Etiopia: Mamma si nasce, ma l’accesso alle cure è uguale per tutte? Un viaggio tra disuguaglianze nascoste
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore: la salute delle mamme e dei neonati, e in particolare di come l’accesso alle cure possa essere tremendamente ingiusto a seconda di dove nasci e di quanto sei “fortunato” economicamente. Mi sono imbattuto in uno studio recente sull’Etiopia che mi ha fatto davvero riflettere, e voglio condividere con voi quello che ho scoperto.
L’obiettivo globale è ambizioso ma fondamentale: garantire a tutti, ovunque, l’accesso a servizi sanitari di qualità (la famosa “copertura sanitaria universale”). E quando parliamo di mamme e bambini, questo diventa ancora più cruciale. Ridurre le disparità nell’accesso alle cure prenatali, al parto assistito e alle cure post-parto è una strategia chiave, specialmente in paesi come l’Etiopia, per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e porre fine alle morti materne e neonatali prevenibili.
Sappiamo che queste cure esistono e funzionano. Ma la realtà, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, è che molte donne non ne usufruiscono affatto, o magari fanno solo la prima visita e poi abbandonano il percorso. A volte, purtroppo, la qualità dei servizi offerti lascia molto a desiderare. E così, le disuguaglianze sociali e geografiche nell’utilizzo di questi servizi salvavita rimangono enormi, sia tra paesi diversi che all’interno dello stesso paese. Pensate che, secondo un rapporto del 2030 Countdown, nei paesi a basso e medio reddito, il 20% delle donne più povere non riceve *nessuna* delle tre cure essenziali (visite prenatali, parto in struttura sanitaria, cure post-parto), mentre tra le donne meno povere, ben il 75% le riceve tutte e tre. Un abisso!
La Situazione Specifica in Etiopia: Cosa Ci Dice lo Studio?
Questo studio si è concentrato proprio sull’Etiopia, analizzando dati raccolti tra il 2019 e il 2020 da quasi 3000 donne che avevano partorito da circa sei settimane e da oltre 460 strutture sanitarie. L’obiettivo era misurare l’equità socio-economica e geografica non solo nella *copertura* (quante donne usano i servizi) ma anche nella *copertura efficace* (quante donne usano servizi di *qualità*) per due interventi chiave: le visite prenatali (almeno 4, come raccomandato) e il parto assistito da personale qualificato.
I risultati, ve lo dico subito, non sono incoraggianti. Solo il 40% delle donne intervistate aveva effettuato le 4 o più visite prenatali raccomandate. E se guardiamo alla qualità? Beh, la percentuale crolla al 12%. Questo significa che solo una donna su otto ha ricevuto cure prenatali considerate di qualità adeguata (in strutture pronte, con vaccinazione antitetanica e supplementazione di ferro/folati).
Per il parto assistito va un po’ meglio sulla carta: poco più della metà delle donne (54%) ha partorito con l’aiuto di personale qualificato. Ma, di nuovo, la qualità fa la differenza: solo il 7% ha ricevuto cure al parto considerate di qualità (in strutture con attrezzature essenziali e interventi chiave come l’iniezione di uterotonici subito dopo il parto). Sono numeri che fanno pensare, vero?
Il Divario tra Ricchi e Poveri: Un Abisso nell’Accesso alle Cure
Qui le cose si fanno ancora più amare. Lo studio ha usato diversi metodi per misurare le disuguaglianze legate al livello economico (usando un indice di ricchezza basato sui beni posseduti, ecc.). I risultati sono netti:
- C’è un divario enorme tra le donne più povere e quelle meno povere. Per le 4+ visite prenatali, la differenza è di 43 punti percentuali.
- Per il parto assistito, il divario è ancora più scioccante: 65 punti percentuali!
In pratica, le donne appartenenti ai gruppi economicamente più agiati hanno una probabilità tre volte maggiore di fare le visite prenatali raccomandate e oltre tre volte maggiore (3.2 volte) di avere un parto assistito rispetto alle donne più povere. Anche quando si considera la (bassa) qualità, le donne meno povere hanno comunque maggiori probabilità di accedere a quei pochi servizi di qualità disponibili.
Questo ci dice che, anche se in Etiopia molti servizi materni sono teoricamente gratuiti, ci sono altre barriere che impediscono alle donne più povere di accedervi. Quali? Probabilmente i costi indiretti: il trasporto per raggiungere la clinica (specialmente dalle aree rurali), il tempo perso dal lavoro, ecc. Le donne con maggiori risorse economiche possono permettersi questi costi e magari hanno anche più informazioni per prendere decisioni consapevoli sulla loro salute. È una dinamica purtroppo comune in molte parti dell’Africa subsahariana.
La Geografia Conta: Dove Vivi Fa la Differenza
Ma le disuguaglianze non sono solo economiche, sono anche geografiche. Lo studio ha usato analisi spaziali sofisticate (come l’indice di Moran’s I, le statistiche Getis-Ord Gi* e l’interpolazione Kriging – non preoccupatevi dei nomi tecnici!) per mappare dove l’utilizzo dei servizi è più alto o più basso.
È emerso un quadro chiaro:
- L’utilizzo dei servizi non è distribuito a caso, ma tende a raggrupparsi (cluster).
- Le aree centrali e settentrionali dell’Etiopia mostrano una copertura maggiore sia per le visite prenatali che per il parto assistito.
- Al contrario, gran parte delle aree orientali e molte zone del sud registrano livelli di utilizzo molto bassi.
Le zone orientali, in particolare, sono abitate da comunità prevalentemente pastorali e nomadi. Questo stile di vita, basato sulla mobilità alla ricerca di pascoli, si scontra con un sistema sanitario prevalentemente stazionario. Raggiungere queste comunità con servizi sanitari efficaci è una sfida enorme. Inoltre, fattori culturali e la minore autonomia decisionale delle donne in alcune di queste comunità possono contribuire alla bassa copertura. La vicinanza alla capitale, Addis Abeba, nelle regioni centrali, probabilmente favorisce un migliore accesso grazie a infrastrutture stradali più sviluppate.
Anche all’interno delle stesse regioni ci sono differenze notevoli. Ad esempio, nella regione di Oromia, le aree vicine alla capitale hanno una copertura alta, mentre quelle più orientali molto bassa. Nella regione del Tigray (prima del conflitto recente, i dati sono del 2019-2020), la copertura era generalmente alta, tranne nel sud. La regione di Afar mostrava una copertura costantemente bassa.
Cosa Possiamo Imparare? La Necessità di Interventi Mirati
Questo studio, pur con i limiti di basarsi su autodichiarazioni e dati di qualche anno fa, ci lancia un messaggio forte. Non basta espandere i servizi sanitari; bisogna assicurarsi che raggiungano tutti, specialmente i più vulnerabili. L’Etiopia ha fatto sforzi notevoli, ma la bassa copertura generale e le profonde disuguaglianze socio-economiche e geografiche dimostrano che c’è ancora molta strada da fare.
Le conclusioni sono chiare: servono interventi specificamente progettati per raggiungere le donne più povere e quelle che vivono nelle aree geograficamente svantaggiate, come le regioni orientali e meridionali. Bisogna pensare a modalità di erogazione dei servizi più flessibili, magari mobili, che tengano conto dello stile di vita delle comunità pastorali. È fondamentale affrontare non solo le barriere economiche (come i costi indiretti) ma anche quelle culturali e logistiche.
Migliorare la qualità dei servizi è altrettanto importante. È inutile aumentare l’accesso se poi le cure offerte non sono adeguate. L’obiettivo finale deve essere una copertura sanitaria davvero universale ed equa, dove ogni mamma, indipendentemente dal suo portafoglio o dal suo codice postale, possa avere le cure di cui ha bisogno per sé e per il suo bambino. È una questione di giustizia sociale, prima ancora che di salute pubblica.
Fonte: Springer