Un cervello stilizzato composto da ingranaggi luminosi e parole fluttuanti che si interconnettono dinamicamente, simboleggiando la natura costruita, complessa e in continua evoluzione del significato. Stile: fotografia concettuale, obiettivo macro 90mm, alta definizione, illuminazione drammatica con fasci di luce che evidenziano le connessioni, sfondo scuro per far risaltare la luminosità degli elementi.

Significato Indeterminato: E Se le Regole del Gioco le Scrivessimo… Col Senno di Poi?

Amiche e amici appassionati di misteri della mente e del linguaggio, benvenuti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, un po’ come entrare in un labirinto di specchi dove ciò che sembra ovvio si rivela tutt’altro. Parleremo di come diamo senso alle parole, alle regole, insomma, a tutto ciò che ci permette di capirci (o di non capirci affatto!). L’argomento è tosto, lo ammetto, ma prometto di renderlo il più intrigante possibile: il significato indeterminato e una teoria chiamata convenzionalismo radicale temporalmente esteso. Pronti a mettere in discussione qualche certezza?

Il Paradosso che Scuote le Fondamenta: Seguire una Regola è Davvero Possibile?

Partiamo da un rompicapo filosofico che ha fatto sudare freddo generazioni di pensatori: il paradosso del seguire le regole. Immaginate di dover spiegare a qualcuno cosa significa “sommare”. Facile, no? 2+2 fa 4. Ma cosa ci assicura che quando diciamo “sommare” intendiamo la stessa operazione matematica che intendeva il nostro prof delle elementari, o che intenderemo domani? Questa è, in soldoni, la provocazione lanciata da Kripke interpretando Wittgenstein. Sembra un sofisma, ma pensateci: se non possiamo essere certi di cosa significhi seguire una regola (qualsiasi regola, anche linguistica), allora come facciamo ad avere contenuti intenzionali, a voler dire qualcosa di preciso?

Questo dubbio è una forma di scetticismo radicale, perché se non ci sono fatti che determinano il significato (i cosiddetti fatti metasemantici), allora non ci sono nemmeno fatti semantici. E se non ci sono fatti semantici, beh, addio alla possibilità di affermare, credere, o persino scoprire la verità. Un bel pasticcio, vero? Nonostante i fiumi d’inchiostro versati, una soluzione definitiva a questo paradosso sembra ancora lontana. E questo, secondo me, suggerisce che forse dobbiamo rivedere alcune delle nostre idee più radicate sul significato.

L’Utopia della Determinatezza Assoluta del Significato

Una delle idee che forse dobbiamo abbandonare è quella della determinatezza assoluta del significato. L’idea, cioè, che per ogni possibile applicazione di una parola o di una regola, esista già una risposta definitiva: “giusto” o “sbagliato”. Pensateci: le applicazioni possibili sono infinite! Noi, esseri finiti, come potremmo mai classificarle tutte? È un po’ come pretendere di avere una mappa dettagliata di un universo infinito. Impossibile.

Accettare questa indeterminatezza non significa gettare la spugna, anzi! Apre la strada a prospettive nuove e, a mio avviso, più realistiche. Ed è qui che entra in gioco la mia proposta, una versione rivisitata del convenzionalismo radicale.

Il Convenzionalismo Radicale: L’Accordo Fa la Regola (e il Significato!)

Il convenzionalismo radicale, in parole povere, sostiene che ogni volta che noi parlanti ci troviamo d’accordo su come applicare un’espressione in un caso specifico, quell’accordo stabilisce sia la regola sia il fatto semantico. Non c’è una regola preesistente scolpita nella pietra; la “stipuliamo” di volta in volta, per così dire. La mia versione di questa teoria si basa sulle disposizioni al diniego che i partecipanti a una pratica condividono. Queste disposizioni definiscono ogni applicazione e ne fondano il fatto semantico.

Cosa significa? Immaginate che io e voi stiamo discutendo se un certo oggetto volante sia un “uccello”. Se siamo d’accordo nel chiamarlo “uccello” e, implicitamente, siamo d’accordo che negare che quello sia un uccello implicherebbe negare che anche altri oggetti simili siano uccelli (questo è il nostro Application Pattern, AP, o schema di applicazione) e che chiamarlo “uccello” esclude che sia, per esempio, un “aereo” (questo è il nostro Incompatible Pattern, IP, o schema incompatibile), allora abbiamo stabilito un fatto semantico per “uccello” in quella specifica interazione.

Se non c’è accordo, l’applicazione è semplicemente indeterminata: non è né corretta né scorretta. Questo approccio soddisfa tre criteri fondamentali che una buona teoria del seguire le regole deve avere:

  • Correttezza (CORRECTNESS): Determina quali usi delle espressioni sono corretti (quelli su cui c’è accordo secondo i criteri AP e IP).
  • Identità (IDENTITY): Spiega quando due usi diversi significano la stessa cosa (quando i partecipanti concordano che negare uno equivale a negare l’altro, condividendo lo stesso AP).
  • Normatività (NORMATIVITY): Genera le relazioni di incompatibilità e la normatività del significato (se capiamo il significato di due frasi incompatibili, non dovremmo affermarle entrambe).

Un gruppo eterogeneo di persone, di età e background diversi, sedute attorno a un tavolo di legno grezzo in una stanza luminosa. Stanno animatamente ma costruttivamente discutendo, indicando dei fogli sparsi sul tavolo con diagrammi e parole chiave. L'atmosfera è collaborativa. Stile: fotografia di ritratto di gruppo, obiettivo prime 35mm, luce naturale diffusa, profondità di campo media per mantenere a fuoco i volti e le mani che gesticolano, colori naturali e vibranti.

Prendiamo l’esempio del “quus” di Kripke: se una comunità usa “+” intendendo “quus” (che dà lo stesso risultato di “più” per numeri piccoli, ma 5 per numeri grandi), allora per quella comunità, “68 + 57 = 5” è corretto, secondo il loro accordo e i loro AP/IP. Per noi, che usiamo “più”, è sbagliato. Il significato è determinato all’interno di ogni pratica.

Ma Se Siamo d’Accordo, Possiamo Mai Sbagliare? Il Problema dell’Errore

Qui sorge l’obiezione più classica e, diciamocelo, più spinosa: se l’accordo dei partecipanti costituisce i fatti semantici, come possiamo mai commettere un errore? Se tutti in una comunità concordano che “68 + 57 = 124”, allora, secondo il convenzionalismo radicale appena descritto, quella risposta è corretta in quella comunità. Ma noi sappiamo che è sbagliata! Una teoria del significato che non ammette la possibilità di errore sembra destinata al fallimento.

Ed è qui che la mia proposta si “estende temporalmente”. Dobbiamo distinguere due tipi di fatti semantici:

  • Fatti semantici de dicto: Sono quelli istituiti sincronicamente, caso per caso, all’interno di una pratica, basati sull’accordo attuale dei partecipanti. Dipendono dagli atteggiamenti mentali dei parlanti.
  • Fatti semantici de re: Sono quelli istituiti retrospettivamente da pratiche successive, storicamente collegate a quelle precedenti. Catturano ciò di cui i parlanti stavano realmente parlando, e non dipendono completamente dai loro stati mentali.

Pensate a Lavoisier, uno degli scopritori dell’ossigeno. Affermò che l’ossigeno è l’elemento di tutti gli acidi. De dicto, per la sua comunità scientifica dell’epoca, questa affermazione poteva essere corretta, basata sulla loro comprensione di “ossigeno”. Ma oggi, la chimica contemporanea ha stabilito un fatto semantico de re: Lavoisier, parlando di “ossigeno”, si riferiva alla stessa sostanza che intendiamo noi. E basandoci su questo fatto, la sua affermazione che l’ossigeno è l’elemento di tutti gli acidi è valutata come falsa.

L’Esternalismo Temporale: Il Futuro che Giudica il Passato

Questa idea dei fatti semantici de re si appoggia a un concetto chiamato esternalismo temporale: il significato di un enunciato può essere determinato da fatti che avvengono dopo il momento dell’enunciato stesso. Sembra controintuitivo, ma pensate ai termini di generi naturali. Nel XVIII secolo, il termine “oro” si applicava a sostanze insolubili in tutto tranne l’acqua regia. Poiché non solo l’oro ma anche il platino corrispondeva a questa descrizione, se “oro” si riferisse esclusivamente all’oro o a entrambi fu deciso solo dopo la scoperta del platino. Questa decisione successiva determina retrospettivamente a cosa si riferiva “oro” prima della scoperta.

Quindi, gli errori nelle pratiche passate, anche se concordati all’epoca (fatti de dicto), vengono rivelati o registrati come errori da prospettive retrospettive rilevanti (fatti de re). Le pratiche future istituiscono i fatti semantici de re sulle pratiche antecedenti, raffinando e sovrascrivendo i fatti semantici de dicto stabiliti in passato. Perché una pratica futura sia “rilevante”, deve esserci continuità e una revisione razionale. Ad esempio, la nostra pratica odierna sull’uso del termine “balena” (come mammifero) è una revisione razionale della pratica passata che la considerava un pesce, e c’è continuità perché condividiamo ancora molte altre credenze sulle balene (nuotano nell’oceano, ecc.).

Una vecchia pergamena srotolata su un tavolo di legno scuro, illuminata da una candela. Sulla pergamena, alcune parole sono scritte con inchiostro sbiadito, mentre una mano moderna, con una penna stilografica, sta apportando correzioni e annotazioni a margine, simboleggiando la revisione retrospettiva del significato. Stile: fotografia still life, obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione calda e controllata per creare un'atmosfera storica, focus preciso sui dettagli della pergamena e della mano.

I fatti semantici sono quindi essenzialmente indeterminati (perché l’applicazione di espressioni senza accordo in una pratica non è né corretta né scorretta), ma storicamente determinabili (attraverso la lente delle pratiche future).

E Se Mettiamo in Dubbio l’Accordo Stesso? Il Vero “Letto di Roccia”

Un ultimo, fondamentale scetticismo potrebbe sorgere: come facciamo a essere sicuri di essere d’accordo sull’accordo stesso? Forse quando io dico “accordo”, tu intendi “accordo*”, che significa accordo fino a ieri ma disaccordo da oggi in poi? Sembra un gioco di parole, ma tocca un punto cruciale.

La mia risposta è che l’accordo su cui si basa il convenzionalismo radicale non è tanto una questione di scoperta di un fatto preesistente, quanto una decisione o un impegno. Quando ci rendiamo conto di aver parlato di cose diverse, non è che l’accordo non sia mai esistito, ma piuttosto che viene ritirato. L’accordo su cosa significhi essere d’accordo è una condizione a priori della pratica del seguire le regole. Metterlo in discussione significa ritirare il proprio impegno da quella pratica.

Lo scettico che dubita della possibilità stessa dell’accordo, con il suo stesso scetticismo, si autoesclude dalla pratica comunicativa in cui i significati vengono stabiliti. Come diceva McDowell, il nostro accordo sull’accordo è il vero “letto di rocia” (hard bedrock) oltre il quale non possiamo scavare. I fatti semantici possono essere stabiliti solo in assenza di tale scetticismo radicale. Sono vulnerabili, certo, ma reali quando l’impegno all’accordo è presente.

Tirando le Somme: Un Significato Meno Rigido, Ma Forse Più Umano?

Cosa ci portiamo a casa da questo tortuoso ma, spero, stimolante percorso? Che il paradosso del seguire le regole può essere affrontato se siamo disposti a:

  • Abbandonare l’idea di una determinatezza assoluta del significato, accettando una certa dose di indeterminatezza.
  • Considerare due tipi di fatti semantici: quelli de dicto, legati alla pratica contingente, e quelli de re, stabiliti retrospettivamente.
  • Comprendere che lo scetticismo sul significato non è solo un esercizio intellettuale, ma ha l’effetto concreto di rendere il significato indeterminato distruggendo (o abbandonando) le stipulazioni della pratica.

Questa visione del significato, lo ammetto, è meno rassicurante di quella tradizionale. Il significato non è più un’entità fissa e immutabile, ma qualcosa di più fluido, negoziato, e persino corretto col senno di poi. Ma non è forse questo un quadro più fedele di come noi esseri umani, finiti e fallibili, navighiamo nel complesso mondo della comunicazione e della comprensione?

I fatti semantici, in definitiva, dipendono dai nostri atteggiamenti, dalla nostra volontà di accordarci e di continuare a rivedere le nostre comprensioni. L’assenza di scetticismo radicale, l’impegno a capirsi, è l’essenza stessa dei fatti semantici. Un’idea potente, non trovate?

Fonte: Springer

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