Ritratto fotografico con obiettivo da 35mm di un gruppo eterogeneo di adolescenti svedesi (ragazzi e ragazze, diverse etnie) in un parco cittadino a Stoccolma, guardano verso l'obiettivo con espressioni pensierose ma resilienti. Luce naturale morbida, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo urbano. Duotone leggero blu e grigio per un'atmosfera riflessiva ma speranzosa.

Salute Mentale Adolescenti in Svezia: Un Grido d’Allarme Inascoltato?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, purtroppo, è diventato sempre più scottante: la salute mentale e il benessere degli adolescenti. Prendiamo come esempio la Svezia, un paese che spesso immaginiamo all’avanguardia. Eppure, anche lì, i ragazzi tra i 10 e i 19 anni stanno affrontando un aumento preoccupante di problemi come ansia, depressione, ideazione suicidaria e autolesionismo. Un vero e proprio campanello d’allarme.

Negli ultimi anni, per fortuna, se ne parla di più. L’attenzione su questo tema è cresciuta, complici anche eventi globali come la pandemia, la crisi climatica e le guerre, che hanno inevitabilmente lasciato un segno sui più giovani. Persino iniziative di grande impatto mediatico, come rinominare la Stockholm Globe Arena in “Avicii Arena” in memoria del DJ scomparso tragicamente, hanno contribuito a tenere alta l’attenzione.

Ma ecco il punto dolente: tutta questa consapevolezza, tutto questo parlarne, sembra non essersi ancora tradotta in azioni concrete ed efficaci. Mancano finanziamenti adeguati e, soprattutto, manca un’azione collettiva che metta davvero i giovani al centro. Insomma, si parla tanto, ma si fa ancora troppo poco per cambiare davvero le cose.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante (trovate il link alla fine!) che ha cercato di scavare a fondo per capire quali siano le vere barriere che impediscono alla Svezia di passare dalle parole ai fatti sulla salute mentale degli adolescenti (che per comodità chiameremo AMH, dall’inglese Adolescent Mental Health). E le lezioni che possiamo trarre sono preziose, non solo per la Svezia, ma per tutti noi.

Il Mistero dei Dati Mancanti (e di Quelli che Abbiamo)

Una delle prime cose che salta all’occhio è la carenza di dati solidi. Sembra strano, vero? Pensiamo alla Svezia come a un paese super organizzato, eppure lo studio rivela che mancano dati completi e coordinati sull’AMH, specialmente a livello di popolazione. Sappiamo che i problemi ci sono, ma quantificarli precisamente, capire *cosa funziona* davvero in termini di prevenzione e promozione del benessere mentale, è ancora difficile.

Certo, la conoscenza generale sta aumentando, ma quando si tratta di avere prove scientifiche solide per guidare gli investimenti e le politiche, siamo ancora indietro. Gli esperti intervistati nello studio sottolineano come le poche iniziative esistenti raramente vengano monitorate e valutate in modo indipendente per capire se portano a risultati concreti. E c’è un’enorme necessità di dati disaggregati, che tengano conto delle differenze legate a fattori come il reddito, la provenienza, lo status migratorio, l’orientamento sessuale, l’identità di genere (LGBTQIA+), le disabilità e persino l’impatto del razzismo o del cambiamento climatico.

Le opportunità per migliorare ci sarebbero: usare meglio i dati già esistenti (da scuole, servizi sanitari e sociali), implementare strumenti standardizzati a livello internazionale, finanziare la ricerca sull’implementazione pratica degli interventi e, fondamentale, responsabilizzare chi deve raccogliere e condividere questi dati. I ragazzi stessi, durante le discussioni, hanno sollevato problemi legali, come i limiti nel raccogliere dati dai minorenni senza consenso parentale o le difficoltà nella condivisione delle informazioni tra diverse agenzie. Serve più trasparenza e collaborazione anche qui.

Fotografia macro con obiettivo da 60mm di un grafico a barre frammentato e sfocato su uno schermo di computer, con illuminazione controllata e alta definizione, a simboleggiare la mancanza di dati chiari e coordinati sulla salute mentale degli adolescenti.

Parole, Parole, Parole: Come Definiamo il Problema?

Un altro nodo cruciale riguarda il modo in cui parliamo di AMH. C’è una bella differenza, sapete? Da un lato, c’è chi si concentra sulla “malattia mentale” (mental ill-health), vista come un problema clinico che richiede diagnosi e cure mediche. Dall’altro, c’è chi preferisce parlare di “salute mentale” (mental health) come parte integrante di un continuum di salute e benessere. Quest’ultima visione, secondo molti intervistati e anche secondo i ragazzi coinvolti nello studio, è molto più utile per promuovere la prevenzione e l’azione collettiva.

Fortunatamente, sembra che la conversazione si stia evolvendo. Anche documenti recenti iniziano a parlare di rafforzare l’AMH come una risorsa per lo sviluppo individuale e sociale, non solo come un problema da curare. È un cambio di prospettiva importante: passare dal mettere solo “pezze” quando il danno è fatto, a costruire fondamenta solide per il benessere fin dall’inizio.

I giovani stessi chiedono a gran voce di poter “possedere la loro narrativa”, di usare un linguaggio positivo che sottolinei i benefici dell’investire in AMH per tutti. C’è però il rischio, come fa notare qualcuno nello studio, di “bluewashing”: usare il tema della salute mentale un po’ come una bandiera di moda, senza un impegno reale, un po’ come si fa col “greenwashing” per l’ambiente. Dobbiamo stare attenti a questo.

Un aspetto positivo è che lo stigma su alcuni disturbi come ansia e depressione sembra diminuire, anche se purtroppo l’ideazione suicidaria e il suicidio rimangono argomenti tabù e fortemente stigmatizzati. C’è ancora tanta strada da fare per creare un linguaggio comune e aperto su tutti gli aspetti della salute mentale.

Troppi Cuochi (Senza Ricetta) Rovinano la Broda?

Passiamo ora al panorama degli attori coinvolti. E qui la situazione si fa complessa. Ci sono tantissimi soggetti che, a vario titolo, si occupano di AMH in Svezia:

  • Adolescenti e famiglie
  • Governo centrale e agenzie nazionali
  • Regioni (responsabili della sanità)
  • Comuni (responsabili di scuole e servizi sociali)
  • Organizzazioni della società civile (CSO) e reti
  • Settore privato
  • Scuole e personale scolastico
  • Fornitori di servizi sanitari e sociali (dalla cure primarie alla psichiatria infantile)
  • Fondazioni e enti di beneficenza
  • Consigli di ricerca
  • Media (tradizionali e social) e influencer

Tanta gente, vero? Il problema, come emerge chiaramente dallo studio, è che questo panorama è estremamente frammentato. Pochi hanno l’AMH come focus principale, e mancano una leadership forte e meccanismi chiari di responsabilità (accountability). Chi deve fare cosa? Chi risponde dei risultati? Spesso non è chiaro.

Questa frammentazione porta a una scarsa azione collettiva e a una mancanza di coordinamento tra livello nazionale, regionale e comunale, che pure avrebbero mandati complementari. Si invoca da più parti un piano nazionale specifico per l’AMH, con budget dedicati e ruoli ben definiti. Addirittura, si guarda a paesi vicini come la Norvegia, dove una governance statale più forte sembra permettere decisioni più dirette ed efficaci.

Un esempio concreto di questa frammentazione? Le cure di “prima linea” per problemi mentali lievi o moderati. Spesso mancano o sono mal coordinate, lasciando i ragazzi in attesa per la psichiatria specialistica o costringendo le CSO, gli insegnanti, gli infermieri scolastici a cercare di tappare i buchi, magari senza le risorse o le competenze adeguate. I ragazzi stessi sottolineano la necessità di un accesso più facile e coordinato, magari ispirandosi a modelli come gli ‘Headspace’ danesi (centri “one-stop-shop” per giovani) o alla riforma finlandese che garantisce accesso alle cure in tempi brevi.

Fotografia grandangolare (10-24mm) di una sala riunioni luminosa ma caotica, con tavoli disposti in modo disordinato e rappresentanti di diversi settori (sanità, scuola, sociale, governo) che sembrano parlare tra loro ma senza un vero coordinamento, a simboleggiare la frammentazione degli stakeholder.

E poi c’è il tema cruciale del coinvolgimento significativo degli adolescenti. Non basta ascoltarli, bisogna dar loro potere decisionale. Come sottolineato durante la consultazione dello studio, l’AMH è una questione di diritti umani e di democrazia. Come possono i minori di 18 anni, che non votano, influenzare davvero le decisioni che riguardano il loro benessere? Si è persino ipotizzata una sorta di funzione “whistle-blower” per permettere ai ragazzi di segnalare le carenze del sistema.

Muri Invisibili: Quando Scuola, Sanità e Sociale Non Si Parlano

L’ultimo grande ostacolo è la mancanza di collaborazione multidisciplinare e multisettoriale. È un problema vecchio, se ne parla da anni, ma i “silos” persistono. Governo, regioni, comuni, scuole, sanità, servizi sociali… ognuno sembra lavorare per conto suo, con budget separati, obiettivi diversi, a volte persino leggi e incentivi contrastanti.

Il risultato? Un sistema inefficiente, difficile da navigare, soprattutto per i ragazzi e le loro famiglie che spesso non sanno a chi rivolgersi e si ritrovano a fare da “coordinatori” improvvisati, rimbalzati da un servizio all’altro, costretti a raccontare la propria storia più e più volte senza ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno.

Le iniziative per migliorare la collaborazione ci sono state, ma spesso sono state progetti a breve termine, senza intaccare le barriere strutturali e organizzative. Manca il tempo, mancano le risorse dedicate, manca la priorità politica per far collaborare davvero i diversi settori. La nuova strategia nazionale svedese per la salute mentale sottolinea questa necessità, ma serviranno azioni concrete.

Ci sono esempi positivi, come nel comune di Västerbotten, dove psichiatria, cure primarie, scuole e servizi sociali collaborano attivamente. E le “cliniche giovanili” (ungdomsmottagningar), che offrono vari servizi sotto lo stesso tetto, sono viste come un modello promettente, anche se la loro diffusione e il loro mandato non sono ancora standardizzati a livello nazionale.

Un ruolo chiave, ovviamente, ce l’ha la scuola. È il luogo dove si possono raggiungere quasi tutti gli adolescenti. Ma anche qui c’è ambiguità. Da un lato, l’ambiente scolastico può essere fonte di stress e disagio (pressione per i risultati, bullismo, disuguaglianze). Dall’altro, è una piattaforma ideale per interventi di promozione della salute mentale. Il rischio, come fa notare un adolescente nello studio, è di sovraccaricare le scuole di responsabilità senza dare loro le risorse e il supporto necessari. Non possono risolvere da sole tutti i problemi della società.

Allora, Che Si Fa? Idee per Svoltare

Ok, abbiamo visto le barriere. Ma lo studio non si ferma qui, anzi, identifica anche delle opportunità concrete per superarle. Cosa serve, quindi, per passare finalmente all’azione?

  • Ricercatori: Devono concentrarsi sul migliorare i dati e le evidenze, soprattutto per capire cosa funziona davvero nella prevenzione e promozione dell’AMH.
  • Tutti gli stakeholder (specialmente chi promuove l’AMH): Devono mettersi d’accordo su una definizione più ampia e positiva dell’AMH, guidati dai giovani stessi, usando una narrativa che enfatizzi i benefici dell’investimento in questo campo.
  • Decisori politici, finanziatori e ricercatori: Devono rafforzare la leadership, la responsabilità e il coinvolgimento reale degli adolescenti. Devono promuovere attivamente la collaborazione tra discipline e settori diversi.
  • Sistema nel suo complesso: Servono servizi sanitari e sociali ben coordinati, centrati sui giovani e sulle loro esigenze, imparando dalle buone pratiche esistenti sia in Svezia che all’estero (pensiamo alle cliniche giovanili potenziate e standardizzate).

Serve un cambiamento trasformazionale. Non basta qualche aggiustamento qua e là. Bisogna ripensare il modo in cui finanziamo e organizziamo il supporto per la salute mentale dei nostri ragazzi, mettendo la collaborazione e le loro voci al centro di tutto.

Insomma, la Svezia ci offre uno spaccato interessante, con sfide che probabilmente ritroviamo, in forme diverse, anche qui da noi. L’aumento della consapevolezza è un primo passo fondamentale, ma ora è il momento di agire, con coraggio e visione, per garantire che il grido d’allarme degli adolescenti non rimanga inascoltato.

Fonte: Springer

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