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SGLT2i e Diabete Tipo 1: La Mia Esperienza sul Campo e Cosa Dice la Scienza (Spoiler: Promettente, ma con Cautela!)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e su cui, insieme al mio team, abbiamo lavorato parecchio: l’uso degli inibitori del SGLT2 (SGLT2i) come terapia aggiuntiva all’insulina nel diabete di tipo 1 (DT1). So che gestire il DT1 è una maratona, non uno sprint, e ogni potenziale aiuto è benvenuto. Ma come stanno davvero le cose con questi farmaci nel mondo reale? Ve lo racconto subito!

Un Nuovo Alleato all’Orizzonte?

Per chi vive con il diabete di tipo 1, l’insulina è vita. Punto. Ma sappiamo anche che, nonostante i progressi enormi nei sistemi di monitoraggio del glucosio e nelle pompe insuliniche, raggiungere un controllo glicemico ottimale può essere una vera impresa. C’è sempre quel desiderio di semplificare la terapia, centrare gli obiettivi di emoglobina glicata (HbA1c), ridurre lo stress mentale e aumentare il tempo in cui la glicemia è nel range desiderato (il famoso TIR), il tutto senza incappare in ipoglicemie. Un sogno, vero? Ecco, gli SGLT2i sono entrati in scena proprio con la promessa di dare una mano in questo senso.

Questi farmaci, inizialmente pensati per il diabete di tipo 2, agiscono in modo furbo: fanno sì che i reni eliminino più glucosio con le urine. Meno glucosio nel sangue, meno problemi… o almeno, questa è l’idea. Studi clinici importanti, come il programma DEPICT con dapagliflozin e gli studi EASE con empagliflozin, hanno mostrato che sì, gli SGLT2i possono migliorare il controllo glicemico, far perdere un po’ di peso e ridurre le dosi di insulina. Fantastico! Però, c’è un “però” grande come una casa: un aumentato rischio di chetoacidosi diabetica (DKA), una complicanza seria. Tanto che, ad esempio, dapagliflozin, dopo un’iniziale approvazione EMA per il DT1 in pazienti con BMI ≥ 27 kg/m², ha visto ritirata questa indicazione nel 2021 proprio per questioni di sicurezza.

La Nostra Indagine sul Campo: Cosa Abbiamo Scoperto?

Di fronte a questo scenario un po’ agrodolce, ci siamo detti: “Ok, ma nella vita reale, fuori dai trial clinici super controllati, cosa succede?”. Così, nel nostro centro, abbiamo condotto uno studio retrospettivo osservazionale. Abbiamo preso in esame 78 pazienti adulti con DT1 che avevano iniziato una terapia con SGLT2i in aggiunta alla loro insulina e li abbiamo seguiti fino a 24 mesi. Volevamo vedere con i nostri occhi gli effetti a lungo termine sul controllo glicemico, sul peso, sui parametri renali, sulla persistenza della terapia e, ovviamente, sugli eventi avversi.

I nostri “protagonisti” avevano un’età media di circa 47 anni, con un diabete che durava in media da quasi 25 anni. L’HbA1c di partenza era sull’8.3% (un po’ altina, quindi c’era margine di miglioramento) e un BMI medio di quasi 30 kg/m², quindi tendenzialmente sovrappeso. La maggior parte usava iniezioni multidose di insulina, solo una piccola parte era con microinfusore.

I Risultati Chiave: Luci…

Ebbene, cosa abbiamo visto? Innanzitutto, la persistenza in terapia è stata una variabile chiave: chi continuava il trattamento otteneva risultati migliori. E questo ha senso, no?

  • Emoglobina Glicata (HbA1c): C’è stata una riduzione significativa! Il picco l’abbiamo visto a 6 mesi, con un calo di circa 0.61%. E la cosa bella è che questo miglioramento si è mantenuto fino a 24 mesi. Pensate che nei 5 anni precedenti l’inizio dell’SGLT2i, l’HbA1c tendeva a peggiorare, quindi è stata una bella inversione di rotta!
  • Tempo nel Range (TIR): Per chi usava il monitoraggio continuo del glucosio (CGM), il TIR è schizzato in alto: un bel +13.7% già a 3 mesi, e anche questo beneficio è durato. Di conseguenza, il tempo sopra il range (TAR) è diminuito, mentre il tempo sotto il range (TBR, quello delle ipo) non è cambiato significativamente. Ottima notizia!
  • Peso Corporeo: Chi ha continuato la terapia ha visto una perdita di peso massima di circa 2.5 kg a 9 mesi. Non male, considerando che la gestione del peso è spesso una sfida nel DT1.
  • Dosi di Insulina: Anche qui, buone nuove. Il fabbisogno di insulina è calato significativamente, con una riduzione massima del 15% a 21 mesi. Meno insulina, con un controllo migliore, è sempre un plus.
  • Funzione Renale: L’eGFR (un indice di funzionalità renale) non è peggiorato significativamente nel tempo, il che potrebbe già essere un segnale positivo. Ma la vera sorpresa è stata la UACR (rapporto albumina/creatinina urinaria, un marcatore di danno renale precoce): è diminuita significativamente a 15 mesi! Questo è un dato molto interessante in ottica nefroprotettiva.

Grafico stilizzato che mostra una linea di emoglobina glicata in discesa nel tempo dopo l'inizio di una nuova terapia, con icone di peso e goccia di insulina che diminuiscono. Obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione controllata per enfatizzare i dettagli del grafico.

Curiosamente, abbiamo notato che l’effetto sull’HbA1c sembrava nominalmente maggiore nei pazienti obesi, negli uomini rispetto alle donne, e in chi aveva già microangiopatie. Tuttavia, solo il sesso è rimasto un fattore indipendente: le donne sembravano avere un beneficio glicemico leggermente inferiore. Un dato da approfondire.

…e Ombre (Perché Bisogna Essere Onesti)

Non è tutto oro quello che luccica, ovviamente. Gli eventi avversi ci sono stati. Circa il 29.5% dei pazienti ne ha sperimentati, e questo ha portato all’interruzione della terapia nel 25.6% dei casi.

  • Infezioni Genitourinarie: Sono state le più comuni, riguardando il 23.1% dei pazienti. È un effetto collaterale noto degli SGLT2i, dovuto al maggior glucosio nelle urine che può favorire la crescita batterica.
  • Chetoacidosi Diabetica (DKA): Abbiamo registrato un solo episodio. Si è verificato in una paziente obesa, in terapia con canagliflozin da più di un anno, che aveva ridotto molto le dosi di insulina. L’episodio è stato scatenato da una gastroenterite e si è risolto completamente. Un solo caso è un numero basso (0.7 casi ogni 100 pazienti-anno), ma ci ricorda che il rischio c’è e non va sottovalutato. La paziente, per fortuna, stava bene dopo e non ha avuto altri episodi negli anni successivi, dopo aver interrotto l’SGLT2i.

Questi dati sottolineano l’importanza cruciale di una selezione attenta dei pazienti, di un’educazione approfondita sui rischi (specialmente la DKA e come riconoscerla/prevenirla, ad esempio monitorando i chetoni, soprattutto nei “sick days”) e di un monitoraggio stretto.

Non Siamo Soli: Cosa Dice la Letteratura Mondiale?

Per non sentirci “soli” con i nostri dati, abbiamo fatto una bella revisione della letteratura scientifica, cercando altri studi “real-world” come il nostro. Ne abbiamo trovati 15. E sapete una cosa? I nostri risultati sono abbastanza in linea!
Le riduzioni di HbA1c riportate variano da -0.3% a -1.0%, e la perdita di peso da -0.4 kg a -4.5 kg. Anche i miglioramenti del TIR erano consistenti. L’incidenza di DKA, però, è un tasto dolente e varia parecchio negli studi, da zero a tassi più preoccupanti. Questo suggerisce che le pratiche di monitoraggio e l’educazione del paziente possono fare una grande differenza.
È interessante notare come uno studio abbia documentato un peggioramento del controllo glicemico e del peso dopo la sospensione di dapagliflozin, a riprova che l’effetto benefico c’era!

Tirando le Somme: Bilanciare Benefici e Rischi

Allora, che ci portiamo a casa da tutto questo? L’aggiunta di un SGLT2i all’insulina nel diabete di tipo 1 può offrire benefici metabolici tangibili e sostenuti nel tempo: miglior controllo glicemico, più tempo nel range, perdita di peso e riduzione del fabbisogno insulinico. E quel dato sulla UACR ci fa sperare anche in una potenziale protezione renale, un aspetto importantissimo per chi convive a lungo con il diabete.
Tuttavia, i rischi, in particolare le infezioni genitourinarie e la DKA, sono reali. La DKA associata agli SGLT2i può essere insidiosa perché a volte si presenta con glicemie non eccessivamente alte (“euglicemica”), il che può ritardare la diagnosi. Questo non riguarda solo il DT1, ma anche pazienti con diabete di tipo 2 di lunga data e con ridotta funzione beta-cellulare.
Un medico e un paziente discutono davanti a un tavolo con opuscoli informativi sulla gestione del diabete e il monitoraggio dei chetoni. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo, luce naturale da finestra, espressioni concentrate ma positive.

La chiave sta nel personalizzare la terapia. Non tutti i pazienti sono uguali. Chi ha un BMI più alto sembra rispondere meglio, ma è fondamentale una discussione approfondita tra medico e paziente, valutando attentamente il rapporto rischio/beneficio individuale. L’educazione del paziente su come gestire i “sick days”, su come monitorare i chetoni (magari con i nuovi sensori continui che misurano anche i corpi chetonici!) e su quando contattare il medico è assolutamente fondamentale.

Uno Sguardo al Futuro

La ricerca non si ferma. C’è grande interesse nel capire meglio se gli SGLT2i possano davvero offrire protezione cardio-renale anche nel DT1, come già ampiamente dimostrato nel DT2. I dati preliminari sono incoraggianti, ma servono studi più ampi e specifici. L’avvento del monitoraggio continuo dei corpi chetonici potrebbe rendere l’uso di questi farmaci più sicuro nel DT1 e, chissà, magari espanderne l’utilizzo. Un’altra area calda è il loro impiego in pazienti con trapianto di isole pancreatiche o di rene.

I Nostri Punti di Forza (e Qualche Debolezza, Siamo Onesti!)

Il nostro studio ha il pregio di un follow-up relativamente lungo (fino a 24 mesi) in un contesto di vita reale, il che rende i risultati più generalizzabili alla pratica clinica quotidiana. Abbiamo anche potuto osservare la persistenza in terapia, un dato spesso trascurato.
Certo, ci sono dei limiti. Essendo retrospettivo, non possiamo escludere bias di selezione o stabilire nessi di causalità certi. Il campione non era enorme e proveniva da un singolo centro. Inoltre, la proporzione di pazienti con microinfusore era più bassa del previsto, forse perché chi ha un buon controllo con la pompa sente meno il bisogno di terapie aggiuntive, o per timori legati al rischio di DKA in questa popolazione. E, come in tutti gli studi osservazionali, manca un gruppo di controllo. Abbiamo cercato di ovviare confrontando l’HbA1c prima e dopo l’SGLT2i, e il miglioramento sostenuto fino a 24 mesi va oltre il semplice effetto placebo, ma studi più lunghi sono necessari.

In Conclusione

Insomma, l’aggiunta degli SGLT2i all’insulina nel DT1 è una carta in più nel mazzo, con potenzialità interessanti per migliorare la gestione metabolica. Ma è una carta da giocare con estrema attenzione, scegliendo bene i pazienti, educandoli a fondo e monitorandoli da vicino. La strada è promettente, ma la prudenza non è mai troppa quando si parla della salute delle persone. E noi continueremo a studiare e a imparare, per offrire cure sempre migliori!

Fonte: Springer

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