Persi nello Spazio? Come la Gravità Inganna il Nostro Senso della Posizione
Il nostro incredibile “sesto senso”
Avete mai provato a chiudere gli occhi e toccarvi la punta del naso? Probabilmente ci siete riusciti senza problemi. Questa capacità, che diamo quasi per scontata, è merito della propriocezione, il nostro senso interno che ci dice dove si trovano le parti del nostro corpo nello spazio, anche senza guardarle. È un po’ come avere un GPS integrato per i nostri arti! La propriocezione include non solo il senso della posizione, ma anche quello del movimento, della forza, della pesantezza e dell’equilibrio. Direi che il senso della posizione è forse il più cruciale, contribuendo alla nostra consapevolezza di sé e al controllo preciso dei movimenti, come quando afferriamo un oggetto.
Ma cosa succede a questo senso così fondamentale quando le regole del gioco cambiano drasticamente? Cosa accade quando la forza che ci tiene ancorati a terra, la gravità, viene alterata? È una domanda che affascina noi ricercatori da tempo, soprattutto pensando ai viaggi spaziali e alla vita in ambienti come la Stazione Spaziale Internazionale. Studi precedenti suggerivano che in assenza di peso (microgravità), il nostro senso della posizione sembra andare un po’ in tilt.
Un giro sulle montagne russe della gravità: l’esperimento in volo parabolico
Per indagare più a fondo, abbiamo deciso di portare la ricerca… letteralmente tra le nuvole! Abbiamo utilizzato un aereo speciale che compie delle manovre chiamate voli parabolici. Immaginate delle montagne russe giganti nel cielo: l’aereo sale rapidamente (creando ipergravità, circa 1.8 volte la gravità terrestre, 1.8G) e poi “cade” seguendo una traiettoria a parabola, regalandoci circa 20-25 secondi di preziosa microgravità (0G), proprio come nello spazio, prima di risalire nuovamente. Un ciclo pazzesco, ripetuto più volte.
Durante queste fasi di gravità alterata, abbiamo chiesto a 12 coraggiosi partecipanti (ben informati e preparati, ovviamente!) di eseguire tre compiti diversi per misurare il loro senso della posizione del gomito, il tutto senza poter vedere le proprie braccia:
- Corrispondenza bi-manuale (Matching): Con un braccio (di riferimento) posizionato passivamente a un angolo specifico (60°), dovevano muovere l’altro braccio (indicatore) fino a sentire che fosse nella stessa identica posizione.
- Indicazione mono-manuale (Pointing): Con un braccio di riferimento nascosto alla vista e posizionato all’angolo target, dovevano usare l’altro braccio per “indicare” la posizione percepita del braccio nascosto, muovendo una leva.
- Riposizionamento mono-manuale (Repositioning): Dovevano memorizzare la posizione di un braccio portato passivamente all’angolo target, riportarlo alla posizione di partenza e poi riprodurre attivamente l’angolo memorizzato.
Abbiamo scelto questi tre metodi perché studi recenti (come quello di Roach et al., 2023) hanno mostrato, un po’ a sorpresa, che possono dare risultati diversi anche a terra. Questo ci ha fatto chiedere: abbiamo forse più di un “senso della posizione”? E come reagiscono questi diversi “sensi” alle variazioni di gravità?

Risultati che fanno riflettere: la gravità gioca brutti scherzi (ma non sempre!)
Ebbene, i risultati sono stati davvero illuminanti! Abbiamo analizzato gli errori commessi dai partecipanti, cioè la differenza tra l’angolo target e quello indicato o riprodotto.
Ecco cosa abbiamo scoperto:
- Matching e Pointing: In queste due modalità, la gravità ha avuto un impatto significativo. Durante le fasi di ipergravità (1.8G), gli errori aumentavano. I partecipanti tendevano a posizionare il braccio indicatore leggermente più esteso rispetto all’angolo corretto. Al contrario, durante la microgravità (0G), gli errori diminuivano significativamente nel matching (diventando quasi nulli!) e mostravano una tendenza a diminuire anche nel pointing (anche se la differenza non ha raggiunto la significatività statistica in questo caso). È come se la maggiore gravità “ingannasse” il cervello facendogli percepire il braccio in una posizione diversa, e l’assenza di gravità riducesse questo “inganno”.
- Repositioning: Qui arriva la sorpresa. In questo compito, né l’ipergravità né la microgravità hanno causato cambiamenti significativi negli errori! I partecipanti erano bravissimi a ricordare e riprodurre l’angolo, indipendentemente dal livello di G. Anzi, questo metodo si è rivelato il più accurato in generale, con errori medi molto vicini allo zero anche in condizioni di gravità normale (1G).
Quindi, abbiamo la conferma: le alterazioni della gravità disturbano il nostro senso della posizione, ma l’effetto dipende crucialmente da come lo misuriamo!
Perché queste differenze? Le ipotesi sul tavolo
Come possiamo spiegare questi risultati intriganti? Una delle ipotesi principali, che stiamo esplorando, riguarda il ruolo della coppia (torque) esercitata dalla gravità sull’articolazione del gomito.
In ipergravità, il braccio è “più pesante”, la forza che agisce sull’articolazione aumenta. Questo potrebbe stimolare maggiormente non solo i fusi neuromuscolari (sensori presenti nei muscoli che rilevano l’allungamento), ma anche i recettori articolari (sensori nella capsula articolare). Questo “segnale extra” potrebbe alterare la percezione della posizione, portando agli errori che abbiamo osservato (braccio percepito come più flesso di quanto non sia, inducendo a estenderlo di più nel matching/pointing).
In microgravità, il braccio diventa “senza peso”. La coppia sull’articolazione svanisce. Questo ridurrebbe l’input dai recettori articolari e forse modificherebbe l’attività dei fusi, portando a una percezione diversa, potenzialmente più vicina a quella “reale” o comunque diversa da quella a 1G e 1.8G. Studi precedenti (come quello di Bringoux et al., 2012) hanno mostrato che applicando una coppia artificiale con elastici in microgravità, si potevano correggere errori simili in compiti di raggiungimento, supportando l’idea che la coppia articolare sia importante.

Ma perché il riposizionamento sembra immune a tutto ciò? La nostra ipotesi attuale, supportata anche da altri studi che mostrano una debole influenza dei fusi neuromuscolari (tramite la loro proprietà chiamata tixotropia) in questo compito, è che il riposizionamento si basi meno sull’input sensoriale periferico del momento e più su una rappresentazione centrale, una sorta di “memoria spaziale” dell’angolo. Quando chiediamo di “ricordare questo angolo”, il cervello potrebbe immagazzinare l’informazione in un formato più astratto, meno dipendente dalle forze esterne agenti sul braccio in quel preciso istante. Al momento della riproduzione, attingerebbe a questa memoria centrale, bypassando in gran parte le perturbazioni gravitazionali che influenzano i segnali periferici.
È affascinante pensare che potremmo avere meccanismi diversi per percepire la posizione del nostro corpo: uno più legato ai segnali “in tempo reale” dai muscoli e dalle articolazioni (influenzato dalla gravità), e uno più basato su una mappa interna, una memoria (più robusta alle forze esterne).
Cosa significa tutto questo? Implicazioni e domande aperte
Questi risultati sottolineano quanto sia importante specificare sempre come misuriamo il senso della posizione. Non possiamo dare per scontato che un metodo valga l’altro, specialmente in condizioni non standard come l’assenza di peso. Il fatto che il riposizionamento, un metodo molto usato anche in clinica per valutare deficit propriocettivi, sembri insensibile alle variazioni di gravità è particolarmente rilevante. Potrebbe significare che non cattura appieno tutti gli aspetti della propriocezione, in particolare come essa interagisce con le forze ambientali.

Ci restano ancora molte domande a cui rispondere. La gravità agisce principalmente alterando la coppia articolare e quindi l’input dei recettori articolari? Se sì, perché questo non influenza il riposizionamento? Come comunica esattamente la periferia (muscoli, articolazioni) con questa “mappa centrale” del corpo? I fusi neuromuscolari sono coinvolti in questo processo di memorizzazione o recupero? E se davvero abbiamo “sensi della posizione” multipli, come interagiscono tra loro nella vita di tutti i giorni?
Insomma, ogni risposta apre nuove, stimolanti domande. La nostra esplorazione del GPS interno del corpo umano è tutt’altro che finita, specialmente quando ci avventuriamo oltre i confini della nostra gravità terrestre. Il prossimo passo? Magari verificare se aggiungendo una coppia artificiale con degli elastici durante la microgravità, riusciamo a “recuperare” gli errori anche nei compiti di matching e pointing, o se riusciamo a indurre errori nel riposizionamento alterando la gravità tra la fase di memorizzazione e quella di riproduzione. La ricerca continua!
Fonte: Springer
