Crescere Fuori Casa: L’Ombra Lunga sulla Salute Mentale dei Giovani Adulti
Ragazzi, parliamoci chiaro. Crescere è già un bel casino di per sé, ma immaginate di farlo passando parte della vostra adolescenza in una comunità residenziale per minori (quelle che in gergo tecnico chiamano RYC, Residential Youth Care). Non è esattamente una passeggiata. Questi ragazzi e ragazze si portano spesso sulle spalle un bagaglio pesantissimo di avversità, traumi, instabilità. E la domanda che mi sono posto, leggendo uno studio recente, è: cosa succede dopo? Quando escono da lì e diventano giovani adulti, come sta la loro salute mentale?
Uno studio norvegese ha provato a rispondere, seguendo per 10 anni un gruppo di giovani che avevano vissuto in queste strutture. I risultati? Beh, preparatevi, perché sono tosti.
Un Quadro Preoccupante: La Prevalenza dei Disturbi Mentali
Lo studio ha seguito questi ragazzi in due momenti: una prima volta (T1) quando erano ancora adolescenti in comunità, e una seconda volta (T2) dieci anni dopo, ormai giovani adulti. Già al T1, la situazione era allarmante: il 76% di loro soddisfaceva i criteri per almeno un disturbo mentale. Tanti, vero? Ma la vera botta arriva al T2.
Dieci anni dopo, la percentuale è rimasta incredibilmente alta: il 77,6% dei partecipanti aveva ancora almeno un disturbo mentale. Questo ci dice una cosa fondamentale: i problemi di salute mentale che emergono durante l’adolescenza in questo contesto tendono a persistere, a diventare cronici nell’età adulta. Non è una fase passeggera per molti di loro.
E non parliamo di un singolo problema isolato. La comorbidità, cioè la presenza di più disturbi contemporaneamente, è la regola più che l’eccezione. Il numero medio di disturbi per persona era quasi 2 (1.9 per la precisione).
Quali sono i Disturbi Più Comuni?
Se scendiamo nel dettaglio, vediamo quali sono i fantasmi che perseguitano più spesso questi giovani adulti:
- Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD): ben il 42,1%. Un numero enorme, che riflette probabilmente le esperienze traumatiche vissute prima o durante la permanenza in comunità.
- Agorafobia: 33,3%. La paura degli spazi aperti o affollati.
- Fobia Sociale: 27,9%. L’ansia legata alle interazioni sociali.
- Episodio Depressivo Maggiore: 23,1%.
- Fobia Specifica: 21,1%.
- ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività): 19,2%.
Colpisce anche la prevalenza di disturbi considerati più gravi, come il Disturbo Bipolare (4,1%) e i Disturbi Psicotici (3,4%). Questi numeri sono drasticamente più alti rispetto alla popolazione generale norvegese, dove si stima che circa il 16-22% degli adulti abbia un disturbo mentale. Parliamo di una differenza abissale.
Perché Questa Situazione? Le Radici del Problema
Non ci vuole un genio per capire che chi finisce in una comunità residenziale spesso non ha avuto un’infanzia serena. Lo studio conferma che questi giovani hanno un carico elevatissimo di avversità infantili: maltrattamenti, abusi fisici o sessuali, violenza assistita, trascuratezza emotiva o fisica, instabilità dei collocamenti, percorsi scolastici interrotti. Al T1, il 71% aveva riportato esperienze di violenza fisica, abuso sessuale o violenza assistita. È un terreno fertile per lo sviluppo di problemi psicologici.
Il PTSD, l’ansia, la depressione sono spesso le cicatrici emotive di queste esperienze. Ma lo studio evidenzia anche la presenza di disturbi psicotici e bipolari. Qui la faccenda si complica: c’è una componente genetica, certo, ma le esperienze traumatiche infantili sono riconosciute come fattori di rischio ambientali importanti. Questi ragazzi potrebbero trovarsi in una “doppia sfortuna”: una predisposizione genetica unita a un ambiente infantile devastante.
Un altro aspetto interessante riguarda le differenze di genere. Le donne nello studio mostravano tassi più alti di PTSD e disturbi da somatizzazione, mentre gli uomini erano sovrarappresentati nei casi di disturbo bipolare, abuso e dipendenza da sostanze. Queste differenze rispecchiano in parte tendenze note, ma nel contesto di questa popolazione vulnerabile assumono un peso specifico.
Stabilità nel Tempo: Un Problema che Non Svanisce
La cosa forse più preoccupante è la stabilità di questi disturbi nel tempo. Solo 5 partecipanti (su 157) non avevano diagnosi né al T1 né al T2. La maggior parte di chi aveva una diagnosi da adolescente, ce l’aveva ancora da giovane adulto. Questo suggerisce che, a livello di gruppo, il rischio elevato persiste, ma anche che, a livello individuale, la psicopatologia tende a cronicizzarsi.
Questo non significa che le diagnosi specifiche rimangano identiche. La comorbidità è dinamica, un disturbo può sfociare in un altro o aggiungersene di nuovi. Ma il carico complessivo di sofferenza psicologica rimane altissimo.
Un Barlume di Speranza: Il Ruolo dell’Istruzione
In mezzo a tanti dati sconfortanti, emerge un fattore protettivo. Tra i ragazzi che avevano una diagnosi al T1, l’unico elemento associato all’assenza di diagnosi al T2 era l’aver completato la scuola superiore. Né il sesso, né l’età del primo inserimento in comunità, né l’aver ricevuto supporto post-comunità (“aftercare”) sembravano fare una differenza statisticamente significativa.
Questo risultato è potentissimo. Perché l’istruzione fa la differenza? Le ipotesi sono diverse. Potrebbe essere che chi sta peggio a livello psicologico semplicemente non ce la fa a studiare e abbandona. Oppure, chi riesce a completare gli studi ha magari risorse personali maggiori (intelligenza, resilienza, determinazione) o un supporto sociale migliore che lo protegge anche dai disturbi mentali.
Ma c’è anche una terza via, più ottimistica: forse l’istruzione stessa, il percorso scolastico completato, è un fattore protettivo. Fornisce strumenti, competenze, autostima, apre porte lavorative, struttura la vita. Se così fosse, investire per aiutare questi ragazzi a non abbandonare la scuola, a completare il loro percorso formativo, potrebbe essere una delle strategie preventive più efficaci per la loro salute mentale futura.
Il fatto che l’ “aftercare” (il supporto offerto dopo l’uscita dalla comunità) non sia risultato significativo è un punto su cui riflettere. Forse i servizi offerti non sono abbastanza efficaci o personalizzati? O forse è difficile misurarne l’impatto reale?
Limiti dello Studio e Prospettive Future
Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Il tasso di risposta al follow-up è stato del 52%, il che significa che non sappiamo come stia l’altra metà dei partecipanti iniziali. Anzi, chi ha partecipato al T2 aveva in media più disturbi al T1 rispetto a chi non ha partecipato, il che potrebbe indicare una sovrastima del problema nel campione finale (anche se riduce il rischio di sottostima!). La dimensione del campione ha limitato alcune analisi. Inoltre, le diagnosi al T2 sono state fatte per telefono, e c’è sempre una certa difficoltà nel distinguere sintomi sovrapponibili tra disturbi diversi (es. ADHD, bipolare, uso di sostanze).
Nonostante ciò, lo studio è prezioso. È uno dei pochi a seguire questi ragazzi nel lungo periodo con valutazioni diagnostiche strutturate. Il coinvolgimento di rappresentanti degli utenti (“user representatives”) in tutte le fasi è un punto di forza importante.
Cosa Possiamo Fare? Un Appello Urgente
Quello che emerge è un quadro tosto, non giriamoci intorno. I giovani adulti che escono da esperienze di comunità residenziale hanno un rischio altissimo di soffrire di disturbi mentali, spesso multipli e gravi, che persistono nel tempo.
Cosa significa questo per noi, come società? Significa che non possiamo abbandonarli a loro stessi una volta che varcano la soglia della maggiore età. Hanno bisogno di un accesso garantito a servizi di salute mentale di alta qualità, specializzati nel trattare le conseguenze a lungo termine delle avversità infantili.
Ma non basta curare, bisogna prevenire. E qui torna prepotente il ruolo dell’istruzione. Supportare questi ragazzi nel completare la scuola superiore potrebbe essere un investimento cruciale per il loro futuro benessere psicologico. Servono interventi efficaci per migliorare i loro risultati scolastici, un’area dove la ricerca è ancora limitata.
La prevenzione e l’intervento precoce devono essere una priorità per i giovani a così alto rischio. Ignorare il loro carico di sofferenza non è solo ingiusto, è miope. Investire su di loro, sulla loro salute mentale e sulla loro istruzione, è un dovere sociale e, alla lunga, un vantaggio per tutti.
Fonte: Springer