Radioscandio-47: La Sfida High-Tech per Separarlo dal Titanio con Metodi a Secco
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che sta succedendo nel mondo della medicina nucleare: la ricerca di nuove coppie di radionuclidi “teranostici”. Cosa significa? Immaginate di poter usare quasi la stessa sostanza sia per *vedere* un tumore (diagnosi) sia per *curarlo* (terapia). Fantastico, vero? Ecco, una delle coppie più promettenti è quella formata dagli isotopi dello Scandio: 43Sc e 44Sc per la diagnosi (usano l’emissione di positroni, perfetti per la PET) e il nostro protagonista, il 47Sc, per la terapia.
Perché proprio il 47Sc è così speciale?
Beh, il 47Sc ha delle caratteristiche quasi ideali: un tempo di dimezzamento giusto (circa 3,35 giorni) e un’energia beta perfetta per colpire le cellule tumorali (Eavgβ−= 162 keV). In più, emette anche un raggio gamma a bassa energia che ci permette di “vedere” dove sta andando la terapia tramite imaging SPECT. È un po’ come avere un localizzatore GPS sulla nostra cura! Chimicamente, poi, si comporta in modo simile ad altri “campioni” della terapia come il Lutezio-177 (177Lu).
Ma c’è un “ma”. Produrre questi radionuclidi, specialmente il 177Lu, non è semplice: servono reattori nucleari potenti, materiali costosi (Ittrio-176 arricchito) e processi di separazione chimica lunghi e complessi. Qui entra in gioco un’alternativa interessante per il 47Sc: la produzione tramite reazioni fotonucleari usando acceleratori di elettroni. In pratica, “bombardiamo” del Titanio (48Ti) con fotoni ad alta energia e otteniamo 47Sc (la reazione principale è 48Ti(γ,p)47Sc). Questo metodo potrebbe essere più economico e generare meno scorie radioattive.
La grande sfida: separare l’atomo giusto!
Ok, produciamo il 47Sc nel Titanio. E adesso? Dobbiamo separare quella piccolissima quantità di Scandio radioattivo (parliamo di livelli “non-carrier-added”, cioè senza aggiunta di Scandio stabile) dalla grande massa di Titanio del bersaglio irraggiato. I metodi tradizionali, chiamati “wet separation” (separazione umida), usano acidi molto forti (come l’acido fluoridrico HF o l’acido cloridrico HCl) e altre sostanze chimiche aggressive. Funzionano, ma sono complessi e richiedono condizioni difficili.
E se ci fosse un modo più “pulito”, più diretto? Qui entra in gioco la nostra ricerca: abbiamo esplorato un metodo di separazione a secco, in fase gas-solido. L’idea è semplice: scaldiamo il bersaglio di Titanio irraggiato sotto vuoto spinto. A temperature elevate, gli atomi di 47Sc dovrebbero “evaporare” dalla superficie del Titanio, permettendoci di raccoglierli separatamente. Sembra facile, ma i dettagli sono cruciali!
I nostri esperimenti: calore, vuoto e… pazienza!
Abbiamo preso dei sottili fogli di Titanio (di purezza elevatissima) irraggiati per produrre 47Sc e li abbiamo messi in un forno speciale, collegato a una pompa per creare un vuoto molto spinto (1 × 10−3 Pa). Abbiamo testato diverse temperature, da 900°C fino a 1100°C. Per raccogliere lo Scandio evaporato, abbiamo usato un “dito freddo”, una superficie raffreddata su cui gli atomi di 47Sc potessero depositarsi.
I risultati sono stati davvero incoraggianti! Abbiamo scoperto che:
- La temperatura è fondamentale: più si scalda, più 47Sc viene rilasciato. A 1100°C, siamo riusciti a rilasciare quasi tutto lo Scandio (99.9%) da fogli di Titanio spessi 50 μm (0.05 mm)! Un risultato migliore di studi precedenti che richiedevano temperature più alte (1400°C).
- Lo spessore del foglio conta tantissimo: con fogli sottili (25 o 50 μm) il rilascio è massimo. Ma appena aumentiamo lo spessore (ad esempio a 0.25 mm o 1 mm), la percentuale di 47Sc rilasciato crolla drasticamente (rispettivamente al 34% e al 15%).
Per capire meglio questo comportamento, abbiamo sviluppato un modello Monte Carlo. È un modo per simulare al computer il viaggio di migliaia di singoli atomi di Scandio. Questo viaggio ha due tappe: prima l’atomo deve “diffondere” dall’interno del Titanio fino alla superficie, e poi deve avere abbastanza energia per “desorbire”, cioè staccarsi dalla superficie ed evaporare. Il nostro modello ha funzionato alla grande! Ha descritto perfettamente i dati sperimentali e ci ha permesso di calcolare l’energia necessaria per far evaporare lo Scandio dal Titanio (l’entalpia di adsorbimento): 390 ± 5 kJ/mol. Questo valore è in accordo quasi perfetto con le previsioni teoriche! Fantastico, no? Il modello ci ha confermato che per i fogli più spessi, il problema principale è la diffusione lenta dello Scandio verso la superficie.
Ok, lo Scandio evapora… ma dove va a finire? La sfida del recupero
Rilasciare il 99.9% dello Scandio è ottimo, ma dobbiamo anche recuperarlo! Abbiamo provato a usare diversi materiali sul nostro “dito freddo” per vedere quale funzionasse meglio come “trappola” (catcher foil): Titanio (Ti), Tantalio (Ta), Ottone (Brass) e Oro (Au).
E qui la sorpresa: l’Oro (Au) è stato il campione, recuperando circa il 65% dello Scandio evaporato. L’Ottone si è fermato al 47%, mentre Titanio e Tantalio solo intorno al 30%. Sembrava fatta! Ma… c’è stato un altro intoppo. Una volta catturato sull’Oro, non siamo riusciti a rimuovere (lavare via) lo Scandio in modo quantitativo, nemmeno usando acidi concentrati! Perché? Probabilmente perché lo Scandio non si deposita solo sulla superficie dell’Oro, ma tende a migrare e “dissolversi” rapidamente nella matrice dell’Oro, rendendo difficile la sua successiva estrazione. L’entalpia di adsorbimento dello Scandio sull’Oro è risultata simile a quella sul Titanio (circa 370 kJ/mol), quindi la differenza sta proprio in questa rapida migrazione nell’Oro.
E se usassimo Titanio “spugnoso” o sinterizzato?
Ci siamo chiesti: forse usando un Titanio meno compatto, più poroso (come una spugna o polveri sinterizzate), potremmo facilitare la fuoriuscita dello Scandio anche da bersagli più spessi? Abbiamo preparato dei campioni di Titanio spugna e miscele di polveri di Titanio e idruro di Titanio sinterizzate (riscaldate ad alta temperatura per farle “incollare”). Lo spessore era di 1 mm, e li abbiamo scaldati a 1100°C.
Risultato? Deludente. Il rilascio di 47Sc da questi materiali è stato inferiore a quello ottenuto dal foglio solido di Titanio dello stesso spessore (intorno al 10-12% contro il 15%). Abbiamo analizzato la loro struttura al microscopio elettronico a scansione (SEM) e abbiamo capito perché: nonostante le nostre intenzioni, i materiali non erano veramente porosi come speravamo, ma apparivano piuttosto omogenei. Le piccole cavità presenti potrebbero addirittura aver “intrappolato” parte dello Scandio rilasciato, peggiorando la situazione.
Conclusioni e prospettive future: la strada è tracciata, ma serve lavoro!
Quindi, cosa abbiamo imparato? Che la separazione termica a secco del 47Sc da fogli sottili di Titanio (≤ 50-100 μm) è estremamente efficiente (quasi 100% a 1100°C). Questo apre la possibilità di irradiare “pacchetti” di questi fogli sottili per produrre quantità significative di 47Sc. Il nostro modello Monte Carlo è uno strumento prezioso per ottimizzare futuri sviluppi tecnologici.
La vera sfida, però, resta il recupero efficiente dello Scandio evaporato. L’Oro cattura bene, ma non rilascia facilmente. Servono ulteriori ricerche per trovare il materiale “catcher” perfetto o un metodo per estrarre lo Scandio dall’Oro.
Un’idea alternativa che stiamo valutando è quella di processare i fogli sottili a temperature più basse (850-900°C). A queste temperature, lo Scandio diffonderebbe comunque verso la superficie, ma evaporerebbe molto meno. Potremmo quindi “lavare” la superficie del Titanio con acidi (un processo molto più semplice che dissolvere tutto il bersaglio!) per recuperare lo Scandio accumulato lì.
In conclusione, la separazione a secco è una via promettente per la produzione di 47Sc di alta qualità per applicazioni mediche, ma c’è ancora del lavoro da fare per renderla una tecnica robusta e pratica su larga scala. La sfida è lanciata, e la promessa di migliorare le terapie contro il cancro ci spinge ad andare avanti!
Fonte: Springer