Salute ai Confini della Foresta: Voci e Sfide dall’India Meridionale che ci Fanno Riflettere
Avete mai pensato a come la vita ai margini di una foresta lussureggiante, quasi un paradiso terrestre, possa influenzare profondamente la salute e il benessere delle persone che la abitano? Io sì, e recentemente mi sono immerso in uno studio affascinante che ha cercato di capirlo meglio, portandoci nel cuore di una comunità ai margini della Riserva della Tigre di Mudumalai, nel sud dell’India. Vi porto con me in questo viaggio, perché le scoperte fatte non solo sono interessanti, ma toccano corde universali sulla disuguaglianza nell’accesso alle cure e sulla necessità di ascoltare le comunità locali.
Immaginatevi lì: 35 villaggi, un mix di culture e storie, tutti con un legame, diretto o indiretto, con la foresta e la sua fauna selvatica. La pandemia di Covid-19, come ben sappiamo, ha messo a nudo le fragilità di molti sistemi, ma per queste comunità dipendenti dalla foresta, ha significato un aumento dei rischi di malattie e ha sottolineato, ancora una volta, quanto sia cruciale coinvolgerle nella preparazione a future emergenze sanitarie. Educazione e consapevolezza, parole chiave che risuonano forti.
Un Mosaico di Popolazioni ai Confini della Natura
Prima di addentrarci nei dettagli sulla salute, facciamo un passo indietro per capire chi sono le persone di cui parliamo. La Riserva della Tigre di Mudumalai è un luogo di incredibile biodiversità, parte della Riserva della Biosfera dei Nilgiri, riconosciuta dall’UNESCO. Un vero gioiello! Ma è anche un’area sottoposta a una forte pressione antropica. Qui vivono comunità indigene, i cosiddetti “Scheduled Tribes” (STs), che da secoli hanno un rapporto simbiotico, culturale e spirituale con la foresta. Parliamo dei Jenu Kurubas, Betta Kurubas, Soligas, Irulas, Kattu Nayakans e Phaniyas. Tradizionalmente, vivevano in modo sostenibile grazie alle risorse naturali.
Accanto a loro, ci sono comunità non indigene, arrivate negli ultimi 60-70 anni da altre regioni, la cui connessione con la foresta è spesso più legata ai benefici economici – raccolta di prodotti forestali non legnosi, pascolo del bestiame, turismo – che a un valore spirituale. Questa differenza è importante, perché può tradursi in approcci diversi alla conservazione e, come vedremo, anche alla salute.
Lo studio ha coinvolto 317 famiglie, un campione rappresentativo di circa 16.500 persone. La maggioranza degli intervistati erano donne, semplicemente perché erano più facilmente reperibili a casa durante gli orari delle interviste. Questo, se da un lato potrebbe sembrare un limite, dall’altro ci offre una prospettiva preziosa, dato che le donne sono spesso le principali custodi della salute familiare nelle comunità rurali indiane.
Salute tra Febbri Misteriose e Malattie Croniche
E allora, come stanno queste persone? Beh, il quadro è complesso. Circa il 31% ha riportato problemi di salute acuti, e indovinate un po’ qual è il più comune? La febbre non diagnosticata (ben il 57% dei casi acuti!). Fa pensare, vero? Soprattutto considerando la vicinanza con la fauna selvatica e i vettori di malattie. Le persone che vivono nelle aree centrali della riserva, più a contatto con la natura, sembrano soffrire maggiormente di queste febbri inspiegabili e dolori diffusi.
Ma la vera sorpresa, almeno per me, è stata l’alta incidenza di problemi di salute cronici: ben il 62% degli intervistati ne soffre. Le più comuni? Problemi legati alla pressione sanguigna (37%), bassi livelli di emoglobina (17,7%), diabete (17%) e problemi articolari (15,5%). Condizioni che spesso associamo a stili di vita più “urbani” o stressanti, e che invece sembrano essere molto presenti anche qui, soprattutto nelle zone cuscinetto e di confine della riserva, più che nel suo cuore.
Interessante notare che meno dell’1% ha riportato la tubercolosi, un dato sorprendentemente basso rispetto alla media nazionale, forse a causa dello stigma associato. Lo stesso vale per l’anemia falciforme, nonostante una significativa presenza di popolazioni tribali, note per esserne più suscettibili.
E quando si parla delle cause di morte in famiglia, più della metà sono dovute a condizioni croniche, con problemi cardiaci e cancro in testa. Questo ci dice che l’impatto delle malattie croniche è davvero pesante.

Cosa Pensano della Malattia? Conoscenze e Percezioni
Quando abbiamo chiesto quali fossero, secondo loro, i principali fattori di rischio per ammalarsi, la maggioranza (39%) ha puntato il dito contro l’acqua contaminata. Solo il 9% ha menzionato lo stile di vita e le pratiche correlate, e un curioso 5% ha incolpato i turisti! Qui “stile di vita” è stato interpretato come sedentario vs attivo, al chiuso vs all’aperto, “occidentale” vs “tradizionale”.
L’istruzione gioca un ruolo: chi ha studiato di più tende ad avere una comprensione più ampia delle cause delle malattie, includendo fattori come la scarsa igiene o il contagio. Ad esempio, solo i laureati hanno menzionato agenti infettivi o il contagio da altre persone o animali malati come possibili cause. Questo ci fa capire quanto sia importante l’educazione sanitaria mirata.
Un dato che mi ha colpito: le popolazioni tribali che vivono nel cuore della riserva, pur avendo spesso un’istruzione più bassa, sembravano più consapevoli dei fattori di rischio e adottavano comportamenti più sicuri rispetto a chi viveva nelle zone cuscinetto o di confine con un’istruzione superiore. Forse la saggezza tradizionale e uno stile di vita più semplice, vicino alla natura, giocano un ruolo?
Pratiche Quotidiane e Comportamenti a Rischio
Parlando di comportamenti, cosa è emerso? Beh, alcune pratiche rischiose sono piuttosto diffuse:
- Il 45% non si vaccina contro le malattie infettive.
- Il 31% non filtra o non fa bollire l’acqua prima di usarla per cucinare o bere.
- Il 29% non partecipa a campagne sanitarie o non cerca assistenza medica per le malattie.
Anche qui, fattori socioeconomici come casta, residenza e istruzione influenzano questi comportamenti. Ad esempio, le persone appartenenti alle tribù ST e le popolazioni indigene erano più propense a praticare la defecazione all’aperto, nonostante dichiarassero di avere bagni forniti dal governo. Per quanto riguarda i rifiuti, chi vive nel cuore della riserva tende a bruciarli o seppellirli, mentre chi sta nelle zone cuscinetto usa i bidoni e chi vive ai confini li seppellisce o li getta vicino alle foreste. Pratiche che, capite bene, hanno un impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica.
L’Accesso alle Cure: Un Percorso a Ostacoli?
Quando ci si ammala, cosa si fa? Il 52% va dal medico o in clinica. Ma un buon 25% preferisce curarsi da solo, con rimedi casalinghi (19%) o automedicazione (6%). Questo non sembra tanto dovuto a una mancanza di fiducia nella medicina moderna, quanto al persistere di pratiche sanitarie tradizionali.
Per quanto riguarda le strutture, c’è una preferenza per quelle governative per le cure primarie (il 63% le usa), ma per gli interventi chirurgici (soprattutto parto e pianificazione familiare) si tende a preferire le strutture private (42%). Questo suggerisce una possibile carenza nelle strutture pubbliche per trattamenti più avanzati.
Un dato allarmante: il 15% ha riferito di spendere più di un mese di stipendio per l’assistenza sanitaria. Considerando che circa l’80% degli intervistati guadagna meno di 20.000 rupie al mese (circa 220 euro), capite bene che l’impatto economico può essere devastante.
Nonostante tutto, la maggioranza (76%) si è detta soddisfatta dei servizi sanitari governativi, riportando un trattamento dignitoso (64%) e visite regolari da parte degli operatori sanitari di comunità come gli ASHA (Accredited Social Health Activists) e le VHN (Village Health Nurses) (74%). Questi operatori, spesso provenienti dalle stesse comunità che servono, sono la spina dorsale del sistema sanitario a livello di villaggio.

Disuguaglianze e Necessità di Interventi Mirati
Lo studio ha messo in luce, in modo molto chiaro, come le disuguaglianze socioeconomiche e le barriere culturali siano fondamentali. Non si può pensare a programmi di sensibilizzazione o servizi sanitari “taglia unica”. Livelli di istruzione più alti sono correlati a un migliore accesso a servizi di base come acqua pulita, elettricità, sistemi fognari e tessere sanitarie, e quindi a migliori esiti di salute. Le persone appartenenti a caste non marginalizzate (BC, OBC, General) tendevano ad avere livelli di istruzione più alti, redditi migliori e un migliore accesso ai servizi di base rispetto a quelle provenienti da contesti ST e SC.
Mancanza di acqua potabile pulita per almeno un quarto degli intervistati, sistemi fognari assenti in più della metà delle famiglie, uso predominante di legna da ardere per cucinare (52%): sono tutti fattori che aumentano i rischi per la salute, dalle malattie respiratorie ai conflitti con la fauna selvatica durante la raccolta della legna.
Quello che emerge con forza è la necessità di interventi mirati:
- Educazione sanitaria: Deve essere differenziata. Per chi vive nel cuore della foresta, focus su malattie zoonotiche e trasmesse da vettori. Per chi vive nelle zone cuscinetto e di confine, attenzione ai fattori di rischio per le malattie croniche, nutrizione e stili di vita sani. E soprattutto, usare approcci visivi, partecipativi, nelle lingue locali, coinvolgendo reti peer-to-peer. I volantini da soli non bastano!
- Miglioramento dei servizi di base: Acqua potabile sicura per tutti, sistemi fognari adeguati, promozione di energia pulita per cucinare (come il GPL, spiegando i benefici per la salute e l’ambiente).
- Accesso alle cure: Rendere i servizi sanitari più disponibili e accessibili, sia fisicamente che economicamente. Potenziare le strutture pubbliche, soprattutto per le cure specialistiche e chirurgiche.
- Sorveglianza sanitaria: Indagare sulle febbri non diagnosticate e monitorare l’incidenza crescente di malattie croniche, studiando i cambiamenti nello stile di vita e nei fattori di stress.
- Salute mentale: Un tema quasi invisibile ma cruciale. Servono studi più approfonditi e un migliore accesso ai servizi di salute mentale, data l’alta incidenza di suicidi nella regione.
- Coinvolgimento comunitario: Le comunità devono essere parte della soluzione, dalla pianificazione all’implementazione delle politiche sanitarie.
Questo studio ci ricorda che la salute è un concetto olistico, profondamente intrecciato con l’ambiente, la società, l’economia e la cultura. L’approccio “One Health”, che riconosce il legame indissolubile tra salute umana, animale e ambientale, sembra essere la strada maestra, non solo per la Riserva di Mudumalai, ma per tutte quelle aree ecologicamente sensibili dove uomo e natura convivono in un delicato equilibrio.
Insomma, c’è tanto lavoro da fare, ma studi come questo ci forniscono una bussola preziosa per orientare gli sforzi e costruire un futuro più sano ed equo per tutti, anche per chi vive ai confini di un paradiso.
Fonte: Springer
