Score Poligenici: Miglioriamo Davvero la Previsione del Rischio Cardiaco?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo e che potrebbe davvero cambiare le carte in tavola nella prevenzione di una delle malattie più diffuse al mondo: la malattia coronarica (CAD – Coronary Artery Disease). Sapete, la CAD è ancora la prima causa di morte negli Stati Uniti, e si stima che colpisca milioni di persone. La buona notizia? È in gran parte prevenibile! E qui entra in gioco la scienza.
Lo Standard Attuale e i Suoi Limiti
Attualmente, per capire chi è a rischio e chi dovrebbe iniziare terapie preventive (come le statine, per esempio), i medici usano spesso uno strumento chiamato Pooled Cohort Equations (PCE). Questo calcola il rischio a 10 anni di un primo evento cardiovascolare aterosclerotico (ASCVD). Si basa su fattori ben noti:
- Età
- Sesso
- Pressione sanguigna sistolica
- Livelli di colesterolo totale e HDL
- Status di diabete
- Abitudine al fumo
- Razza (ma solo con due categorie: Bianco e Nero/Afroamericano)
Tutto molto utile, certo. Ma come avrete notato, mancano pezzi importanti. Non tiene conto della storia familiare, un fattore che sappiamo essere cruciale, né del nostro rischio genetico individuale. Inoltre, la classificazione razziale è molto limitata e non cattura la diversità della popolazione, per non parlare del fatto che si concentra solo sul rischio a 10 anni e non è pensato per i più giovani (under 40). Insomma, il PCE è un buon punto di partenza, ma a volte lascia i medici (e i pazienti!) in una specie di limbo, specialmente quelli con un rischio definito “borderline” (5-7.5%) o “intermedio” (7.5-20%). In questi casi, le linee guida suggeriscono di considerare altri “fattori che aumentano il rischio”. Ed è qui che la genetica può darci una mano enorme.
L’Asso nella Manica: Gli Score di Rischio Poligenico (PRS)
Avete mai sentito parlare degli Score di Rischio Poligenico (PRS)? Immaginateli come un modo per “sommare” l’effetto di migliaia, a volte milioni, di piccole varianti genetiche sparse nel nostro DNA che, messe insieme, influenzano la nostra predisposizione a sviluppare una certa malattia, come la CAD. Non si tratta di un singolo gene “difettoso”, ma dell’effetto combinato di tantissime piccole differenze genetiche. L’idea affascinante è che questi PRS potrebbero migliorare l’accuratezza degli strumenti clinici come il PCE. Studi recenti hanno già mostrato risultati promettenti integrando PRS per la CAD con i fattori di rischio tradizionali. L’American Heart Association li ha persino riconosciuti come potenziali “fattori che aumentano il rischio”.
La Sfida della Diversità e la Soluzione: il caIRS
C’è però un problema: la maggior parte degli studi genetici, e quindi dei PRS sviluppati finora, si basa su popolazioni di origine europea. Questo limita la loro applicabilità e generalizzabilità ad altre popolazioni, che hanno background genetici diversi. Ed è qui che entra in gioco lo studio di cui vi parlo oggi (trovate il link alla fonte in fondo!). L’obiettivo era ambizioso: creare un modello di rischio migliore, chiamato caIRS (cross-ancestry Integrated Risk Score), che funzionasse bene attraverso diverse popolazioni. Come? Combinando i fattori clinici del PCE con un PRS “cross-ancestry” (caPRS), cioè uno score poligenico costruito tenendo conto delle differenze genetiche tra popolazioni diverse (non solo europee, ma anche africane, asiatiche, ispaniche…). Hanno usato un approccio intelligente, simile a uno già usato per il rischio di cancro al seno, che “pesa” le varianti genetiche in modo diverso a seconda dell’ascendenza genetica dell’individuo, anche per chi ha origini miste.
Mettere alla Prova il caIRS: I Risultati
I ricercatori hanno messo alla prova il loro nuovo modello (sia il caPRS da solo che il caIRS integrato) su ben quattro gruppi indipendenti di persone (coorti di validazione), tra cui la UK Biobank e la Penn Medicine Biobank (PMBB), un database molto attuale basato negli USA. E i risultati? Davvero incoraggianti!
Il caIRS ha costantemente superato il PCE da solo nel predire chi avrebbe sviluppato CAD nei successivi 10 anni. I miglioramenti erano evidenti in tutte le coorti, con un “salto” notevole in termini di capacità discriminatoria (misurata con un parametro chiamato C-index).
Ma la cosa più interessante è successa quando hanno guardato specificamente le persone nella famosa “zona grigia” del rischio borderline/intermedio (PCE tra 5% e 20%). Qui, il caIRS ha fatto davvero la differenza. È riuscito a riclassificare tra il 7.0% e il 10.7% di queste persone, spostandole nella categoria ad alto rischio (≥20%). E non si trattava di un cambiamento sulla carta: queste persone riclassificate come ad alto rischio dal caIRS avevano effettivamente un’incidenza di CAD molto più alta, con un rischio da 3.2 a 3.8 volte maggiore rispetto agli altri nel gruppo borderline/intermedio!
Un Occhio di Riguardo per la Diversità
Un altro punto forte dello studio è l’attenzione alla diversità etnica. Il caIRS ha mostrato miglioramenti significativi rispetto al PCE anche analizzando sottogruppi specifici. I miglioramenti più notevoli sono stati osservati tra gli individui Ispanici (nella coorte PMBB) e Sud Asiatici (nella UK Biobank). Questo è fondamentale, perché dimostra che un approccio che tiene conto della diversità genetica può portare a previsioni più accurate per tutti.
E per la popolazione Nera/Afroamericana? Anche qui il caIRS ha permesso di identificare meglio gli individui ad alto rischio all’interno della fascia borderline/intermedio. Le persone riclassificate come ad alto rischio avevano un rischio quasi 4 volte maggiore di sviluppare CAD, un risultato paragonabile a quello osservato nella popolazione bianca. Tuttavia, bisogna essere onesti: la performance complessiva del PRS (e quindi del caIRS) in questo gruppo era leggermente inferiore rispetto ad altri. Perché? Probabilmente a causa della minore disponibilità di grandi studi genetici (GWAS) su popolazioni africane, che sono anche geneticamente molto diverse al loro interno. È un limite noto, e c’è bisogno di più ricerca e più dati da popolazioni diverse per colmare questo divario. Ma i progressi fatti sono comunque un passo importante nella giusta direzione.
Cosa Significa Tutto Questo per Noi?
Beh, significa che integrare l’informazione genetica (tramite i PRS) con i fattori di rischio clinici tradizionali (come nel caIRS) ci dà un quadro molto più preciso del rischio individuale di sviluppare una malattia coronarica. Soprattutto per chi si trova in quella fascia di rischio incerta, dove le decisioni sulla prevenzione (come iniziare o meno una terapia con statine) sono più difficili. Il caIRS potrebbe diventare uno strumento prezioso per identificare prima e meglio chi beneficerebbe davvero di interventi preventivi più intensivi.
I ricercatori hanno fatto anche una stima: se tutte le persone riclassificate come ad alto rischio iniziassero a prendere statine (ipotizzando una riduzione del 25% degli eventi CAD), si potrebbe prevenire 1 evento cardiaco ogni 179 persone screenate con il caIRS (basandosi sulle coorti USA). E forse l’effetto potrebbe essere anche maggiore, visto che alcuni studi suggeriscono che chi ha un alto rischio poligenico trae ancora più beneficio dalle terapie che abbassano il colesterolo.
Limiti e Prospettive Future
Come ogni studio scientifico, anche questo ha i suoi limiti. Ad esempio, si è concentrato solo sulla CAD e non su tutti gli eventi cardiovascolari inclusi nel punteggio ASCVD originale (come l’ictus). Inoltre, il modello PCE di base tendeva a sovrastimare il rischio in alcune coorti. E, ovviamente, questo è uno studio di validazione: serviranno studi prospettici nel mondo reale per confermare l’utilità clinica del caIRS nel guidare le decisioni terapeutiche e migliorare gli esiti per i pazienti. Ci sono già iniziative in corso, come il consorzio eMERGE-IV e uno studio clinico specifico (NCT06542432), per valutare proprio l’impatto clinico di questi score genetici. Un’altra area interessante per il futuro sarà valutare l’utilità dei PRS anche nei giovani adulti, per i quali gli strumenti attuali sono meno adatti.
In Conclusione
Questo studio aggiunge un tassello importante al puzzle della prevenzione cardiovascolare. Ci dice che la nostra genetica, letta attraverso gli score di rischio poligenico, può davvero aiutarci a capire meglio il nostro rischio di malattia coronarica, andando oltre i fattori clinici tradizionali. Il modello caIRS, che integra entrambi gli aspetti e tiene conto della diversità delle popolazioni, sembra particolarmente promettente per affinare le stime di rischio, soprattutto per chi si trova nella zona “borderline” o “intermedia”. È un passo avanti verso una medicina preventiva più personalizzata ed efficace per tutti. Staremo a vedere come si evolverà la ricerca, ma le premesse sono davvero entusiasmanti!
Fonte: Springer Nature