Olio d’Oliva Adulterato? Te lo Dice un Sensore (e un Po’ di Intelligenza Artificiale)!
Ammettiamolo, chi non ama l’olio d’oliva extra vergine? Quel profumo, quel sapore che sa di Mediterraneo… è una vera poesia per il palato e un toccasana per la salute. Fa parte della nostra cultura, delle nostre tavole. Ma c’è un lato oscuro: proprio perché è così prezioso e, ultimamente, anche più costoso (complice la siccità che riduce i raccolti), l’olio d’oliva di alta qualità è spesso vittima di adulterazione. Cosa significa? Che qualche furbetto lo mescola con oli più economici, magari di semi o di qualità inferiore, per guadagnarci di più. Un bel problema, sia per le nostre tasche che per la nostra fiducia.
Il Problema dell’Olio “Allungato”
L’olio extra vergine d’oliva (EVOO) è il top di gamma. Ottenerlo richiede cura e processi specifici, il che giustifica il prezzo più alto rispetto ad altri oli vegetali, a volte anche 6-8 volte superiore! Questa differenza di prezzo fa gola a chi cerca scorciatoie. Le frodi più comuni?
- Mescolare EVOO con olio d’oliva di qualità inferiore (raffinato o di sansa).
- Mescolare EVOO con oli vegetali o di semi completamente diversi, come olio di girasole, mais, cotone, arachidi, soia, colza o persino papavero.
Ovviamente, esistono standard nazionali e internazionali per proteggere l’autenticità dell’olio, ma non sempre bastano a fermare le contraffazioni. Ecco perché c’è un bisogno disperato di tecnologie moderne che ci aiutino a tracciare e smascherare queste pratiche.
Le Vecchie Armi Contro le Frodi (e i Loro Limiti)
Finora, per scovare l’olio “taroccato” si usavano tecniche sofisticate, spesso da laboratorio: spettroscopia (Raman, FTIR, LIBS), cromatografia (TLC, GC, LC), analisi del DNA (PCR), spettrometria di massa (IMS, IRMS, ICP-OES) e persino i primi “nasi elettronici” (e-nose). Strumenti potenti, certo, ma con qualche controindicazione:
- Tempi di analisi lunghi.
- Necessità di reagenti chimici e materiali di consumo.
- Costi elevati.
- Personale specializzato.
Insomma, non proprio soluzioni alla portata di tutti o utilizzabili per controlli rapidi e diffusi. Serviva qualcosa di più pratico, veloce ed economico.
Un Naso Elettronico per Smascherare i Furbetti: Ecco il BME688
Ed è qui che entro in gioco io… o meglio, la tecnologia che mi ha affascinato! Parlo del sensore BME688, un piccolo gioiellino prodotto da Bosch Sensortec. Lanciato nel 2021, è il primo sensore a ossido di metallo capace non solo di “annusare” i gas, ma anche di misurare con precisione pressione, umidità e temperatura. La sua forza? Riesce a rilevare un’ampia gamma di composti gassosi (come i composti organici volatili, VOCs, e quelli solforati, VSCs) a concentrazioni bassissime, parliamo di parti per miliardo (ppb)!
Questo sensore misura come cambia la resistenza elettrica al variare dei gas presenti nell’ambiente, e lo fa a diverse temperature interne, tutto in un unico ciclo di misurazione. È già usato in tanti campi: per controllare la freschezza del cibo, rilevare cattivi odori, monitorare la qualità dell’aria, diagnosticare malattie o persino individuare fughe di gas industriali. E se potesse “annusare” anche l’olio d’oliva adulterato? È la domanda che si sono posti alcuni ricercatori, e la risposta è decisamente interessante.
Come Funziona l’Esperimento? Mettiamo alla Prova il Sensore
L’idea alla base dello studio che vi racconto è semplice ma geniale: ogni olio ha un suo profilo aromatico unico, un po’ come un’impronta digitale olfattiva. L’olio extra vergine ha il suo, l’olio di girasole ne ha un altro. Mescolandoli, il “profumo” complessivo cambia. Il sensore BME688 può cogliere queste sottili differenze?
Per scoprirlo, i ricercatori hanno preso dell’ottimo olio extra vergine d’oliva (EVOO) turco, prodotto con spremitura a freddo nel 2023, e lo hanno miscelato con olio di girasole in diverse percentuali:
- 100% EVOO (puro)
- 95% EVOO – 5% Girasole
- 90% EVOO – 10% Girasole
- 80% EVOO – 20% Girasole
- 70% EVOO – 30% Girasole
- 50% EVOO – 50% Girasole
- 100% Girasole (puro)
Hanno preparato 200 ml per ogni miscela. Poi, hanno allestito un piccolo laboratorio a temperatura controllata (22°C). Hanno usato non uno, ma ben due “array” di sensori, ognuno con 8 sensori BME688, per un totale di 16 nasi elettronici al lavoro!
Uno degli array (chiamiamolo Matrix 0) è stato posizionato sopra delle beute contenenti le diverse miscele di olio, per “annusare” i vapori rilasciati. L’altro array (Matrix 1) misurava l’aria dell’ambiente circostante, fungendo da controllo. Perché? Per poter poi sottrarre il “rumore di fondo” dell’aria e isolare l’impronta olfattiva specifica di ciascuna miscela di olio. Geniale, no?
Hanno anche testato diverse “impostazioni” interne dei sensori, chiamate Heater Profiles (HP), perché ogni profilo riscalda il sensore in modo diverso e può essere più o meno sensibile a certi gas. Ne hanno provati quattro (HP-354, HP-323, HP-411, HP-503) per vedere quale funzionasse meglio per questo compito specifico. Ogni miscela è stata “annusata” per 30 minuti, con pause intermedie per far “resettare” i sensori.
L’Intelligenza Artificiale Entra in Gioco: Decifrare i Dati
Ora, immaginate la quantità di dati generata da 16 sensori che misurano 10 valori di resistenza per ciclo per ore… un’enormità! E questi dati grezzi sono “sporchi”: possono avere piccoli buchi (misure mancate, anche se pochissime in questo caso), rumore (fluttuazioni casuali), e non sono perfettamente allineati nel tempo. Qui entra in gioco il Machine Learning, l’intelligenza artificiale.
Prima di dare i dati in pasto agli algoritmi, i ricercatori li hanno “ripuliti”:
- Imputazione: Hanno riempito i pochissimi dati mancanti usando la media dei valori vicini.
- Filtraggio: Hanno applicato filtri “passa-basso” per smussare il rumore e rendere i segnali più puliti.
- Interpolazione: Hanno usato curve matematiche (spline) per rendere i dati continui nel tempo, allinearli e avere più punti dati nello stesso intervallo.
- Calcolo dell’Effetto Netto: Hanno sottratto i dati del sensore di controllo (Matrix 1) da quelli del sensore sulle miscele (Matrix 0) per ottenere l’impronta digitale “pura” di ogni olio.
- Scalatura: Hanno trasformato i valori di resistenza (che erano molto grandi) usando il logaritmo naturale e poi li hanno standardizzati. Questo aiuta gli algoritmi di machine learning a lavorare meglio.
A questo punto, i dati erano pronti. Hanno addestrato diversi modelli di machine learning per due compiti principali:
- Classificazione: Insegnare al computer a riconoscere a quale categoria appartiene un campione (es: è olio puro o miscela al 10%? È olio o aria?). Hanno testato modelli come Decision Tree, Gaussian Naïve Bayes (GNB), Bagging Tree (BT), Support Vector Machine (SVM), Logistic Regression (LR), Multi-layer Perceptron (MLP) e un Voting Classifier (che combina GNB, BT e MLP).
- Regressione: Insegnare al computer non solo a classificare, ma a predire l’esatta percentuale di olio di girasole nella miscela (es: prevedere 5%, 10%, 20%, ecc.). Hanno usato metriche come R-quadro (R2, ideale è 1) e Mean Absolute Error (MAE, ideale è 0) per valutare le prestazioni.
Risultati Che Fanno Ben Sperare: Precisione Quasi Perfetta!
E i risultati? Sorprendenti! Sia i modelli di classificazione che quelli di regressione hanno raggiunto un’accuratezza quasi perfetta nel rilevare l’adulterazione dell’olio extra vergine d’oliva con olio di girasole.
Per la classificazione tra le diverse miscele di olio, i dati provenienti dal profilo HP-323 hanno dato mediamente i risultati migliori, specialmente con gli algoritmi Gaussian Naïve Bayes (GNB) e Multi-layer Perceptron (MLP). Il profilo HP-354, invece, è sembrato meno adatto. Distinguere tra olio (qualsiasi miscela) e aria è stato un gioco da ragazzi: 100% di accuratezza con tutti i modelli e profili!
Per la regressione, cioè stimare la percentuale esatta di adulterazione, un modello chiamato Gradient Boosted Regression (GBR) si è dimostrato eccezionale, ottenendo punteggi R2 praticamente perfetti (vicinissimi a 1) e errori MAE molto bassi con quasi tutti i profili HP. Anche qui, HP-354 è risultato il meno performante. Questo significa che, con il giusto algoritmo, si può sapere con grande sicurezza quanto olio estraneo è stato aggiunto!
Cosa Significa Tutto Questo? Una Nuova Arma Contro le Frodi
Questo studio è una notizia fantastica! Dimostra che un sensore relativamente economico e portatile come il BME688, abbinato alla potenza del machine learning, può diventare uno strumento formidabile per combattere le frodi nell’olio d’oliva. Immaginate le possibilità:
- Controlli rapidi e a basso costo direttamente nei frantoi o nei punti vendita.
- Maggiore tutela per i consumatori e per i produttori onesti.
- Un’alternativa pratica ai lunghi e costosi test di laboratorio.
La capacità di questo sensore di funzionare anche con alimentazione esterna lo rende adattabile a diversi contesti. È chiaro che la scelta del giusto profilo del sensore (HP) è importante per ottimizzare le prestazioni a seconda dell’applicazione. Questo studio apre le porte all’uso del BME688 in molte altre aree legate al cibo: rilevare la freschezza, la contaminazione, distinguere tipi di alimenti e molto altro.
Occhio alle Limitazioni (e al Futuro!)
Come ogni ricerca seria, anche questa ha i suoi limiti, ed è giusto esserne consapevoli.
- Condizioni Controllate: L’esperimento è stato fatto in laboratorio. Nel mondo reale, variazioni di temperatura, umidità o la presenza di altri odori potrebbero influenzare le letture del sensore.
- Un Solo Adulterante: È stato testato solo l’olio di girasole. I truffatori potrebbero usare altri oli (colza, mais, ecc.) o miscele più complesse. Servono test più ampi.
- Un Solo Tipo di Sensore: Si è usato solo il BME688. Forse combinare diversi tipi di sensori (“sensor fusion”) potrebbe rendere il sistema ancora più robusto e affidabile.
Nonostante ciò, la strada tracciata è promettente. Questa tecnologia ha il potenziale per rendere l’autenticazione dell’olio d’oliva molto più accessibile e diffusa. È un passo avanti importante per proteggere uno dei tesori della nostra tavola e della nostra economia. Il futuro della lotta alle frodi alimentari potrebbe avere davvero un nuovo… “fiuto”!
Fonte: Springer