Un cervello stilizzato diviso a metà: una parte con ingranaggi e formule scientifiche luminose, l'altra parte con simboli di dibattito politico e punti interrogativi. Luce drammatica, stile fotorealistico, obiettivo 35mm, toni blu e grigi duotone, a rappresentare il conflitto tra razionalità scientifica e dibattito pubblico sullo scetticismo.

Scienza, Scetticismo e Politica: Un Trio Esplosivo o Solo un Gran Frappè di Parole?

Parliamoci chiaro, quante volte ultimamente abbiamo sentito la parola “scetticismo scientifico” rimbalzare da un telegiornale all’altro, da un post social all’altro? Sembra quasi che, dopo il ciclone Covid-19, siamo diventati tutti un po’ più diffidenti verso camici bianchi e provette. Ma siamo sicuri di aver afferrato il bandolo della matassa? E se vi dicessi che la faccenda è un tantino più ingarbugliata di un semplice “la gente non si fida più”?

Prendo spunto da un interessante articolo tedesco intitolato “Science ist Meins? Wissenschaftsskepsis als Problem der politischen Öffentlichkeit” (La scienza è mia? Lo scetticismo scientifico come problema della sfera pubblica politica), che mi ha fatto riflettere parecchio. L’idea di fondo è che questo “scetticismo scientifico” di cui tanto si parla sia, in realtà, una sorta di stilizzazione di un problema diverso: il fatto che, spesso, non facciamo la cosa giusta pur avendo le conoscenze per farla. E, guarda caso, la colpa viene addossata a una presunta attitudine scettica di “altri” verso “la scienza”. Comodo, no? Così la politica si scrolla di dosso la patata bollente di dover ammettere i propri limiti nel prendere decisioni vincolanti.

Ma che cos’è ‘sto scetticismo scientifico, alla fine della fiera?

L’articolo tedesco cita una canzone di Mai Thi Nguyen-Kim, “Science ist meins”, che, in modo ironico ma ficcante, mette il dito nella piaga. Il testo elenca una serie di situazioni:

  • La ricerca dice: “Senza medicine e vaccini, staremmo malissimo”. E noi? Magari ci buttiamo sui globuli omeopatici pensando “chi guarisce ha ragione”.
  • La ricerca dice: “Guarda che la genetica verde è una figata”. E noi? Crediamo alle storie sui baby-designer e sul mais dell’orrore.
  • La ricerca dice: “Risparmiare CO2 è importantissimo”. E noi? Guidiamo e costruiamo SUV sempre più giganteschi.
  • La ricerca dice: “Gli oroscopi ti prendono in giro”. E noi? Cerchiamo l’ascendente su internet.

La canzone conclude con un amaro: “La scienza non ve ne frega niente […] A quanto pare non fa per voi, ma la Scienza è mia”. Vedete il giochetto? Si parte da un “noi” collettivo che ignora la scienza, per poi passare a un “voi” (gli altri, gli scettici) contrapposto a un “io” (che invece la scienza l’ha capita). È un modo per dire: il problema siete voi, non io, non noi (quelli che capiscono).

Questa, secondo l’autore tedesco, è la trappola semantica: lo scetticismo scientifico diventa la scusa per non fare ciò che la scienza suggerirebbe, attribuendo la colpa a un’indefinita massa di “scettici”. Così, il problema delle conseguenze politiche sbagliate si trasforma in un problema di “ridurre lo scetticismo”, spostando il focus.

Ma la gente si fida o no della scienza? I numeri che (forse) non ti aspetti

E qui viene il bello. Se andiamo a vedere i dati, la situazione è meno drammatica di quanto si pensi. L’Accademia Austriaca delle Scienze nel 2023 ha rilevato che il 73% degli intervistati si fida della scienza, addirittura in lieve aumento rispetto all’anno prima. In Germania, il barometro “Wissenschaft im Dialog” mostra un 56% di fiducia, un valore più basso rispetto al picco pandemico (73%) ma comunque superiore al periodo pre-Covid. Paradossalmente, il picco di fiducia dichiarata si è avuto proprio quando lo “scetticismo” era il tema caldo.

Cosa è successo? Durante la pandemia, moltissime persone si sono trovate a dover fare i conti, per la prima volta in modo così diretto, con l’impatto pratico del sapere scientifico sulla vita quotidiana. Le norme anti-contagio, ad esempio, hanno costretto tutti a prendere una posizione, rendendo più difficile “non pensarci”. Inoltre, rispondere a un sondaggio sulla fiducia nella scienza è diventato quasi un atto di “militanza”: o stai con la Scienza (con la S maiuscola) o sei contro. Gli “indecisi” sono crollati, in Germania dal 46% al 20% in un attimo! Questo significa che la gente ha preso atto della polarizzazione del dibattito e ha scelto da che parte stare, anche a costo di essere etichettata come “pecorone” o “complottista”.

Un grafico a torta che mostra percentuali di fiducia nella scienza, con una fetta predominante per 'fiducia' e una piccola per 'sfiducia', mentre una fetta 'indecisi' si sta riducendo. Stile infografica moderna, colori vivaci, alta leggibilità dei dati. Macro lens, 60mm, high detail.

Quindi, più che un crollo della fiducia, sembra che ci sia stata una presa di posizione più netta, influenzata dal dibattito pubblico. E l’idea dello “scetticismo scientifico” come problema si è cementata, anche se i numeri raccontano una storia un po’ diversa.

Il gioco politico dietro l’etichetta “scetticismo”

L’articolo tedesco sottolinea un punto cruciale: la problematizzazione dello scetticismo scientifico è alimentata principalmente dall’attenzione pubblica e serve a gestire un problema che è politico, non scientifico. Quando la politica ha dovuto affrontare il dissenso verso misure legittimate scientificamente (come durante la pandemia), ecco che “scetticismo scientifico” è diventata la spiegazione più comoda e diffusa.

La bellezza di questa etichetta, per chi la usa, sta nella sua vaghezza. Permette di semplificare dibattiti politici complessi, che magari riguardano l’interpretazione dei dati scientifici o il loro ruolo nelle decisioni, riducendoli a un problema di “atteggiamento verso la scienza”. È attraente perché sposta il problema altrove. E chi mai si definirebbe apertamente “nemico della scienza”? Anche i cosiddetti “Querdenker” (pensatori laterali) in Germania, spesso criticati per le loro posizioni, raramente attaccano “la” scienza in sé. Anzi, spesso sostengono di difendere i “veri” principi scientifici contro una scienza istituzionalizzata e corrotta. È una sorta di “populismo scientifico”, come lo definiscono alcuni studiosi.

Mi viene da pensare: questa idealizzazione della “vera scienza” da parte di chi critica quella “ufficiale” è poi così diversa dalla fiducia un po’ acritica che a volte si ripone nella scienza dall’altra parte della barricata? Forse, per capire davvero la funzione dello “scetticismo scientifico” nel dibattito, dovremmo smettere di cercare un “nucleo duro” di scettici e concentrarci su cosa succede quando qualcuno esprime un’opinione che viene etichettata come scettica.

Scienza e Politica: un matrimonio difficile ma necessario

Torniamo agli esempi della canzone: vaccini, OGM, SUV, oroscopi. Nessuna di queste è una questione puramente scientifica. Sono decisioni che toccano la nostra vita quotidiana o le scelte politiche, dove la scienza può informare, a volte in modo decisivo, ma non può decidere al posto nostro. La decisione che i risultati scientifici debbano guidare queste scelte è, a sua volta, una scelta che può essere argomentata scientificamente, ma non imposta dalla scienza stessa.

Qui entra in gioco la teoria della differenziazione sociale: la scienza opera con il codice vero/falso ed è (o dovrebbe essere) separata dalle decisioni politiche o biografiche. Questa separazione le permette di essere incredibilmente produttiva, perché non deve preoccuparsi costantemente delle conseguenze. Ma affinché la scienza possa svolgere la sua funzione sociale, i suoi risultati devono essere, almeno in linea di massima, accettati come “verità della società” anche negli altri sistemi (politica, economia, vita privata).

Due figure stilizzate, una rappresentante la Scienza con simboli di atomi e DNA, l'altra la Politica con simboli di parlamento e leggi, che si stringono la mano con difficoltà sopra un abisso. Stile illustrativo ma fotorealistico, obiettivo prime 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco l'interazione.

Il problema sorge all’interfaccia. Quando la politica usa la scienza per legittimare le proprie decisioni, quel sapere scientifico entra in un’arena dove non si gioca più con vero/falso, ma con categorie come “superiore/inferiore” (in termini di potere, consenso). Ogni riferimento alla scienza diventa sospetto: è stato scelto per supportare una certa posizione politica? È stato semplificato ad arte? Questo sospetto è inevitabile, perché spesso è fondato e perché fa parte del gioco politico.

Se la politica reagisce insistendo sull’oggettività e l’indiscutibilità dei dati scientifici, ci sarà sempre qualche scienziato sociale o umanista a ricordare (correttamente, dal punto di vista scientifico!) che alla scienza “non si può obbedire” politicamente. È un circolo vizioso.

Allora, qual è il vero nocciolo della questione? E che si fa?

L’articolo suggerisce che etichettare tutto come “scetticismo scientifico” è un modo per la politica di “esternalizzare” la tensione tra decisione politica e sapere scientifico. Si finge che il problema sia la percezione della scienza da parte della gente, e la soluzione diventa “più comunicazione scientifica” o “ricerca sullo scetticismo”. Ma questo non risolve il problema di fondo: come la politica gestisce la sua relazione con la scienza.

La figura dello “scetticismo scientifico” trae la sua forza non tanto dal fatto che sia una descrizione accurata della realtà, quanto dal fatto che “funziona” nel dibattito: permette a chi la usa di darsi una pacca sulla spalla (“Science ist meins!”) e di semplificare questioni complesse. L’autore tedesco propone un cambio di prospettiva:

  • Riconoscere che lo “scetticismo scientifico” come problema generalizzato è, in gran parte, un costrutto del dibattito pubblico, non sempre supportato dai dati sulla fiducia reale.
  • I veri conflitti avvengono all’interfaccia tra scienza e altri sistemi (politica, vita quotidiana), dove il sapere scientifico viene “codificato” in modi diversi. Non si tratta quasi mai di un rifiuto “totale” della scienza, ma di un disaccordo su come la scienza viene usata o interpretata in contesti specifici.
  • Dovremmo quindi concentrarci su questi “conflitti di traduzione” tra scienza e politica, analizzando caso per caso, invece di cercare una fantomatica “essenza” dello scetticismo.

Un bivio stradale con un cartello che indica 'Semplificazione' e un altro che indica 'Analisi Complessa'. Una persona è ferma al bivio, pensierosa. Stile fotorealistico, luce del tardo pomeriggio, obiettivo grandangolare 24mm per enfatizzare la scelta.

Questo non significa che l’alfabetizzazione scientifica non sia importante. Anzi! Come diceva già Dewey un secolo fa, una popolazione scientificamente più consapevole rende il dibattito democratico più ricco e fruttuoso. Ma illudersi che questo elimini il sospetto e il conflitto quando la scienza entra nell’arena politica è, temo, un’utopia. Ogni volta che una scoperta scientifica viene usata per rafforzare una posizione politica, inevitabilmente susciterà diffidenza. È nella natura delle cose, in una democrazia.

In conclusione, la prossima volta che sentiamo parlare di “dilagante scetticismo scientifico”, forse dovremmo fare un respiro profondo e chiederci: stiamo parlando di un reale problema di fiducia nella scienza, o stiamo usando un’etichetta comoda per non affrontare le complessità del rapporto tra sapere esperto, decisioni politiche e vita di tutti i giorni? La risposta, come spesso accade, è probabilmente nel mezzo, ma capire queste sfumature è il primo passo per un dibattito più onesto e costruttivo.

Fonte: Springer

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