina ABHD5.
Questi fibroblasti sono diventati il nostro “laboratorio in miniatura”. Osservandoli al microscopio, abbiamo confermato quello che ci aspettavamo: erano pieni zeppi di goccioline lipidiche, a differenza dei fibroblasti di controllo provenienti da un individuo sano. È stato come vedere i “cassonetti” stracolmi di cui parlavo prima!
Abbiamo poi verificato che la proteina ABHD5 mutata era praticamente assente nelle cellule del paziente, probabilmente perché instabile e degradata rapidamente, o forse perché l’mRNA stesso veniva eliminato prima di poter produrre la proteina (un meccanismo chiamato nonsense mediated mRNA decay). Curiosamente, i livelli dell’enzima ATGL (quello che ABHD5 dovrebbe attivare) erano normali. Questo ci ha suggerito che il problema non fosse la mancanza dell’enzima “spazzino”, ma proprio la mancanza del suo “attivatore”.
La domanda successiva è stata: cosa succederebbe se fornissimo alle cellule malate una versione funzionante di ABHD5? Abbiamo fatto proprio questo! Utilizzando tecniche di ingegneria genetica, abbiamo inserito la versione corretta (wild-type, WT) del gene ABHD5 nelle cellule del paziente. Il risultato? Spettacolare! Le goccioline lipidiche si sono ridotte drasticamente. È stata una conferma importante: fornire la proteina funzionante può invertire, almeno a livello cellulare, l’accumulo di grasso. Questo apre scenari interessanti, come ad esempio una potenziale terapia genica topica per trattare l’ittiosi cutanea.

Oltre le Goccioline di Grasso: Un Effetto a Cascata
Ma la storia non finisce qui. Negli ultimi anni abbiamo capito che le goccioline lipidiche non sono semplici depositi passivi, ma comunicano attivamente con altri “reparti” della cellula, in particolare con le centrali energetiche (i mitocondri) e con i centri di smaltimento di alcuni tipi di grassi (i perossisomi). Ci siamo chiesti: l’accumulo di LDs nella CDS influenza anche questi organelli?
La risposta è stata un sonoro sì! Abbiamo scoperto che nelle cellule del paziente i mitocondri avevano un aspetto diverso: apparivano più “allungati” (iperfusi) rispetto a quelli delle cellule di controllo. Ma non era solo una questione di forma. Anche la loro funzione era compromessa: producevano meno ATP (la “moneta energetica” della cellula) e l’attività di un complesso chiave della respirazione mitocondriale (la citocromo c ossidasi, COX) era ridotta. È come se le centrali energetiche della città fossero meno efficienti. Analisi più approfondite hanno suggerito che, sebbene ci fossero più mitocondri in totale, questi erano meno attivi.
E i perossisomi? Anche loro erano diversi! Nelle cellule del paziente ne abbiamo trovati di più, ma erano più piccoli rispetto ai controlli. Questo potrebbe legarsi a difficoltà nell’ossidazione di specifici acidi grassi che avviene proprio nei perossisomi, un processo che sappiamo essere influenzato da ABHD5. Potrebbe anche esserci un legame con PEX5, una proteina che normalmente porta altre proteine dentro i perossisomi ma che, è stato scoperto di recente, interagisce anche con ATGL per la lipolisi. Forse, in assenza di ABHD5 funzionante, PEX5 viene “dirottato” verso le goccioline lipidiche, lasciando “scoperte” le sue funzioni perossisomiali? Sono ipotesi affascinanti da esplorare!
Queste scoperte sono fondamentali perché ci dicono che la CDS non è solo una malattia delle goccioline lipidiche, ma ha un impatto più ampio sul metabolismo cellulare, coinvolgendo direttamente mitocondri e perossisomi. Capire queste interconnessioni è cruciale per sviluppare terapie veramente efficaci.
Alla Ricerca di una Cura: Il Potere del Drug Repurposing
Ok, abbiamo capito meglio la malattia a livello cellulare, ma come possiamo tradurre tutto questo in una possibile cura? Qui entra in gioco una strategia intelligente e sempre più usata nella ricerca, specialmente per le malattie rare: il drug repurposing. L’idea è semplice: invece di sviluppare un farmaco da zero (un processo lunghissimo e costoso), andiamo a testare farmaci già approvati per altre malattie, sperando che qualcuno di essi possa funzionare anche per la nostra.
Abbiamo quindi allestito uno screening ad alta processività (high content screening): abbiamo preso i fibroblasti del nostro paziente e li abbiamo trattati con circa 2500 farmaci diversi, tutti già approvati dalla FDA. Utilizzando un sistema di imaging automatizzato, abbiamo “fotografato” le cellule dopo il trattamento e misurato, grazie a un colorante fluorescente (BODIPY), come cambiavano le goccioline lipidiche (area totale, dimensione, forma, compattezza).

Lo screening ha funzionato! Abbiamo identificato diversi “candidati” (hits) che riducevano significativamente l’area totale occupata dalle goccioline lipidiche nelle cellule del paziente. Tra questi, ne abbiamo selezionati quattro per uno studio più approfondito:
- Mitoquinone (MitoQ): Un antiossidante che agisce specificamente sui mitocondri.
- Lomitapide: Un farmaco usato per abbassare i lipidi nell’ipercolesterolemia familiare.
- Tafenoquine: Un farmaco antimalarico.
- Benzalconio Cloruro: Un surfattante usato più che altro come controllo positivo, noto per alterare l’omeostasi lipidica.
Analizzando l’effetto di questi composti con un microscopio più potente (confocale), abbiamo notato delle differenze interessanti. Mentre Lomitapide e Benzalconio Cloruro riducevano sia il numero che la dimensione delle goccioline lipidiche, MitoQ e Tafenoquine sembravano ridurre l’area totale facendo “fondere” le goccioline esistenti in poche ma più grandi. Questo suggerisce che agiscano con meccanismi diversi, un’altra pista intrigante da seguire.
Speranze per il Futuro
Certo, la strada è ancora lunga. Questi farmaci identificati devono essere studiati molto più a fondo: dobbiamo capire esattamente come funzionano, verificare che non siano tossici per le cellule dei pazienti CDS e assicurarci che non abbiano effetti collaterali indesiderati. Però, aver identificato dei composti già esistenti che mostrano un effetto positivo, anche se preliminare, è un passo avanti enorme.
Il nostro lavoro, utilizzando i fibroblasti di un paziente, non solo ha gettato nuova luce sui meccanismi cellulari della Sindrome di Chanarin-Dorfman – mostrando l’impatto su mitocondri e perossisomi – ma ha anche dimostrato che la correzione del difetto genetico (con ABHD5 funzionante) funziona a livello cellulare e ha aperto la porta a potenziali terapie farmacologiche grazie allo screening di drug repurposing.
È un esempio perfetto di come lo studio approfondito di una malattia rara, partendo dalle cellule dei pazienti stessi, possa portare a scoperte inaspettate e alimentare la speranza concreta di trovare, un giorno, trattamenti efficaci. E noi continueremo a esplorare queste strade, con passione e determinazione!
Fonte: Springer
