Visualizzazione artistica ma scientificamente accurata delle onde cerebrali durante la fase REM del sonno, con colori vivaci che rappresentano l'attività onirica, sovrapposta a un orologio stilizzato che simboleggia il ritmo circadiano e il concetto di cronotipo. Illuminazione drammatica, high detail, focus selettivo sulle onde REM.

Il Tuo Orologio Biologico Nascosto nei Sogni: Scopri il Cronotipo dalla Fase REM

Avete mai pensato a quanto siamo diversi nel nostro rapporto con il sonno? C’è chi salta giù dal letto all’alba pieno di energie e chi, invece, carbura solo dopo il tramonto. Io sì, ci ho pensato spesso! Questa differenza ha un nome: cronotipo. In pratica, definisce se siamo più “allodole” mattiniere o “gufi” nottambuli, ed è dettato dal nostro orologio biologico interno, il famoso ritmo circadiano. Capire il proprio cronotipo non è solo una curiosità, ma ha implicazioni importanti per la nostra salute, il nostro umore e persino le nostre prestazioni cognitive.

Il problema è che, fino ad oggi, determinare il cronotipo in modo oggettivo non era proprio una passeggiata. Certo, ci sono i questionari, come il famoso Munich Chronotype Questionnaire (MCTQ), che si basano sulle nostre abitudini di sonno. Utili, per carità, ma soggettivi. Poi ci sono metodi più “scientifici”, come misurare la temperatura corporea interna per giorni o usare l’actigrafia (un braccialetto che monitora i movimenti), ma richiedono tempo, strumenti specifici e non sempre sono pratici da integrare negli studi sul sonno di routine o nelle diagnosi. Questo lascia un vuoto non da poco, perché studiare il sonno senza considerare il cronotipo è un po’ come analizzare una partita senza sapere a che ora è iniziata per i giocatori! Persone con cronotipi diversi si trovano in fasi circadiane differenti anche se dormono nello stesso momento.

E se la Chiave Fosse nei Sogni?

Ma se vi dicessi che forse la soluzione, o almeno una parte importante di essa, è sempre stata lì, nascosta nell’architettura stessa del nostro sonno? In particolare, nella fase più affascinante e misteriosa: la fase REM (Rapid Eye Movement), quella in cui sogniamo vividamente. Sappiamo da tempo che la fase REM non è distribuita a caso durante la notte, ma segue un andamento preciso, influenzato proprio dal nostro orologio circadiano. Tende ad essere più abbondante verso le prime ore del mattino, in corrispondenza del punto più basso della nostra temperatura corporea.

Alcuni studi hanno anche suggerito un legame tra la quantità di sonno REM e la qualità percepita del riposo. Insomma, la fase REM sembrava avere tutte le carte in regola per essere un potenziale indicatore del nostro ritmo interno. Ma come trasformare questa intuizione in una metrica concreta e affidabile?

Alla Ricerca dell’Indicatore Nascosto: Lo Studio

È proprio qui che entra in gioco la nostra ricerca. Ci siamo chiesti: possiamo derivare un indicatore affidabile del cronotipo direttamente dall’analisi della dinamica del sonno REM durante tutta la notte? Per rispondere a questa domanda, abbiamo messo insieme i dati provenienti da due diversi contesti:

  • Registrazioni del sonno a casa, effettuate con una fascia EEG indossabile (una sorta di “cerchietto” tecnologico), in un ambiente quindi molto realistico (la camera da letto dei partecipanti!). Questi dati includevano anche misurazioni actigrafiche, della temperatura corporea, questionari sul cronotipo (MCTQ) e sulla qualità del sonno (PSQI, diari del sonno).
  • Un ampio database di registrazioni polisonnografiche (PSG) più classiche, effettuate in laboratorio (il database Budapest-Munich), che ci ha permesso di analizzare i pattern REM in un campione molto vasto e con un ampio range di età (dai bambini agli adulti di mezza età).

L’obiettivo principale era validare un nuovo parametro derivato dalla fase REM, che abbiamo chiamato “picco di propensione REM” o, per gli amici scienziati, REMmaxprop. Questo valore rappresenta il momento, durante il ciclo del sonno, in cui il rapporto tra la durata della fase REM e la durata della fase NREM precedente raggiunge il suo massimo. In parole povere, è il momento in cui la “spinta” verso il sonno REM è più forte rispetto al sonno non-REM che lo precede. Abbiamo anche analizzato l’accumulo totale di sonno REM prima di questo picco (REMacc).

L’ipotesi era che il REMmaxprop fosse un buon indicatore della fase circadiana: ci aspettavamo che fosse più tardivo nelle persone con cronotipo “gufo” (che hanno anche un punto medio del sonno e un minimo di temperatura corporea più tardivi) e più precoce nelle “allodole”.

Fotografia macro di un modello di cervello stilizzato con onde EEG luminose blu e viola che rappresentano la fase REM, sovrapposto a un grafico astratto del ritmo circadiano. Illuminazione controllata, dettaglio elevato, 100mm Macro lens, sfondo scuro.

La Sorpresa: Il REMmaxprop Funziona!

Ebbene, i risultati ci hanno dato ragione! Abbiamo scoperto che il momento in cui si verifica il REMmaxprop correla in modo significativo e affidabile con le misure soggettive del cronotipo (MCTQ) e con il punto medio del sonno calcolato dall’actigrafia. C’era anche una tendenza alla correlazione con il momento del minimo della temperatura corporea interna. In pratica, più tardi una persona andava a dormire e si svegliava abitualmente (secondo questionari e actigrafia), più tardi si verificava il suo picco di propensione REM durante la notte registrata. Bingo!

Al contrario, l’accumulo di sonno REM prima del picco (REMacc) non sembrava legato al cronotipo, suggerendo che questo parametro rifletta qualcos’altro, forse più legato alla quantità totale di REM.

L’Età Conta (Anche nel Sonno)

Un altro risultato interessante riguarda l’età. Come sappiamo, il nostro cronotipo cambia nel corso della vita: tendiamo a diventare più “gufi” durante l’adolescenza e la prima età adulta, per poi tornare gradualmente ad essere più mattinieri con l’avanzare degli anni. Ebbene, il nostro REMmaxprop ha riflesso perfettamente questo andamento! È risultato avvenire più precocemente nei bambini e negli adulti di mezza età rispetto agli adolescenti e ai giovani adulti. Anche il REMacc mostrava differenze legate all’età, diminuendo con gli anni, in linea con la nota riduzione della percentuale di sonno REM nel corso della vita.

E la Qualità del Sonno? Un Puzzle Complesso

A questo punto, potreste chiedervi: ma tutto questo ha a che fare con il sentirsi riposati al mattino? La fase REM è davvero un indicatore di “buon sonno”? Qui la faccenda si complica un po’. Nel nostro studio, analizzando le differenze *tra* persone diverse, non abbiamo trovato una correlazione diretta tra le variabili REM (REMmaxprop, REMacc, percentuale di REM) e la qualità soggettiva del sonno riportata dai partecipanti (né quella generale misurata dal PSQI, né quella specifica della mattina dopo la registrazione EEG).

Tuttavia, è emerso un dato interessante: le persone che avevano dormito *meno* durante la notte della registrazione EEG rispetto alla loro media settimanale (calcolata con l’actigrafia) tendevano a valutare peggio la qualità del loro sonno quella mattina. Questo suggerisce che, più che la struttura fine del sonno REM in sé, è forse la *quantità* di sonno (rispetto alle proprie abitudini) a influenzare maggiormente la percezione soggettiva, almeno in questo tipo di analisi. Potrebbe anche esserci un “effetto prima notte”, comune negli studi sul sonno anche a casa con dispositivi auto-applicati. La relazione tra sonno oggettivo e soggettivo è notoriamente complessa e probabilmente le grandi differenze individuali mascherano le associazioni quando si confrontano persone diverse. Servirebbero studi longitudinali, che seguano la stessa persona nel tempo.

Ritratto di una persona che dorme serenamente nel proprio letto, con una sottile fascia EEG indossabile sulla fronte. Luce mattutina soffusa che entra dalla finestra. 35mm portrait, profondità di campo, duotone blu e grigio.

Sonno Frammentato vs. Sogni Profondi

Un collegamento interessante, però, lo abbiamo trovato guardando alla “qualità oggettiva” del sonno, misurata attraverso i micro-risvegli (arousals) rilevati dall’EEG. Abbiamo osservato che una maggiore densità di risvegli durante il sonno NREM (quello non-REM) era associata a una minore percentuale di sonno REM totale. Sembra quasi che un sonno NREM molto frammentato e disturbato “rubi spazio” alla fase REM, impedendole di svilupparsi appieno. Questo supporta indirettamente l’idea che una buona continuità del sonno sia importante e che una riduzione del REM possa essere un segnale di problemi sottostanti.

Cosa Ci Riserva il Futuro?

Certo, il nostro studio ha dei limiti. Non abbiamo potuto analizzare tutte le variabili (circadiane e di continuità del sonno) nello stesso campione, e non avevamo dati su persone con cronotipi estremi. Inoltre, abbiamo usato fasce EEG indossabili per una parte dello studio, che sono fantastiche per l’ecologia della misurazione ma non sono il gold standard della polisonnografia da laboratorio per tutti i parametri.

Nonostante questo, i risultati sono promettenti. Il REMmaxprop emerge come un nuovo, potenziale indicatore della fase circadiana e del cronotipo, derivabile direttamente dall’EEG del sonno notturno. Questo potrebbe essere particolarmente utile negli studi a casa, rendendo più semplice e oggettiva la caratterizzazione del cronotipo dei partecipanti senza bisogno di protocolli lunghi o strumenti aggiuntivi. Elimina la soggettività dei questionari e potrebbe persino permettere di stimare il cronotipo in studi passati, analizzando vecchie registrazioni PSG!

Per quanto riguarda il legame tra REM e qualità del sonno, la strada è ancora lunga. I nostri dati suggeriscono che la relazione è complessa e probabilmente va indagata con studi longitudinali che permettano analisi *all’interno* dello stesso individuo nel tempo.

Insomma, la prossima volta che vi addormenterete, pensate che non state solo riposando, ma il vostro cervello sta anche scrivendo una sorta di diario segreto del vostro orologio biologico, nascosto tra le pieghe affascinanti della fase REM. E noi scienziati siamo qui, con i nostri elettrodi e algoritmi, cercando di decifrarlo!

Fonte: Springer

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