Salute Mentale Adolescenti Neri e Latini: Un Percorso a Ostacoli Verso l’Aiuto
Ragazzi, parliamoci chiaro: l’adolescenza è già di per sé un periodo complicato, pieno di alti e bassi emotivi. Se poi ci aggiungiamo ansia e depressione, il quadro si fa ancora più difficile. E se, come se non bastasse, fai parte di una comunità – come quella Nera o Latina – che storicamente fatica ad accedere alle cure per la salute mentale, beh, la salita diventa davvero ripida. Recentemente mi sono imbattuto in uno studio qualitativo affascinante che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio questo: le difficoltà e le speranze degli adolescenti Neri e Latini di Milwaukee, Wisconsin, nel cercare aiuto per ansia e depressione, soprattutto nel contesto stravolto dalla pandemia di COVID-19. E quello che emerge è un quadro complesso, fatto di barriere sistemiche, stigma culturale, ma anche di incredibile resilienza e desiderio di stare meglio.
L’Ombra Lunga del COVID-19 sulla Salute Mentale
Lo studio conferma quello che un po’ tutti abbiamo percepito: la pandemia ha picchiato duro sulla salute mentale dei più giovani. Immaginatevi: isolamento sociale forzato, ore passate davanti agli schermi tra social media e videogiochi (che non sempre aiutano, anzi!), la paura del virus, la perdita di persone care, magari anche l’aumento della violenza nel proprio quartiere o esperienze di discriminazione razziale. Un mix esplosivo. Una terapeuta intervistata nello studio parla di una vera e propria “spirale” negativa per la salute mentale degli adolescenti durante l’anno scolastico 2021-2022. Addirittura, ha visto triplicare i casi di ansia e depressione tra i ragazzi che seguiva. E non dimentichiamoci che anche lo stress dei genitori si riversa inevitabilmente sui figli. Curiosamente, però, per una ragazza intervistata, la didattica a distanza è stata una sorta di sollievo dall’ansia sociale e dai conflitti con i compagni a scuola. Come vedete, non è mai tutto bianco o nero. Ma la pandemia ha anche messo a dura prova i professionisti della salute mentale, soprattutto quelli che lavorano con pazienti che hanno vissuto traumi, una realtà quotidiana per molte famiglie Nere a Milwaukee, come sottolinea una psicologa. Lo stress e il rischio di trauma secondario per chi offre aiuto sono reali e pesanti.
La Difficile Ricerca del Primo Aiuto: Tra Stigma e Muri Invisibili
Il primo passo per chiedere aiuto è spesso il più difficile. La ragazza protagonista dello studio, all’inizio, non voleva parlarne per paura di essere etichettata come “pazza” o trattata diversamente. Lo stigma è ancora un macigno pesante, ragazzi. Quando finalmente si è resa conto di non farcela da sola, si è confidata con la madre, che le ha suggerito di parlare con un terapeuta. La madre di questa ragazza, pur lavorando in un ambito che la portava a indirizzare persone del sistema giudiziario verso cure mentali, si è trovata spiazzata nel cercare risorse per sua figlia. Si è rivolta alla scuola, ma si è sentita inascoltata, le sue preoccupazioni minimizzate perché la figlia andava bene negli studi. “Problemi comportamentali”, le dicevano, “forse non è abbastanza stimolata”. Capite la frustrazione? Ha dovuto lottare, usare la sua capacità di “advocacy” (cioè di farsi portavoce e difendere i diritti della figlia) per trovare le risorse giuste al di fuori della scuola. Questo ci dice quanto sia cruciale che i primi punti di contatto – scuole, pediatri – siano preparati, consapevoli delle risorse esistenti e capaci di indirizzare le famiglie. Spesso, come emerge dallo studio, sono proprio le visite pediatriche, con i questionari di screening sulla salute mentale, a far scattare il campanello d’allarme e a confermare la necessità di un supporto specialistico.

Trovare il Terapeuta Giusto: Questione di Pelle o di Competenza?
Una volta deciso di cercare un terapeuta, sorge un’altra questione: chi scegliere? Per alcuni adolescenti e genitori intervistati, era fondamentale trovare un professionista della stessa etnia e genere. Una madre ha sottolineato l’importanza per sua figlia di avere una terapeuta Nera, donna, per potersi sentire compresa e a proprio agio, per potersi relazionare con qualcuno che “le somiglia”. Trovare questa figura non è stato facile, evidenziando ancora una volta la carenza di diversità tra i professionisti. Tuttavia, la ragazza protagonista dello studio ha raccontato un’esperienza diversa. All’inizio era scettica riguardo alla sua terapeuta, che è Bianca, pensando che non potesse capire fino in fondo le sue difficoltà. Ma con il tempo, costruendo la relazione, l’etnia è diventata meno importante. “Alla fine siamo tutti umani e tutti abbiamo le nostre battaglie”, ha detto. Un’altra madre non aveva preferenze iniziali su etnia o genere, ma ha apprezzato l’esperienza, la comunicazione chiara e aperta del terapeuta del figlio, che coinvolgeva anche lei nelle sedute. Insomma, la preferenza è soggettiva, ma l’opzione di poter scegliere un professionista con un background simile è sentita come importante, soprattutto per creare quella fiducia iniziale fondamentale in terapia.
Cosa Significa “Cura Adeguata”? Oltre il Manuale
Qui tocchiamo un nervo scoperto. Cosa rende una cura “adeguata” per questi ragazzi? Lo studio evidenzia tre pilastri: deve essere centrata sulla famiglia, culturalmente appropriata e informata sul trauma (trauma-informed). Spesso, membri delle comunità Nere e Latine si sentono “parlati a” invece che “parlati con”, non coinvolti nelle decisioni sulla propria salute. Questo mina la fiducia. Una terapeuta Nera intervistata ha spiegato come i manuali di psicologia spesso non bastino per capire l’ansia e la depressione nelle popolazioni Nere e “Brown”. Bisogna andare più a fondo, capire le radici culturali e sociali del disagio, cosa che richiede una formazione specifica sulla diversità culturale che, secondo lei, manca a molti professionisti. Ecco perché la richiesta di più terapeuti, psicologi, psichiatri “di colore” è così forte. Non si tratta solo di rappresentanza, ma di poter offrire un supporto che comprenda davvero le esperienze di vita specifiche di questi ragazzi. Una psicologa, anch’essa “person of color”, ha raccontato quanto sia potente per i suoi pazienti lavorare con qualcuno che sentono possa capirli veramente, anche se riconosce l’importanza degli “alleati” Bianchi ben intenzionati. Ha anche sollevato il problema di come il percorso accademico spesso “elimini” persone con responsabilità familiari o economiche, rendendo difficile l’accesso alle professioni di aiuto per chi proviene da contesti svantaggiati, e ha suggerito più borse di studio e supporto finanziario.

Fornire una cura adeguata significa anche essere disposti a imparare continuamente. Una terapeuta ha raccontato di aver cercato formazione specifica sul trauma perché si è resa conto che gran parte dell’ansia e della depressione dei suoi giovani pazienti era legata a esperienze traumatiche. Parla molto con loro, li lascia “educarla” su ciò che stanno vivendo. Un altro suggerimento emerso è quello di mostrare cura e interesse genuini, educare i ragazzi sulla loro salute mentale in modo culturalmente sensibile, spiegando cosa sono l’ansia e la depressione senza giudizio. E sì, imparare la lingua o conoscere la cultura dei propri pazienti fa una differenza enorme, come testimoniato da terapeuti non madrelingua spagnoli che lavorano con la comunità Latina, ricevendo gratitudine anche solo per lo sforzo di comunicare nella loro lingua. Riconoscere apertamente la propria identità e le dinamiche di potere, ed essere comprensivi verso le difficoltà pratiche che i pazienti affrontano per arrivare a una seduta (prendere l’autobus, trovare chi bada ai figli, prendere permessi dal lavoro) sono altri aspetti chiave.
Abbattere il Muro del Silenzio: Consapevolezza e Risorse
Anche se forse lo stigma sulla malattia mentale sta diminuendo un po’ in generale, c’è ancora tantissimo lavoro da fare per aumentare la consapevolezza e la comprensione nella comunità. Un operatore comunitario ha sottolineato quanto sia vitale rimuovere lo stigma per permettere ai giovani Neri di chiedere aiuto per la depressione prima che sia troppo tardi, prima che si arrivi a pensieri suicidi. Bisogna spiegare cos’è davvero la depressione, cos’è l’ansia, senza prenderle in giro, riconoscendo che in alcuni contesti, come tra i giovani Neri, la depressione può manifestarsi con molta rabbia. Bisogna far capire che chiedere aiuto non è segno di debolezza. Come fare? Le idee emerse sono tante:
- Pastori che condividono risorse per la salute mentale nelle loro congregazioni.
- Spettacoli teatrali che usano musica e storie vicine ai giovani per parlare di benessere psicologico.
- Attività ricreative di gruppo, in presenza, per creare connessioni significative in un contesto informale e facilitare l’apertura.
- Insegnanti che si fanno promotori della salute mentale a scuola, che chiedono semplicemente “Come stai oggi?”.
La ragazza intervistata ha detto che la cosa che più l’aiuterebbe sarebbe proprio una maggiore apertura nel parlare di salute mentale, normalizzarla. C’è anche bisogno di maggiore conoscenza delle risorse disponibili tra chi dovrebbe indirizzare le famiglie, come pediatri o personale scolastico. Una psicologa suggerisce ai suoi studenti tirocinanti di chiamare direttamente i servizi presenti nelle liste di risorse, per capire come funzionano e poter dare indicazioni più precise ai pazienti. E poi, c’è il tema della collaborazione. Troppo spesso, denuncia un insegnante di mindfulness, le organizzazioni lavorano isolate, senza sapere che altri stanno facendo cose simili. Collaborare significherebbe usare le risorse in modo più efficiente.

Disponibilità dei Servizi: Liste d’Attesa, Assicurazioni e Telemedicina
Infine, parliamo della cruda realtà della disponibilità dei servizi. Un problema enorme è l’assicurazione sanitaria: non tutti i professionisti accettano l’assicurazione pubblica (come Medicaid negli USA), riducendo drasticamente le opzioni per le famiglie a basso reddito e portando a liste d’attesa infinite, situazione peggiorata dopo la pandemia. Una psicologa racconta la frustrazione di dare liste di contatti alle famiglie e sentirsi dire che nessuno ha posti disponibili per mesi. C’è poi la difficoltà per le piccole organizzazioni comunitarie di sopravvivere e trovare finanziamenti, soprattutto quando grandi sistemi sanitari aprono cliniche nelle vicinanze. La soluzione proposta? Partnership tra grandi e piccoli per condividere risorse. Un facilitatore importante, invece, sono i servizi di salute mentale gratuiti offerti nelle scuole, che normalizzano la cura integrandola nella vita quotidiana degli studenti. E poi c’è la telemedicina (telehealth). Nata come necessità durante la pandemia, ha aperto nuove porte: più comoda, elimina le barriere dei trasporti, riduce le cancellazioni. Ma ha anche aumentato la domanda, mettendo sotto pressione sistemi non sempre pronti a gestirla. E non è per tutti. Alcuni ragazzi e genitori la trovano meno coinvolgente della terapia in presenza. Ci sono problemi tecnici (connessione internet, dispositivi), la difficoltà a trovare uno spazio privato e tranquillo a casa, la tentazione di distrarsi. Per alcuni funziona benissimo, per altri no. E iniziare una terapia online con un terapeuta sconosciuto può rendere più difficile costruire fiducia. Senza contare che le disparità nell’accesso a internet escludono a priori alcune comunità, come quella Ispanica.
Cosa Portiamo a Casa?
Questo studio, pur con i suoi limiti (pochi partecipanti, focus su Milwaukee, ecc.), ci lascia con messaggi chiari. C’è un bisogno urgente di migliorare l’accesso alla salute mentale per gli adolescenti Neri e Latini. Le raccomandazioni sono concrete:
- Combattere lo stigma con l’educazione e la normalizzazione.
- Aumentare la consapevolezza dei servizi esistenti e promuovere la collaborazione tra scuole, sanità e comunità.
- Sostenere attivamente gli studenti di colore affinché diventino i professionisti della salute mentale di domani, capaci di servire una popolazione diversificata.
- Rendere le cure culturalmente competenti, informate sul trauma e centrate sulla famiglia la norma, non l’eccezione.
- Affrontare le barriere pratiche come i costi, le liste d’attesa e l’accesso equo alla telemedicina.
Molto lavoro è già in corso grazie a persone appassionate, ma sfide come l’ampliamento della forza lavoro qualificata e l’accesso universale alla telemedicina richiedono un impegno maggiore, anche a livello politico. È una battaglia complessa, ma fondamentale per il futuro di questi ragazzi.
Fonte: Springer
