Farmaci Psichiatrici: E Se la Strada Giusta Fosse la Tua? Oltre il Sì/No dell’Aderenza
Introduzione: Il Bivio della Cura Psichiatrica
Parliamoci chiaro: quando si tratta di disturbi mentali gravi (DMG), come schizofrenia, disturbo bipolare grave o depressione maggiore severa, i farmaci psichiatrici sono spesso presentati come la via maestra, quasi obbligata. Ci viene detto che sono fondamentali, che dobbiamo prenderli come prescritto. Eppure, la realtà è molto più sfumata. Circa la metà delle persone a cui vengono prescritti questi farmaci, beh, non segue pedissequamente le indicazioni. Ma etichettare tutto come “aderenza” o “non aderenza” è come guardare un arcobaleno e vedere solo il bianco e nero. Non rende giustizia alla complessità delle vite e delle scelte delle persone.
Ecco, quello che mi affascina e che voglio esplorare con voi oggi è proprio questo: cosa succede davvero quando le persone si trovano di fronte a questa scelta? Come navigano l’uso dei farmaci nella loro quotidianità? Uno studio recente ha provato a mappare queste diverse “strade”, questi modelli d’uso, e i risultati sono, a mio parere, illuminanti. Ci mostrano che non esiste un’unica risposta giusta, ma un ventaglio di percorsi personali.
Il Vecchio Dilemma: Aderenza Sì, Aderenza No?
Per anni abbiamo parlato di “compliance”, un termine che sapeva un po’ di imposizione, di rapporto paternalistico medico-paziente. Poi siamo passati ad “aderenza”, una parola che voleva suonare più collaborativa, più centrata sulla persona e sul suo ruolo attivo nelle decisioni terapeutiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce come l’allineamento tra il comportamento della persona (incluso prendere i farmaci) e le raccomandazioni del medico. Sembra semplice, no?
In realtà, è un bel rompicapo. La “non aderenza” può significare tante cose: iniziare in ritardo, non iniziare affatto, prendere una dose diversa, smettere prima del tempo. Questa dicotomia netta tra chi “segue le regole” e chi “non le segue” è stata criticata da più parti. La realtà è più un continuum, con infinite sfumature tra la piena aderenza e la totale interruzione. E misurarla? Ancora più complicato. Ci sono metodi “oggettivi” (contare le pillole, dispositivi elettronici, analisi biologiche) e “soggettivi” (questionari auto-riferiti o compilati dal medico). Questi ultimi, più usati per i DMG, hanno i loro limiti: si basano sui ricordi, possono essere influenzati dal desiderio di apparire “bravi pazienti” e a volte misurano più l’atteggiamento verso i farmaci che l’uso effettivo. Spesso, poi, finiscono per semplificare di nuovo tutto in un “aderente/non aderente” o in una scala numerica che non cattura la vera complessità.
Ascoltare le Storie: Quattro Percorsi nell’Uso dei Farmaci
Proprio per superare queste limitazioni, uno studio qualitativo ha deciso di fare una cosa tanto semplice quanto rivoluzionaria: chiedere direttamente alle persone. Sedici individui con diagnosi di DMG, che usavano farmaci da almeno un anno, hanno raccontato le loro esperienze in interviste semi-strutturate. Analizzando queste narrazioni, i ricercatori hanno identificato quattro “tipi ideali”, quattro modelli principali di utilizzo dei farmaci psichiatrici. È importante sottolineare che questi non sono gabbie rigide: le persone possono spostarsi da un modello all’altro nel corso del loro percorso di recupero.
1. Aderenza Senza Dubbi: La Via della Fiducia Totale
Immaginate Daniel (nome di fantasia), 22 anni, con diagnosi di disturbo schizoaffettivo. Dopo un periodo iniziale di aggiustamenti, ha trovato il “cocktail” giusto di farmaci. Li prende ogni giorno, senza porsi troppe domande. “I farmaci riducono i miei sintomi, sono più equilibrato”, dice. Se salta una dose, è per dimenticanza, non per scelta. Questo gruppo (3 partecipanti nello studio) segue le prescrizioni alla lettera, senza conflitti interiori. Spesso, queste persone vivono in strutture residenziali supportate o partecipano a programmi di inserimento lavorativo protetto. Questo potrebbe indicare un maggior bisogno di supporto e un contatto più stretto (e forse una maggiore dipendenza) dal sistema sanitario, che tende a incoraggiare l’aderenza totale. Potrebbe anche essere che, per accedere a certi servizi, l’aderenza sia una condizione implicita o esplicita.
2. Aderenza Consapevole: Trovare la Propria Misura Dopo Tentativi
Qui troviamo persone come Anna (nome di fantasia), 30 anni, con disturbo bipolare. All’inizio, si sentiva “spenta” dai farmaci, soffriva di effetti collaterali, non si riconosceva più. “La mia identità era cambiata, qualcosa si era rotto”, racconta. Non era soddisfatta, sentiva che qualcosa non andava. La svolta è arrivata cambiando psichiatra e instaurando un buon rapporto terapeutico. Ha iniziato a negoziare, a provare a ridurre le dosi, fino a trovare un equilibrio che sentiva suo. Ora è pienamente aderente, ma è un’aderenza frutto di un percorso, di una scelta attiva e consapevole. “Oggi è solo una piccola pillola che mi tiene sotto controllo e supporta il mio recupero”. Questo gruppo (4 partecipanti) mostra spesso maggiore indipendenza (lavorativa, abitativa) e una maggiore autoefficacia nel gestire la propria cura.
3. Uso Flessibile nel Tempo: Navigare tra Alti e Bassi
Questo è forse il gruppo che più mette in crisi le vecchie etichette (6 partecipanti). Persone come Lili (nome di fantasia), 52 anni, bipolare. Il suo percorso è fatto di tentativi, aggiustamenti continui. A volte riduce i farmaci, a volte li sospende, magari li prende solo quando i sintomi si riacutizzano. Cerca attivamente soluzioni alternative che risuonino di più con le sue convinzioni: medicina alternativa, spiritualità. Spesso rifiuta spiegazioni puramente biologiche per il suo disturbo, abbracciando visioni più psicosociali. Lili ha lottato con la vergogna, lo stigma, sentendosi impotente nel sistema. Poi, leggendo, informandosi, frequentando gruppi di pari e con la psicoterapia, ha iniziato a riprendere in mano le redini. “Oggi gestisco io la mia malattia. Decido io chi sono i miei terapeuti, come voglio che sia la mia cura. Sono io al comando”. Questo modello “flessibile” mostra quanto sia limitante misurare l’aderenza con un singolo numero. L’uso dei farmaci varia in base alle lotte del momento, all’evoluzione della malattia e del percorso di recupero personale.
4. Scalare e Smettere: La Scelta dell’Autonomia
Infine, c’è chi sceglie di interrompere completamente l’assunzione di farmaci (3 partecipanti). John (nome di fantasia), 47 anni, schizoaffettivo, non prende farmaci da tre anni. Racconta di esperienze difficili: effetti collaterali pesanti, la sensazione che i farmaci cambiassero la sua identità, ostacolando il suo recupero. Ha sviluppato un atteggiamento negativo verso i farmaci e dubbi sul sistema sanitario. Si descrive come un “non conformista”. Smettere ha richiesto forza di volontà, il supporto significativo della famiglia (tutti in questo gruppo erano sposati o in una relazione stabile, un dato interessante!) e la convinzione che fosse possibile. Riuscirci è stato un momento di grande empowerment. “Credo che sia una scelta della persona: come vuole andare in bicicletta e vivere la sua vita”, dice John, usando una metafora efficace. “Ascolto le opinioni dei medici, ma sono io il responsabile della mia qualità di vita”. Questa scelta sfida l’idea che l’aderenza sia l’unica opzione razionale e sottolinea come, per alcuni, smettere possa avere esiti positivi a lungo termine, specialmente in termini di funzionamento sociale e riduzione degli effetti collaterali, anche se il rischio di ricadute sintomatiche può aumentare.
Cosa Ci Insegnano Questi Percorsi? Implicazioni per Tutti Noi
Questa mappatura dei diversi modelli d’uso ci dice molto. Prima di tutto, forse dovremmo davvero iniziare a usare un linguaggio diverso. Parlare di “modelli d’uso” invece che di “aderenza/non aderenza” ci aiuterebbe a riconoscere la diversità e la complessità delle esperienze individuali. In secondo luogo, la ricerca futura dovrebbe combinare i metodi quantitativi con quelli qualitativi, come questo studio, per catturare davvero l’esperienza soggettiva delle persone. Questi quattro profili potrebbero essere un punto di partenza utile, se validati su campioni più ampi.
Terzo, e fondamentale: dobbiamo ricordarci che le persone non sono statiche. Possono muoversi tra questi modelli nel tempo. Questo significa che gli interventi terapeutici devono essere flessibili, personalizzati e continuamente adattati alle esigenze, alle convinzioni e alle preferenze che cambiano. È cruciale promuovere la decisione condivisa tra medico e paziente, esplorare apertamente le opzioni, pesare insieme i pro e i contro dei farmaci, senza giudizi. Significa anche riconsiderare quelle politiche che legano l’accesso ai servizi di supporto alla salute mentale alla piena aderenza ai farmaci. Forse è ora di offrire programmi educativi più completi sui farmaci, sulle alternative terapeutiche e sulle tecniche di autogestione.
In definitiva, “scegliere la propria strada” nell’uso dei farmaci psichiatrici non è un segno di ribellione o irrazionalità, ma spesso un processo complesso e profondamente personale nel viaggio verso il recupero. Ascoltare queste storie, comprendere questi diversi percorsi, è il primo passo per costruire un sistema di cura che sia veramente di supporto, rispettoso e centrato sulla persona nella sua interezza.
Fonte: Springer