Immagine concettuale che mostra uno scanner intraorale digitale sospeso a mezz'aria, con un fascio di luce blu che collega due ambienti distinti ma fusi: a sinistra, un moderno e luminoso studio dentistico con poltrona e attrezzature; a destra, una sala settoria più sobria e scientifica con tavolo autoptico in acciaio. Obiettivo grandangolare 24mm per includere entrambi gli scenari, focus sullo scanner come ponte tecnologico, illuminazione contrastante tra i due ambienti.

Dallo Studio Dentistico alla Sala Settoria: Scanner Intraorali per l’Identificazione Postmortem?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che potrebbe sembrare uscito da una serie TV crime, ma che in realtà tocca un punto cruciale all’incrocio tra odontoiatria e medicina legale. Immaginate la scena: viene ritrovato un corpo, magari in condizioni non proprio ottimali a causa del tempo o di eventi traumatici. Come facciamo a dargli un nome? Qui entra in gioco l’identificazione postmortem, un compito fondamentale della medicina forense.

Secondo l’Interpol, ci sono tre metodi principali, i cosiddetti identificatori primari, per dare un’identità certa a una persona deceduta: il confronto del DNA, le impronte digitali e, appunto, lo stato dentale. Pensateci: i denti sono incredibilmente resistenti e unici per ognuno di noi, grazie a cure dentistiche, otturazioni, ponti, impianti o anche solo alla loro disposizione naturale. Diventano fondamentali soprattutto quando non abbiamo un campione di DNA di confronto o le impronte digitali non sono utilizzabili, magari a causa dello stato di decomposizione avanzato del corpo.

L’Importanza dei Denti nell’Identificazione

Il confronto tra lo stato dentale registrato prima della morte (dati antemortem, quelli che il nostro dentista conserva) e quello rilevato dopo la morte (postmortem) può essere la chiave di volta. Tradizionalmente, l’esame postmortem si fa… beh, alla vecchia maniera: ispezione visiva diretta nella bocca del defunto, usando specchietti, sonde e magari una lampada UV per scovare otturazioni “invisibili”. Un lavoro non sempre facile, specialmente se c’è rigidità cadaverica (rigor mortis) o se il corpo è molto deteriorato. A volte si ricorre a radiografie, ma anche qui ci sono limiti logistici in una sala settoria. Si è anche provato a usare le scansioni TC postmortem (pmCT), ormai quasi uno standard, ma si è visto che non sono abbastanza precise per identificare con certezza materiali di otturazione o corone. Insomma, l’esame diretto in bocca resta spesso insostituibile.

La Rivoluzione Digitale Bussa alla Porta della Sala Settoria

E qui arriva il bello. Negli studi dentistici e ortodontici moderni, sta prendendo sempre più piede una tecnologia affascinante: lo scanner intraorale. Addio alle fastidiose paste per prendere le impronte! Con questi dispositivi, si ottiene un’immagine 3D super dettagliata della bocca in pochi minuti. Questi dati digitali servono per pianificare trattamenti, creare apparecchi, corone, ponti… tutto in modo virtuale o con stampe 3D.

La domanda sorge spontanea: se questa tecnologia è così efficace sui vivi, potremmo usarla anche sui defunti per creare lo stato dentale postmortem? Immaginate le potenzialità: un modello 3D preciso, archiviabile digitalmente, confrontabile magari con scansioni antemortem fatte dal dentista. Potrebbe essere un passo avanti enorme, soprattutto considerando che, grazie a una migliore igiene orale, le persone hanno sempre meno lavori dentali “vistosi”, rendendo il classico schema dentale meno informativo di un tempo.

Primo piano di uno scanner intraorale moderno, simile al TRIOS 3, tenuto da una mano con guanto in lattice blu, mentre scansiona un modello dentale anatomico dettagliato. L'ambiente è pulito e illuminato come uno studio dentistico. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sulla punta dello scanner e sui denti del modello, illuminazione controllata da studio.

La Prova sul Campo: Scanner Intraorali alla Prova dei Fatti

Proprio per rispondere a questa domanda, è stato condotto uno studio interessante (quello da cui prendo spunto per raccontarvi questa storia). Abbiamo preso uno scanner intraorale specifico, il TRIOS 3 della 3Shape, e lo abbiamo portato direttamente… in sala settoria! Lo abbiamo usato su 24 cadaveri, in condizioni diverse: alcuni ben conservati, altri in avanzato stato di decomposizione, con infestazione da larve, uno recuperato dall’acqua, uno carbonizzato, persino uno con una rara sindrome ossea (Camurati-Engelmann) che limitava l’apertura della bocca. Per ogni caso, abbiamo creato un profilo dentale digitale con lo scanner e, parallelamente, abbiamo fatto la registrazione tradizionale “manuale”. Poi abbiamo confrontato i due metodi.

L’obiettivo era capire: funziona? Quali sono i vantaggi? E quali gli ostacoli?

Cosa Abbiamo Scoperto: Luci e Ombre

Allora, i risultati sono stati… promettenti, ma con qualche “ma”.

I lati positivi:

  • Modelli 3D dettagliati: Lo scanner ha generato modelli tridimensionali sui quali era possibile identificare tutto ciò che si vede anche a occhio nudo: denti mancanti, malposizioni, otturazioni, corone, ponti. Questi modelli sono perfetti per essere confrontati con le vecchie cartelle dentistiche o le radiografie panoramiche (OPG).
  • Potenziale velocità: Anche se nel nostro studio i tempi variavano (eravamo “principianti” con lo strumento in questo contesto!), il produttore afferma che un operatore esperto può scansionare un’intera bocca in 60 secondi. Se fosse vero, sarebbe un risparmio di tempo enorme rispetto al metodo tradizionale, specialmente con dentature complesse.
  • Nuove frontiere per l’identificazione: La vera chicca è la possibilità, avendo a disposizione scansioni antemortem (che diventeranno sempre più comuni), di sovrapporre i modelli 3D pre e post mortem con precisione millimetrica. Questo aprirebbe scenari identificativi molto più potenti del semplice confronto dello schema dentale.
  • Archiviazione digitale: Addio a ingombranti modelli in gesso. I file digitali, sebbene pesanti, sono molto più facili da archiviare e condividere.

Gli ostacoli e le sfide:

  • Accesso limitato: La dimensione della punta dello scanner e del manipolo stesso si è rivelata un problema in caso di spazio ridotto nella bocca, dovuto a rigor mortis, anatomia particolare o traumi (come nel caso del corpo carbonizzato o con la sindrome di Camurati-Engelmann). A volte è stato impossibile scansionare completamente le zone posteriori.
  • Condizioni del corpo: La decomposizione avanzata, soprattutto con forte infestazione da larve, ha rallentato il processo. Anche i denti resi mobili dalla decomposizione dei tessuti molli hanno creato difficoltà.
  • Superfici riflettenti: Alcuni materiali usati per otturazioni o corone riflettono la luce dello scanner, creando artefatti nel modello 3D. Questo problema, però, è noto anche in ambito clinico e spesso risolvibile integrando foto ad alta definizione scattate dallo stesso scanner.
  • Costi: Inutile negarlo, l’attrezzatura e le licenze software hanno un costo iniziale non indifferente, a cui si aggiungono i materiali di consumo. Bisognerebbe valutare se il potenziale risparmio di tempo (e quindi di personale) possa compensare l’investimento nel lungo periodo.
  • Curva di apprendimento: Sebbene il software fosse intuitivo dopo una breve introduzione, serve pratica per diventare veloci ed efficienti, soprattutto nelle condizioni difficili di una sala settoria.

Schermata di un computer in un ambiente simile a un laboratorio forense, che mostra un modello dentale 3D postmortem generato da uno scanner intraorale. Il modello evidenzia chiaramente otturazioni e un dente mancante. Accanto al monitor, su un vassoio metallico, ci sono strumenti odontoiatrici forensi come sonde e specchietti. Obiettivo prime 50mm, profondità di campo media che mantiene a fuoco sia lo schermo che gli strumenti, illuminazione funzionale da laboratorio.

Quindi, Qual è il Verdetto?

Possiamo dire che gli scanner intraorali sono adatti, a determinate condizioni, per generare uno stato dentale postmortem. Non sono (ancora?) la soluzione a tutti i problemi e probabilmente non sostituiranno del tutto l’esame visivo tradizionale, ma rappresentano un complemento potentissimo. Offrono vantaggi in termini di dettaglio, documentazione digitale e, soprattutto, aprono la porta a nuovi metodi di confronto basati su modelli 3D, che potrebbero rivelarsi decisivi man mano che le impronte digitali dentali diventeranno la norma negli studi dentistici.

Pensate a situazioni complesse come disastri di massa, dove identificare rapidamente decine di vittime è cruciale. Avere uno strumento che velocizza la raccolta dati e permette confronti digitali precisi potrebbe fare davvero la differenza.

Certo, ci sono sfide da superare – migliorare l’ergonomia degli scanner per l’uso postmortem, affinare le tecniche in caso di decomposizione, gestire i costi e lo storage dei dati. Ma la strada sembra tracciata. La tecnologia che usiamo per curare i nostri sorrisi potrebbe diventare un alleato prezioso per dare un nome e restituire dignità a chi non c’è più. Un ponte affascinante tra lo studio dentistico e la sala settoria.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *