Screening Oncologici per Tutti: Come i Medici Superano le Barriere con i Pazienti Fragili
Parliamoci chiaro: la prevenzione è fondamentale, soprattutto quando si tratta di cancro. Gli screening per tumori come quello al seno, al collo dell’utero e al colon-retto sono strumenti potentissimi che possono salvare vite, permettendo diagnosi precoci e migliorando le possibilità di cura. Eppure, nonostante esistano programmi organizzati, anche qui in Ontario (Canada), dove è stato condotto lo studio di cui vi parlerò, una fetta significativa di persone che ne avrebbero diritto non partecipa. E indovinate un po’? Spesso sono proprio le persone più vulnerabili, quelle che vivono situazioni di marginalizzazione – magari per basso reddito, perché immigrati recenti, appartenenti a minoranze etniche, sessuali o di genere – a rimanere indietro.
Qui entriamo in gioco noi, i professionisti della cure primarie (PCPs), medici di famiglia e infermieri. Il nostro ruolo può essere cruciale. Sapete, una raccomandazione da parte nostra è uno dei fattori più forti che spinge una persona a fare lo screening. Ma come possiamo fare la differenza, specialmente con chi affronta già tante difficoltà nella vita? Come possiamo superare quelle barriere, a volte invisibili ma solidissime, che impediscono l’accesso alla prevenzione?
L’Indagine: Ascoltare Chi Ce La Fa
Ecco la domanda che mi ha affascinato e che è al centro di uno studio recente: cosa possiamo imparare da quei medici e infermieri che, pur lavorando con una grande percentuale di pazienti marginalizzati, riescono ad avere tassi di screening altissimi nei loro studi? Questi professionisti sono stati definiti “devianti positivi”, persone che ottengono risultati eccellenti nonostante le stesse difficoltà degli altri. L’idea, presa in prestito dal campo del miglioramento della qualità, è semplice ma geniale: studiare i migliori per capire come migliorare tutti.
Così, i ricercatori hanno adottato un approccio chiamato ‘design thinking’, che mette al centro le persone e le loro esperienze per trovare soluzioni innovative. Hanno intervistato 22 professionisti della cure primarie in Ontario – medici e infermieri che lavorano in diversi contesti, da studi singoli a team multidisciplinari come i Community Health Centres (CHCs) e i Family Health Teams (FHTs). Tutti avevano una cosa in comune: almeno il 60% dei loro pazienti viveva in condizioni di marginalizzazione e riuscivano a mantenere tassi di screening superiori al 70% per i tumori al seno, cervice e colon-retto.
Per analizzare le interviste, hanno usato come bussola il Systems Model of Clinical Preventive Care, un modello che considera l’interazione medico-paziente fondamentale e analizza tutti i fattori che possono facilitare o ostacolare la prevenzione: dalle caratteristiche del paziente e del medico (credenze, background, traumi passati) ai fattori di supporto (rete sociale, soddisfazione), alle risorse disponibili (educazione, reddito, competenze), fino al sistema sanitario stesso (accesso alle cure, tecnologie, rimborsi) e alle caratteristiche del test (costo, comfort).

Gli Ostacoli sul Percorso: Cosa Rende Difficile lo Screening?
Dalle voci di questi professionisti “fuoriclasse” sono emerse chiaramente le difficoltà. Non è una passeggiata, nemmeno per loro. Vediamo insieme quali sono le barriere principali:
- Priorità della vita: Molti pazienti marginalizzati affrontano problemi quotidiani così urgenti (lavoro, casa, cibo, salute mentale) che lo screening oncologico finisce in fondo alla lista. Come ha detto un medico: “Ci sono così tante altre questionazioni pressanti che a volte [lo screening] scivola giù”.
- Barriere psicosociali: Storie di traumi, abusi, problemi di salute mentale possono rendere difficile o spaventoso sottoporsi a certi esami. Un esempio toccante è quello di una donna con schizofrenia in una casa famiglia, per cui fare il test del sangue occulto nelle feci era semplicemente irrealizzabile. Per altre, come chi ha subito violenza sessuale, il Pap test può essere estremamente problematico.
- Fattori culturali e scarsa alfabetizzazione sanitaria: A volte manca la consapevolezza dell’importanza dello screening. Pazienti nuovi al paese potrebbero chiedersi perché fare un test che il loro medico precedente non ha mai proposto. O ancora, come nel caso di alcune pazienti lesbiche, pensare erroneamente di non aver bisogno del Pap test.
- Accessibilità e logistica: Raggiungere il centro screening può essere un’impresa se non si ha l’auto o se è lontano. Anche la complessità della procedura conta: dover andare in posti diversi per visita, test e consegna campioni può scoraggiare molti. “Le cose che richiedono tre o più passaggi… spesso rendono difficile per i pazienti completare le manovre”, ha ammesso un medico.
- Caratteristiche del test: Non nascondiamocelo, alcuni test non sono piacevoli. Il dolore della mammografia è un deterrente forte (“l’hanno fatto una volta, è stata la cosa peggiore di sempre e non lo farò più”). L’invasività e l’intimità del Pap test possono creare disagio o rifiuto, specialmente in donne post-menopausa o con storie di trauma.
- L’ombra del COVID-19: La pandemia ha peggiorato le cose, causando ritardi nei risultati, carenza di personale e paura dei pazienti a recarsi nelle strutture sanitarie.
Le Strategie Vincenti: Come si Superano gli Ostacoli?
Ma allora, come fanno questi professionisti a ottenere risultati così buoni? Non hanno una bacchetta magica, ma un mix di strategie intelligenti, empatia e organizzazione. Ecco cosa ho scoperto essere cruciale:
- Lavoro di squadra (Team-Based Care): Molti dei partecipanti lavoravano in team multidisciplinari (come CHC e FHT). Questo fa una differenza enorme. Avere infermieri, assistenti sociali, personale amministrativo che collabora permette di dividere i compiti, identificare chi è in ritardo con gli screening, aiutare i pazienti a superare le barriere logistiche e offrire un supporto più completo. Sembra che questi modelli abbiano più infrastrutture e risorse dedicate.
- Costruire Fiducia e Relazioni: “Tanto dipende dalla relazione”, ha detto un medico. Costruire fiducia fin dall’inizio è fondamentale. Quando i pazienti si sentono capiti, ascoltati e a proprio agio, sono più propensi a seguire le raccomandazioni preventive. L’empowerment è chiave: presentare lo screening come un modo per prendersi cura di sé e prosperare.
- Competenza Culturale e Cura Informata sul Trauma (Trauma-Informed Care): Questo è un punto importantissimo. Significa capire il background culturale del paziente, essere consapevoli dei propri pregiudizi, usare un linguaggio appropriato e, soprattutto, essere sensibili a possibili traumi passati. Chiedere se c’è una storia di trauma prima di un Pap test, offrire la presenza di una persona di supporto, usare un linguaggio inclusivo (ad esempio con pazienti transgender) fa tutta la differenza. Avere accesso a servizi di interpretariato è vitale (e spesso i CHC hanno budget dedicati).

- Approcci Adattivi e Innovazione: Questi professionisti non si arrendono facilmente. Trovano soluzioni creative. Ad esempio, farsi spedire i kit per il test del sangue occulto (FIT test) direttamente in clinica invece che a casa del paziente, per chi non ha un indirizzo stabile. Trovare modi per coprire i costi per i pazienti non assicurati, stringere accordi con i laboratori. Un ambiente clinico che incoraggia questa flessibilità e innovazione è prezioso.
- Motivazione Personale e Approccio Proattivo: La convinzione nell’importanza dello screening spinge questi medici e infermieri ad essere tenaci. Alcuni sono motivati da esperienze personali con il cancro. Integrano la discussione sullo screening in ogni visita, anche se il paziente è lì per altro (“sei in ritardo per il Pap? Facciamolo ora!”).
- Strumenti Utili: Le cartelle cliniche elettroniche (EMR) ben organizzate, con sistemi di richiamo e alert, sono fondamentali per tenere traccia di chi deve fare lo screening. Anche i promemoria inviati dalle agenzie sanitarie provinciali ai pazienti aiutano molto.
- Incentivi e Collaborazione Professionale: Sì, anche gli incentivi economici per il raggiungimento degli obiettivi di screening possono motivare, specialmente i medici più giovani. Ma è il supporto del team, la possibilità di discutere approcci e strategie con i colleghi, che rafforza l’impegno. “Siamo tutti sulla stessa barca”, ha detto un’infermiera, “a volte sono le infermiere ad accorgersi di uno screening mancato”.
Cosa Abbiamo Imparato? Un Approccio Multidimensionale
Alla fine di questo viaggio nell’esperienza dei professionisti “positivamente devianti”, il messaggio è chiaro: affrontare le disparità nello screening oncologico per i pazienti marginalizzati richiede un approccio su più fronti. Non basta una sola soluzione.
È emerso con forza il valore dei modelli di cura basati sul team, che sembrano offrire l’infrastruttura e il supporto necessari. Ma anche chi lavora da solo può fare la differenza con motivazione e strategie adattive.
Fondamentale è fornire una cura culturalmente competente e informata sul trauma, costruendo relazioni di fiducia e rendendo lo screening il più accessibile, semplice e accettabile possibile, tenendo conto delle altre priorità dei pazienti.
Infine, serve un contesto clinico che supporti l’innovazione, che permetta ai professionisti di sperimentare soluzioni creative per abbattere le barriere sistemiche.

Questo studio non ci dà solo una fotografia delle sfide e dei successi, ma offre spunti preziosi per il futuro. Il prossimo passo? Usare queste scoperte per co-progettare interventi concreti, strategie che possano davvero aiutare tutti i professionisti della cure primarie a garantire che nessuno venga lasciato indietro nella lotta contro il cancro. Perché la prevenzione è un diritto, per tutti.
Fonte: Springer
