Immagine concettuale fotorealistica di un idrogel PEG poroso, obiettivo macro 60mm, con dettagli microscopici che mostrano la struttura a rete tridimensionale. All'interno dei pori, molecole di Mieloperossidasi (MPO) sono immobilizzate, e filamenti di DNA aptamerico si legano selettivamente ad esse. Illuminazione da laboratorio che evidenzia la complessità e la precisione del processo di screening. Alta definizione, focus selettivo sulle interazioni molecolari.

Screening Aptameri MPO: La Svolta dell’Idrogel Poroso in Un Solo Passo!

Ciao a tutti, appassionati di scienza e scoperte! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero entusiasmato nel campo della diagnostica e della ricerca biomedica. Immaginate di poter identificare molecole piccolissime, quasi invisibili, che però sono spie fondamentali della nostra salute. Una di queste è la Mieloperossidasi, o MPO, un enzima che nel nostro corpo gioca un po’ il ruolo del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”.

MPO: Un Enzima dal Doppio Volto

Da un lato, la MPO è una superstar del nostro sistema immunitario. Prodotta principalmente dai globuli bianchi come neutrofili e monociti, è cruciale per difenderci da batteri e altri microbi. Come fa? Utilizzando il perossido di idrogeno (sì, l’acqua ossigenata!) per trasformare gli ioni cloruro in acido ipocloroso, un potente agente ossidante che fa letteralmente a pezzi i patogeni. Pensateci, è un meccanismo di difesa incredibilmente efficiente che ci protegge ogni giorno!

Però, come in ogni buona storia, c’è un “ma”. Se l’attività della MPO non è ben regolata, o se ce n’è troppa in giro a causa di infiammazioni croniche, può fare danni. Le stesse specie reattive dell’ossigeno che annientano i microbi possono danneggiare i nostri tessuti, contribuendo a malattie infiammatorie e cardiovascolari. Ad esempio, la MPO può modificare le lipoproteine a bassa densità (il famoso colesterolo LDL “cattivo”), favorendo la formazione delle placche aterosclerotiche. Capire il suo ruolo è quindi fondamentale per sviluppare nuove terapie.

Non sorprende, quindi, che i livelli di MPO nel sangue o in altri fluidi biologici siano diventati un biomarcatore importantissimo. Livelli elevati possono segnalare un rischio maggiore di eventi cardiovascolari o indicare la gravità di un’infiammazione, come nell’artrite reumatoide. Avere un modo per misurare la MPO in modo preciso e veloce sarebbe un enorme passo avanti per la diagnosi precoce e la medicina di precisione.

Le Sfide della Diagnostica Tradizionale

Misurare la MPO, però, non è una passeggiata. I metodi attuali, come i test ELISA (enzyme-linked immunosorbent assays) o la qPCR (real-time quantitative PCR), pur essendo sensibili, sono spesso laboriosi, costosi e richiedono attrezzature specializzate. Non proprio l’ideale per test rapidi, magari direttamente sul “campo di battaglia” clinico. Anche le tecniche di imaging, come la PET, che potrebbero visualizzare l’attività della MPO direttamente nel corpo, hanno i loro limiti in termini di risoluzione e costi. E quando si tratta di usare anticorpi per rilevare la MPO, ci scontriamo con i costi di produzione, la loro grossa taglia che ne limita la penetrazione nei tessuti e la potenziale immunogenicità. C’era bisogno di qualcosa di nuovo, più agile e specifico.

Entrano in Scena gli Aptameri: Piccoli Giganti del Riconoscimento

Ed è qui che entrano in gioco i miei nuovi eroi: gli aptameri di DNA! Cosa sono? Immaginateli come dei piccolissimi “detective molecolari” costituiti da brevi sequenze di acidi nucleici (DNA o RNA) capaci di riconoscere e legarsi a una specifica molecola bersaglio – che sia una proteina, una piccola molecola o persino una cellula – con un’affinità e una specificità pazzesche, a volte superiori a quelle degli anticorpi.
Il bello degli aptameri è che sono relativamente facili ed economici da sintetizzare, si possono modificare chimicamente a piacimento, sono stabili e possono essere “denaturati” e “rinaturati” (cioè aperti e richiusi) senza perdere la loro funzione. Queste caratteristiche li rendono candidati ideali per lo sviluppo di biosensori e farmaci. Pensate che esistono già aptameri in trial clinici, come il BT200, che previene la trombosi arteriosa! E nel 2023 è stato persino sviluppato un biosensore indossabile basato su aptameri per monitorare l’estradiolo nel sudore. Fantascienza? No, scienza applicata!

Tuttavia, la ricerca di aptameri specifici per la MPO era ancora limitata. Il metodo tradizionale per “pescare” aptameri, chiamato SELEX (Systematic Evolution of Ligands by EXponential enrichment), è un processo lungo, macchinoso e costoso, che prevede molti cicli di legame, eluizione e amplificazione. Un vero e proprio percorso a ostacoli!

Macro fotografia, obiettivo 60mm, di una sezione trasversale di un idrogel PEG poroso, illuminazione controllata per evidenziare la struttura tridimensionale e i pori interconnessi. All'interno dei pori, visualizzazione stilizzata di molecole di Mieloperossidasi (rosse) a cui si legano aptameri di DNA (blu), alta definizione, focus preciso sulla interazione molecolare.

La Rivoluzione dell’Idrogel: Uno Screening “One-Step”

Ed ecco la svolta che mi ha catturato: un nuovo studio ha utilizzato un metodo di screening basato su idrogel poroso in un solo passaggio, ispirato alla tecnologia HAS (Hydrogel for Aptamer Selection), per scovare aptameri ad alta affinità specifici per la MPO. Geniale, vero? In pratica, hanno creato una sorta di “spugna molecolare” intelligente.

Ma come funziona? Per prima cosa, hanno preparato questi idrogel porosi di polietilenglicole (PEG). Il processo, chiamato “freezing gel method”, prevede la polimerizzazione di precursori come il PEGDA (polietilenglicole diacrilato) e il PEGMA (polietilenglicole metacrilato) a -20°C. Durante questo processo, si formano cristalli di ghiaccio che, una volta sciolti, lasciano dei pori interconnessi. Hanno anche aggiunto acido acrilico per avere dei “ganci” (gruppi carbossilici) a cui legare la nostra proteina bersaglio, la MPO. Immaginate questa struttura tridimensionale, morbida e flessibile, quasi trasparente, che sotto luce UV emette una fluorescenza verde se marcata. L’analisi al microscopio elettronico a scansione (SEM) e confocale ha rivelato una rete di pori con una dimensione media di circa 50 µm, ottimale per permettere il passaggio delle molecole di DNA ma anche per “intrappolare” efficacemente le interazioni.

Una volta preparato l’idrogel e immobilizzata la MPO al suo interno (usando la chimica EDC/NHS per legare la proteina ai gruppi carbossilici dell’idrogel), il gioco si fa interessante. Si carica una “biblioteca” di sequenze casuali di DNA (nel caso specifico, una libreria N40) sull’idrogel. L’idrogel, parzialmente disidratato, assorbe rapidamente la soluzione con il DNA. Poi, si lascia che la natura faccia il suo corso: le sequenze di DNA diffondono attraverso i pori e quelle che hanno una qualche affinità per la MPO si legano ad essa. Questo processo di “diffusione-legame” è il cuore del metodo. Dopo un periodo di incubazione, con cambi di tampone per eliminare le sequenze non legate o debolmente legate, si procede all’eluizione. Con una soluzione ad alta concentrazione salina (NaCl), si “staccano” le sequenze di DNA che si erano legate forte alla MPO: i nostri candidati aptameri!

Questo approccio “one-step” semplifica enormemente il processo rispetto al SELEX tradizionale, riducendo tempi, costi e la possibilità di legami non specifici. È più efficiente, rapido e non richiede strumentazione complessa.

Dalla Teoria alla Pratica: Caccia agli Aptameri per MPO

Dopo l’eluizione, le sequenze di DNA ottenute sono state concentrate, purificate e amplificate tramite PCR. I prodotti della PCR sono stati poi analizzati tramite elettroforesi su gel e, cosa fondamentale, sequenziati con tecniche di Next-Generation Sequencing (NGS). L’NGS ci permette di vedere quali sequenze sono più abbondanti, e quindi presumibilmente quelle che si sono legate meglio alla MPO.
Dall’analisi bioinformatica delle sequenze, sono state identificate le 50 sequenze più rappresentative, raggruppate poi in nove “famiglie” in base alla loro somiglianza. Un membro di ciascuna famiglia è stato scelto per analisi più approfondite.

E qui arriva un altro strumento affascinante: la Microscale Thermophoresis (MST). Questa tecnica misura come le molecole si muovono in un gradiente di temperatura. Quando un aptamero si lega alla sua proteina bersaglio (la MPO, in questo caso marcata fluorescentemente), il complesso risultante si muove diversamente rispetto alla proteina libera. Questo cambiamento permette di calcolare la costante di dissociazione (Kd), un parametro che ci dice quanto è forte il legame: più basso è il Kd, più forte è l’affinità.
I risultati sono stati eccellenti! Tutti e nove i candidati aptameri hanno mostrato un buon segnale di legame MST. Tra questi, un aptamero chiamato M.6 si è distinto per la più alta affinità, con un valore di Kd di soli 18 nM. Un legame davvero forte!

Ma non è finita qui. I ricercatori hanno voluto capire meglio la relazione tra la struttura dell’aptamero M.6 e la sua funzione. Hanno quindi creato cinque versioni “troncate” di M.6, più corte. È un po’ come cercare di capire quali parti di una chiave sono essenziali per aprire una serratura. Sorprendentemente, tre di queste sequenze troncate hanno mantenuto un’alta affinità, simile all’aptamero M.6 originale, pur avendo strutture secondarie (cioè come si ripiegano nello spazio) diverse. Questo suggerisce che ci sono regioni specifiche dell’aptamero cruciali per il legame, mentre altre possono essere eliminate senza troppi problemi. La citometria a flusso ha confermato questi risultati, mostrando che M.6 e tre delle sue versioni troncate si legavano significativamente meglio alla MPO (coniugata a biglie magnetiche) rispetto a sequenze casuali o alle versioni troncate meno efficaci.

Fotografia still life, obiettivo macro 100mm, di un moderno strumento di Microscale Thermophoresis (MST) in un laboratorio di ricerca. In primo piano, capillari contenenti campioni fluorescenti, con un ricercatore (mani guantate) che li inserisce. Luce da laboratorio controllata, alta definizione, dettagli nitidi dello strumento e dei campioni.

Un Biosensore su Misura: L’Aptamero M.6(59) all’Opera

Avere un aptamero ad alta affinità è fantastico, ma come possiamo usarlo nella pratica? Beh, i ricercatori hanno progettato un semplice biosensore come “prova del nove”, utilizzando una delle versioni troncate più promettenti, M.6(59).
Ecco l’idea:

  • Si prende una corta sequenza di DNA fluorescente e biotinilata (la biotina è come una calamita per la streptavidina).
  • Questa sequenza è complementare a una parte dell’aptamero M.6(59) e vi si lega.
  • Il tutto viene immobilizzato su biglie magnetiche rivestite di streptavidina.

In assenza della MPO, la fluorescenza rimane legata alle biglie. Ma quando si aggiunge la MPO, l’aptamero preferisce legarsi alla sua proteina bersaglio. Questo legame causa un cambiamento conformazionale che “scalza” la sequenza fluorescente dalle biglie magnetiche, rilasciandola in soluzione. Separando le biglie magnetiche, si può misurare la fluorescenza nel surnatante: più MPO c’è, più fluorescenza viene rilasciata. Semplice ed elegante!

I risultati sono stati molto incoraggianti. Il biosensore ha mostrato una relazione lineare tra l’intensità della fluorescenza e la concentrazione di MPO in un range da 0 a 180 ng/mL, con un limite di rilevamento (LOD) stimato di 1 ng/mL. Davvero sensibile!
Inoltre, il biosensore si è dimostrato altamente specifico per la MPO, non reagendo significativamente con altri enzimi comuni come perossidasi di rafano (HRP), catalasi, NADPH ossidasi, xantina ossidasi, glucosio ossidasi, glutatione reduttasi o BSA (albumina di siero bovino). Un vero cecchino molecolare!

Per testare la sua efficacia in un contesto più realistico, il biosensore è stato utilizzato per rilevare diverse concentrazioni di MPO in campioni di siero umano diluito al 10%. I tassi di recupero sono stati eccellenti, tra il 97.2% e il 102.6%, indicando grande precisione e accuratezza anche in una matrice biologica complessa. I risultati sono stati anche confrontati con un kit commerciale per il dosaggio della MPO, mostrando un alto grado di concordanza. Questo conferma la robustezza e l’affidabilità del nuovo sensore.

Verso il Futuro: Diagnosi Precise e Terapie Mirate

Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Beh, per me è chiaro: questo studio non solo ha messo a punto un metodo innovativo ed efficiente per lo screening di aptameri per la MPO, ma ha anche identificato candidati aptameri molto promettenti per lo sviluppo di biosensori altamente specifici.
L’uso dell’idrogel poroso di PEG ha semplificato e velocizzato un processo che prima era lungo e complesso, aprendo la strada a una “caccia” più rapida ed economica a questi preziosi strumenti molecolari. L’aptamero M.6 e le sue varianti troncate ad alta affinità sono una base solida per future applicazioni.

Immaginate le possibilità:

  • Diagnosi precoce: Sensori basati su questi aptameri potrebbero rilevare variazioni minime nei livelli di MPO, aiutando a identificare malattie cardiovascolari o infiammatorie in uno stadio iniziale.
  • Medicina di precisione: Monitorare i livelli di MPO potrebbe aiutare a personalizzare i trattamenti o a valutarne l’efficacia.
  • Ricerca: Strumenti più precisi per studiare il ruolo della MPO nelle diverse patologie.
  • Sviluppo di farmaci: Gli aptameri stessi potrebbero diventare la base per nuove terapie mirate che modulano l’attività della MPO.

Insomma, questo lavoro getta le basi teoriche e tecniche per sfruttare al meglio la MPO come biomarcatore, con un potenziale enorme per migliorare la nostra salute. È proprio questo tipo di innovazione che mi fa amare la scienza: soluzioni ingegnose a problemi complessi, con un impatto reale sulla vita delle persone. Non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserverà il futuro in questo campo!

Fonte: Springer

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