Sfide Digitali e Voci Reali: Quando i Peer Raccontano la Salute Mentale Tech
Parliamoci chiaro, la tecnologia sta cambiando (quasi) tutto, anche il modo in cui ci prendiamo cura della nostra salute mentale. Le cosiddette interventi di salute mentale digitale (DMHI) – pensate ad app, siti web, dispositivi indossabili – promettono di rendere l’aiuto più accessibile, magari superando quella ritrosia o quello stigma che a volte ci frena dal chiedere supporto di persona. E le ricerche, sapete?, dicono che funzionano pure! Alcuni studi mostrano risultati paragonabili, se non migliori, alla terapia tradizionale.
Ma c’è un ingrediente che può fare davvero la differenza: i peer. Chi sono? Sono persone come noi, che hanno vissuto sulla propria pelle sfide di salute mentale, ne sono uscite (o ci stanno lavorando alla grande!) e ora sono formate per dare una mano ad altri che affrontano percorsi simili. L’idea di affiancare un peer a un intervento digitale è geniale: chi meglio di loro può capire, incoraggiare e facilitare l’uso di questi nuovi strumenti? Sembra che la loro presenza renda le DMHI ancora più efficaci.
E non solo: coinvolgere i peer fin dalla progettazione di queste tecnologie è cruciale per creare qualcosa che sia davvero utile, utilizzabile e rilevante per chi ne avrà bisogno. Eppure, nonostante tutto questo potenziale, sembra che coinvolgerli davvero nei processi di implementazione sia ancora raro e pieno di ostacoli. Spesso si scontrano con diffidenze, dinamiche di potere complesse, o semplicemente non vengono ascoltati come dovrebbero.
Ecco perché mi ha affascinato uno studio recente che ha voluto dare voce proprio ai peer coinvolti in un grosso progetto californiano chiamato Help@Hand. Questo progetto, durato cinque anni e diffuso in diverse aree della California (dalle metropoli alle zone rurali), mirava proprio a integrare le DMHI nei servizi locali per migliorare accesso, qualità e risultati delle cure per la salute mentale, specialmente per le persone più vulnerabili o difficili da raggiungere. E la caratteristica chiave? Coinvolgere i peer in ogni fase, dalla pianificazione all’implementazione.
Ma come è andata davvero? Quali sono state le difficoltà incontrate da questi pionieri digitali con esperienza vissuta? Lo studio ha raccolto le loro testimonianze, usando un modello chiamato CFIR (che sta per Consolidated Framework for Implementation Research, ma non preoccupatevi dei tecnicismi!) per capire e organizzare le sfide emerse tra il 2020 e il 2022. E credetemi, ne sono venute fuori di cose interessanti!
Il Primo Scoglio: La Tecnologia Stessa
Sembra banale, ma una delle prime grane riguardava proprio la “roba” tecnologica. Distribuire dispositivi come smartphone o tablet alla comunità, ad esempio, si è rivelato un percorso a ostacoli. Ritardi nell’ottenere i device, problemi nell’installare i software giusti, assicurarsi che tutto fosse sicuro dal punto di vista dei dati… Quasi la metà dei siti coinvolti ha segnalato questi intoppi. Come ha raccontato un Peer Lead (la figura che coordinava i peer a livello locale): “Ci siamo bloccati perché dovevamo aspettare l’approvazione del budget dai piani alti, poi è arrivata la notizia della carenza di chip” (2021). Insomma, la logistica tech non è uno scherzo.
Ma il problema non era solo avere i dispositivi, era anche usarli. Praticamente tutti i siti (il 91%!) hanno sbattuto contro il muro della scarsa dimestichezza della comunità con la tecnologia e la mancanza di accesso. Bassa alfabetizzazione digitale, niente connessione internet, niente dispositivi personali… problemi diffusi, non solo tra gli anziani come si potrebbe pensare. La pandemia di COVID-19, poi, spostando tutto online, ha accentuato questo “digital divide”. Un Peer Lead ha detto chiaramente: “C’è un divario digitale, e ce ne stiamo rendendo conto ora che siamo chiusi in casa e alcune persone non hanno nemmeno le capacità per usare Zoom. Alcuni non hanno i soldi o la possibilità di avere smartphone” (2020). Questo ha significato che i peer stessi dovevano essere super preparati tecnologicamente per aiutare persone con livelli di competenza diversissimi. Addirittura, hanno dovuto dare supporto anche ai giovani, che si pensava fossero più “smanettoni”: “Molti giovani non avevano mai usato Zoom o Google Hangouts prima. Quindi anche solo riuscire a fare una prima chiamata con loro era difficile” (2020).

Chi Fa Cosa? Il Dilemma dei Ruoli e delle Risorse
Un altro nodo cruciale riguardava proprio i peer: il loro ruolo e le risorse a disposizione. Una delle cose più frustranti, a quanto pare (segnalata da due terzi dei siti), era la confusione sui ruoli. Cosa dovevano fare esattamente i peer all’interno del progetto? Un coordinatore ha descritto bene il problema: “Ci potrebbe essere una migliore definizione dei ruoli. Una volta che i peer sanno cosa devono fare, eccellono davvero. Passiamo attraverso un ciclo: ambiguità, chiarezza, ambiguità. A seconda di dove siamo in quel ciclo, la loro efficacia ne risente” (2021). A questo si aggiungeva il fatto che la stragrande maggioranza (82%) dei peer doveva dividersi tra mille impegni, con poco tempo dedicato specificamente al progetto Help@Hand. “[Help@Hand] è solo uno dei miei lavori, e ho altre cose da fare” (2020), ha ammesso candidamente un altro.
E poi, la fatica nel trovare e assumere i peer giusti. Quasi tutti i siti (91%) hanno avuto difficoltà a reclutare persone qualificate. Serviva una combinazione unica: esperienza vissuta di problemi di salute mentale *e* competenze digitali. Trovare questo mix, magari per un lavoro part-time e con una paga non altissima, era una vera sfida. “L’obiettivo era trovare un peer che rappresentasse la popolazione che avremmo servito. Trovare qualcuno con esperienza vissuta […] che avesse conoscenze tecniche è stata una vera sfida. […] Questo è difficile nella fascia di stipendio, ed è solo per 18 ore settimanali. È difficile da coprire” (2020). A volte, le stesse procedure di assunzione delle risorse umane locali creavano ostacoli, magari per timore di fare domande considerate discriminatorie o per questioni di privacy (HIPAA).
Una volta assunti, però, bisognava farli lavorare. E qui emergeva un’altra criticità: l’integrazione del loro contributo nelle decisioni. Anche se l’idea era proprio quella di valorizzare la loro prospettiva, circa un quarto dei siti ha ammesso che l’input dei peer non veniva sempre cercato o utilizzato. I motivi? Tempi stretti, costi per implementare i suggerimenti (come tradurre un’app), o semplicemente una mancanza di preparazione dell’organizzazione ad accogliere davvero quel contributo. “I peer vogliono avere voce in capitolo su tutto ciò che accade in questo progetto, ma a volte il progetto deve andare avanti, e le informazioni di marketing sono uscite senza il feedback dei peer” (2022).
Infine, le risorse umane erano spesso insufficienti. La maggioranza dei siti (82%) sentiva di avere un organico di peer troppo piccolo per le esigenze del progetto. C’era una discrepanza tra gli obiettivi ambiziosi e le risorse (spesso part-time) allocate. A questo si aggiungeva il problema del turnover (segnalato dal 55% dei siti): peer che lasciavano per aspettative disattese, problemi di salute, pensionamento o riassegnazione ad altri incarichi, rendendo difficile la continuità. “Il nostro Peer Lead è andato in pensione e non hanno preso accordi perché qualcuno prendesse il suo posto. Stiamo cercando di capire come quella posizione sarà sostituita – lo stiamo ancora capendo” (2021).

Comunicazione e Collaborazione: Un Percorso a Ostacoli
Se c’è un tema che è emerso prepotentemente, è quello della comunicazione e della collaborazione, un vero labirinto a quanto pare. I problemi si manifestavano a più livelli.
- Comunicazione interna al sito: Ben il 91% dei siti ha riportato difficoltà nella comunicazione all’interno della propria struttura locale. Informazioni che non circolavano, decisioni prese senza coinvolgere chi era sul campo. “Ci sono persone che prendono decisioni e io non ne so nulla. Lo vengo a sapere tipo di terza mano. Non so quanto fossero coinvolti i peer in qualsiasi altro aspetto” (2021). Anche la gestione locale del progetto presentava criticità per il 64% dei siti, con cambi frequenti di leadership che rallentavano tutto. “Nel mio mandato, quasi 2 anni, ho avuto 3 diversi leader sotto cui ho lavorato. Ogni volta ho dovuto rielaborare processi diversi per far capire loro cosa stava succedendo. Hanno sempre le loro idee su come le cose dovrebbero funzionare, e questo rallenta il processo” (2022).
- Comunicazione con l’ente finanziatore (CalMHSA): Un’altra nota dolente (82% dei siti) era il flusso di informazioni poco chiaro o ritardato da parte dell’agenzia che coordinava e finanziava il tutto. Questo era in parte dovuto a cambi di personale nell’agenzia stessa, costringendo i siti ad adattarsi a nuovi stili di comunicazione e leadership.
- Collaborazione con i fornitori di tecnologia: Lavorare con le aziende che fornivano le app o le piattaforme digitali non era sempre facile (problema per due terzi dei siti). A volte i fornitori si tiravano indietro, altre volte c’erano problemi di comunicazione che causavano ritardi infiniti. “Deludentemente avevamo un’app pronta che volevamo testare e abbiamo dovuto interrompere il processo di assunzione perché gli sviluppatori [della tecnologia] si sono tirati indietro dicendo che non potevano lavorare con noi durante il COVID-19” (2020).
- Ritardi nei contratti: La maggioranza dei siti (82%) ha sperimentato ritardi nella stipula dei contratti, sia con l’ente finanziatore che con i fornitori. La novità di lavorare con la tecnologia digitale complicava le cose, soprattutto per questioni di privacy e condivisione dei dati, lasciando i peer in attesa e costringendoli a reindirizzare i loro sforzi.
- Comunicazione tra peer dei diversi siti: All’inizio c’era un tentativo di creare una comunità di apprendimento tra i peer dei vari siti, con chiamate mensili. Ma dopo la partenza della persona che coordinava questa iniziativa, le chiamate sono diventate meno efficaci, con scarsa partecipazione e poca condivisione. Questo ha impedito ai siti di imparare dalle esperienze altrui. “Senti molto silenzio in quelle riunioni [tra peer]. Molti peer hanno paura di parlare e non c’è la stessa quantità di attività peer in ogni sede […] Non so se stiano stimolando abbastanza la partecipazione. […] Penso che potrebbero usare un po’ di struttura. È piatto” (2021).
- La barriera linguistica: Un problema molto sentito (due terzi dei siti) era l’incapacità di raggiungere efficacemente le popolazioni target per la mancanza di materiali (sia di marketing che dell’intervento stesso) nelle lingue appropriate. Molte tecnologie erano limitate nelle scelte linguistiche e non erano stati stanziati fondi per la traduzione all’inizio. “Ci sono voluti mesi per ottenere una landing page in spagnolo per il progetto, quindi stavamo rimandando il contatto con le popolazioni di lingua spagnola” (2021).
Il Contesto Conta: Fattori Esterni e Imprevisti
Ovviamente, i progetti non vivono nel vuoto. Diversi fattori esterni hanno influenzato pesantemente Help@Hand.
Il più evidente? La pandemia di COVID-19, menzionata dall’82% dei siti. Ha causato la cancellazione di incontri e attività in presenza, ha dirottato attenzione e fondi, ha bloccato le assunzioni o spostato il personale su attività legate all’emergenza. Ha creato incertezza su come procedere, anche se, paradossalmente, ha accelerato l’adozione di alcune tecnologie (come le videoconferenze) che poi si sono rivelate utili per il progetto stesso.
Un’altra ombra costante era l’incertezza sui finanziamenti futuri (64% dei siti). Essendo un progetto finanziato pubblicamente e a tempo determinato, c’era la preoccupazione su cosa sarebbe successo alla fine del contratto. Questa incertezza ha portato alcuni peer ad andarsene e ha reso i siti riluttanti a investire nella costruzione di un team stabile. “Contrattualmente finiremo nel 2024. Abbiamo parlato di cosa succederebbe se avessimo un [gruppo] in cui li formiamo sull’alfabetizzazione digitale e poi potrebbero essere ambasciatori […] ma se il programma non si estende oltre il 2024, non ha senso investire quel tempo” (2021).
Infine, la mancanza di chiarezza nei processi decisionali a livello dell’intera collaborazione (segnalata da tre quarti dei siti) creava confusione su chi decideva cosa e come le informazioni venivano disseminate, specialmente riguardo ai finanziamenti e ai limiti del progetto.

Cosa Ci Portiamo a Casa? Lezioni (Preziose) dall’Esperienza Peer
Allora, cosa ci insegna tutta questa storia? Beh, innanzitutto che l’idea di coinvolgere i peer nell’implementazione della salute mentale digitale è ottima, ma la strada è tutt’altro che in discesa. Le sfide sono tante e toccano tutti gli aspetti: la tecnologia, le persone, i processi, l’organizzazione interna ed esterna.
Se vogliamo che iniziative simili abbiano successo in futuro, dobbiamo imparare da queste esperienze. Ecco alcuni punti chiave che mi sembrano fondamentali:
- Chiarezza fin dall’inizio: Definire bene i ruoli e le responsabilità dei peer è essenziale. Niente ambiguità, per favore! E bisogna mantenere fede a quei ruoli, pur con la flessibilità necessaria.
- Reclutamento e assunzione mirati: Trovare le persone giuste richiede tempo, strategie specifiche (valorizzando l’esperienza vissuta tanto quanto le competenze tecniche) e forse una preparazione ad hoc delle risorse umane. Bisogna semplificare i processi di assunzione per i peer.
- Risorse adeguate: Non si può pensare di fare grandi cose senza un team di dimensioni sufficienti e con il giusto supporto. Il turnover va affrontato con strategie di ritenzione, come una supervisione adeguata e un ambiente di lavoro che valorizzi il loro contributo unico.
- Integrazione reale, non di facciata: L’input dei peer deve essere cercato, ascoltato e, per quanto possibile, implementato. Serve un cambiamento culturale nelle organizzazioni per evitare che il loro coinvolgimento sia solo simbolico.
- Comunicazione fluida: Stabilire canali di comunicazione chiari ed efficienti a tutti i livelli (interno, esterno, tra siti) è vitale. Bisogna evitare i “silos” informativi.
- Preparazione tecnologica: Non dare per scontata l’alfabetizzazione digitale della comunità (né dei peer!). Bisogna pianificare supporto tecnico, formazione e, se necessario, la distribuzione di dispositivi. E non dimenticare la traduzione!
- Pianificazione e sostenibilità: Affrontare i ritardi (specialmente quelli legati alla tecnologia e ai contratti) con piani alternativi e pensare alla sostenibilità economica del progetto fin dall’inizio può ridurre l’incertezza.
La morale della favola? Ascoltare chi vive le cose sulla propria pelle, i peer in questo caso, non è solo “bello” o “giusto”, è incredibilmente utile per capire cosa non funziona e come migliorare. Le loro prospettive sulle sfide dell’implementazione della salute mentale digitale sono una miniera d’oro per chiunque voglia avventurarsi in questo campo. Ignorarle sarebbe un vero peccato, non trovate?
Fonte: Springer
