Non Solo Tagli: Come la Selvicoltura Scolpisce la Vita nei Nostri Boschi
Introduzione: Oltre il Semplice Taglio degli Alberi
Avete mai passeggiato in un bosco “gestito”? Magari avete notato aree tagliate di recente, altre in ricrescita, strade forestali. Spesso pensiamo che l’impatto umano sulle foreste si limiti al taglio degli alberi, al raccolto del legname. Ma c’è molto di più. Quello che forse non sapete è che esiste una disciplina, chiamata selvicoltura, che si occupa di gestire l’insediamento, la crescita e la composizione degli alberi per raggiungere specifici obiettivi paesaggistici. Ebbene sì, non si tratta solo di *togliere*, ma anche di *guidare* la foresta che verrà.
Per anni, noi ricercatori abbiamo documentato come il taglio massiccio delle foreste (il cosiddetto “forest harvest”) influenzi la fauna selvatica. Sappiamo che altera habitat, microclimi, e persino le interazioni tra animali. Ma l’effetto specifico dei trattamenti selvicolturali – quelle pratiche come la preparazione del sito dopo il taglio, il rimboschimento mirato, la fertilizzazione, la gestione degli arbusti “competitori” (il cosiddetto “brushing”) o il diradamento – è rimasto un po’ nell’ombra. Come queste azioni più “sottili” modellano la vita degli animali che abitano quei boschi? Questa è la domanda affascinante che ci siamo posti.
Il Contesto: Foreste Sotto Pressione e la Danza Preda-Predatore
Le foreste del mondo stanno cambiando rapidamente, e la gestione forestale è uno dei motori principali di questa trasformazione. Il taglio degli alberi, specialmente su larga scala, frammenta gli habitat, crea radure e reti di strade forestali. Questo può avere effetti a cascata sull’intero ecosistema. Immaginate: da un lato, le aree tagliate possono offrire nuovo foraggio per erbivori come cervi e alci (gli ungulati), grazie alla vegetazione pioniera che cresce rigogliosa. Dall’altro, queste stesse aree aperte, con meno copertura laterale e più “corridoi” come le strade, possono aumentare il rischio di predazione, rendendo la vita più facile a lupi, coyote e orsi.
La selvicoltura entra in gioco proprio qui. I trattamenti selvicolturali influenzano la velocità e il tipo di ricrescita della vegetazione. Ad esempio, piantare fitte conifere e rimuovere gli arbusti (brushing) può ridurre il cibo disponibile per gli ungulati. L’uso di erbicidi potrebbe diminuirne la qualità. Meno cibo significa potenzialmente meno ungulati, e quindi quelle aree diventano meno attraenti anche per i loro predatori. È un equilibrio delicato.
Per capire meglio queste dinamiche, abbiamo concentrato la nostra attenzione su due vaste aree del Canada occidentale, nella British Columbia. Queste regioni hanno subito cambiamenti paesaggistici drastici negli ultimi decenni, non solo per il taglio del legname, ma anche a causa di una massiccia infestazione di un coleottero, il bostrico del pino montano (Dendroctonus ponderosae). Per recuperare il valore economico del legname danneggiato e ridurre il rischio di incendi, si è proceduto a tagli estensivi (“salvage logging”), spesso superando i limiti di dimensione e vicinanza normalmente previsti. Il risultato? Un paesaggio a mosaico, con enormi aree tagliate e una fitta rete di nuove strade. In queste zone, si sono osservati anche cali nelle popolazioni di ungulati, e si è sospettato che proprio l’alterazione delle dinamiche preda-predatore, mediata dal paesaggio, potesse essere una causa.

La Nostra Indagine: Occhi Elettronici nel Bosco
Come svelare questi complessi legami? Abbiamo deciso di usare degli “occhi” instancabili e discreti: le fototrappole. Abbiamo installato due reti di fototrappole (50 nella prima area, Prince George South o PGS, e 39 nella seconda, Bonaparte Plateau) in punti scelti strategicamente per coprire un gradiente di disturbo forestale, dalle aree appena tagliate a quelle in rigenerazione da decenni, includendo diverse tipologie di trattamenti selvicolturali. Le abbiamo posizionate vicino a sentieri usati dagli animali, aggiungendo un attrattivo olfattivo per massimizzare le possibilità di “incontro”. Per un anno intero (2021-2022 per PGS, 2022-2023 per Bonaparte), queste camere hanno registrato chi passava di lì.
Abbiamo raccolto migliaia di immagini, identificando le diverse specie di predatori – Lupo grigio (Canis lupus), Coyote (C. latrans), Orso nero (Ursus americanus), ma anche lince, grizzly, puma, ghiottone – e di ungulati – Alce (Alces alces), Cervo mulo (Odocoileus hemionus), Cervo dalla coda bianca (O. virginianus), wapiti. Non tutte le specie sono state rilevate abbastanza frequentemente da permettere analisi robuste, ma per molte di esse avevamo dati sufficienti.
Poi è arrivato il lavoro “dietro le quinte”: abbiamo incrociato i dati delle presenze animali con mappe dettagliatissime del paesaggio attorno a ogni fototrappola. Abbiamo considerato:
- L’età delle aree tagliate (nuove 0-8 anni, in rigenerazione 9-24 anni, più vecchie 25-40 anni).
- La densità dei margini tra aree tagliate e foresta.
- I sistemi selvicolturali usati (taglio raso semplice, taglio raso con riserve di alberi, taglio selettivo).
- I trattamenti specifici: preparazione del sito (meccanica, chimica, nessuna), piantagione artificiale o rigenerazione naturale, brushing (manuale, chimico, meccanico, nessuno), diradamento, fertilizzazione.
- La densità delle strade forestali.
- Caratteristiche naturali come tipo di foresta (conifere, decidue), età della foresta non tagliata, presenza di aree bruciate, distanza dall’acqua ed elevazione.
- Infine, abbiamo considerato la presenza relativa delle potenziali prede per i predatori, e viceversa, per capire le interazioni.
Armati di questi dati, abbiamo usato modelli statistici avanzati per capire quali fattori – età del taglio, tipo di selvicoltura, strade, presenza di prede/predatori – spiegassero meglio dove e quando trovavamo le diverse specie.
Cosa Abbiamo Scoperto: Un Mosaico di Risposte Plasmato dalla Selvicoltura
I risultati sono stati illuminanti e, per certi versi, sorprendenti! È emerso chiaramente che la selvicoltura ha un ruolo cruciale nel determinare dove vivono gli animali e come interagiscono, spesso andando oltre il semplice effetto dell’età del taglio.
Ecco alcuni esempi specifici:
* Lupo grigio (Canis lupus): La loro presenza era influenzata dalla presenza di alci, ma anche dai trattamenti selvicolturali. I lupi tendevano a diminuire nelle aree di taglio raso in rigenerazione (9-24 anni), nei tagli rasi recenti (0-8 anni) con riserve di alberi, e nei blocchi fertilizzati. Al contrario, aumentavano nei tagli rasi con riserve più vecchi (25-40 anni). La presenza di prede (alci o bestiame) e la densità delle strade interagivano con questi effetti: ad esempio, con prede abbondanti, i lupi usavano di più le strade. La fertilizzazione sembrava rendere le aree tagliate più attrattive per i lupi solo a bassi livelli di trattamento, quando gli alci erano frequenti.

* Coyote (C. latrans): La loro presenza era legata soprattutto al “brushing” (la rimozione della vegetazione competitrice) e alla presenza di cervi. Interessante: i coyote aumentavano nei blocchi dove il brushing era fatto manualmente se c’erano molti cervi, ma diminuivano in quelli trattati chimicamente (con erbicidi) sempre in presenza di molti cervi. Questo suggerisce che il tipo di brushing influenzi la disponibilità di prede o la facilità di caccia in modo diverso.
* Orso nero (U. americanus): Influenzato dalla presenza di prede, l’orso nero mostrava legami con la preparazione del sito dopo il taglio. Aumentava nei blocchi in rigenerazione dove il sito era stato preparato, ma diminuiva nei blocchi nuovi preparati, soprattutto se le prede erano abbondanti. Forse la preparazione iniziale riduce temporaneamente alcune fonti di cibo (come le bacche) ma ne favorisce altre (erbe) in fasi successive?
* Lince (Lynx canadensis): La presenza della lince era più alta dove c’erano cervi (soprattutto cervo mulo), e aumentava specificamente nei blocchi in rigenerazione con preparazione del sito o nei blocchi più vecchi senza preparazione del sito. Sembra che la lince sfrutti opportunisticamente i cervi in specifiche condizioni create dalla selvicoltura.
* Alce (Alces alces): Qui l’età del taglio era il fattore principale, insieme alla presenza dei lupi. Gli alci diminuivano nei tagli nuovi e vecchi, ma aumentavano in quelli in rigenerazione (9-24 anni), specialmente se i lupi erano frequenti (forse queste aree offrono un compromesso tra cibo e copertura?). Tuttavia, analizzando i dati stagionalmente, abbiamo visto che anche per l’alce la selvicoltura conta: la preparazione del sito, il sistema selvicolturale e la fertilizzazione diventavano importanti in diversi periodi dell’anno.
* Cervo mulo (O. hemionus) e Cervo dalla coda bianca (O. virginianus): Entrambi mostravano risposte complesse legate alla selvicoltura e alla presenza di predatori. Il cervo mulo diminuiva nei blocchi preparati in rigenerazione e vecchi, ma la presenza di predatori modificava questa relazione. Il cervo dalla coda bianca diminuiva nei tagli selettivi e nei tagli “even-aged” (che creano popolamenti coetanei) nuovi, ma aumentava nei tagli rasi semplici quando i predatori erano frequenti (forse per migliore visibilità e vie di fuga?).

Un altro punto chiave emerso è la stagionalità. Analizzando i dati divisi per inverno, inizio estate (periodo dei parti per gli ungulati) e tarda estate, abbiamo visto che le associazioni tra animali e trattamenti selvicolturali cambiavano. Ad esempio, l’orso nero rispondeva diversamente ai sistemi selvicolturali in inizio estate rispetto alla preparazione del sito in tarda estate. L’alce era legato al sistema di età in inizio estate, alla preparazione del sito in tarda estate e alla fertilizzazione in inverno (quest’ultima sembrava attrarre gli alci proprio quando i lupi erano presenti, forse un compromesso rischio-beneficio?). Questo ci dice che l’impatto della selvicoltura non è statico, ma varia nel corso dell’anno.
Le Implicazioni: Gestire con Consapevolezza
Cosa significa tutto questo? Prima di tutto, che non possiamo ignorare la selvicoltura quando studiamo l’impatto della gestione forestale sulla fauna. Limitarsi a considerare solo l’età del taglio può essere fuorviante. Abbiamo visto casi in cui una specie rispondeva in modo opposto allo stesso tipo di taglio a seconda del trattamento selvicolturale applicato. Senza considerare la selvicoltura, potremmo concludere erroneamente che non c’è nessun effetto!
Per chi gestisce le foreste, questi risultati sono fondamentali. Indicano che le scelte selvicolturali hanno conseguenze ecologiche dirette e complesse sulle dinamiche preda-predatore. Questo potrebbe contribuire a spiegare i declini di alcune popolazioni in aree fortemente gestite, come l’alce in British Columbia.
La buona notizia è che la selvicoltura può anche essere uno strumento per raggiungere obiettivi ecologici. Poiché specie diverse rispondono in modi diversi e talvolta opposti, una strategia potrebbe essere quella di implementare una diversità di trattamenti selvicolturali su varie età di taglio, mantenendo così un mosaico di habitat a scala di paesaggio. Per le specie in declino, si potrebbero applicare con cautela i trattamenti che ne peggiorano l’habitat o aumentano il rischio di predazione, e favorire invece quelli che creano “rifugi” o migliorano le risorse trofiche (come i blocchi fertilizzati per l’alce in inverno, che sembravano meno attrattivi per i lupi).
Certo, ci sono sfide. Gli obiettivi economici (come raggiungere rapidamente lo stato di “libera crescita” per le piantine) possono spingere verso certi trattamenti. Ma è qui che dobbiamo essere creativi e integrare gli obiettivi ecologici. Si possono esplorare sistemi di taglio alternativi (come quelli a ritenzione variabile), promuovere la rigenerazione naturale dove possibile, o usare trattamenti come la fertilizzazione in modo mirato per beneficiare la fauna senza attrarre eccessivamente i predatori.

Conclusione: Un Invito all’Azione Consapevole
La nostra ricerca aggiunge un tassello importante alla comprensione di come le nostre azioni modellano gli ecosistemi forestali. La selvicoltura non è solo una questione tecnica per produrre legname; è uno strumento potente che scolpisce attivamente gli habitat e influenza profondamente la distribuzione e le interazioni della fauna selvatica. Integrare queste conoscenze nella ricerca e, soprattutto, nella pianificazione e gestione forestale è essenziale se vogliamo muoverci verso pratiche davvero sostenibili, capaci di conciliare le esigenze umane con la conservazione della biodiversità e la resilienza degli ecosistemi che ci ospitano. La prossima volta che camminerete in un bosco gestito, guardatelo con occhi diversi: non vedrete solo alberi tagliati o in crescita, ma il risultato di scelte precise che stanno disegnando la mappa della vita selvatica.
Fonte: Springer
