Un'immagine toccante che mostra un cane domestico, forse un Golden Retriever, che guarda con curiosità verso un'area ombreggiata di un giardino dove potrebbe essere nascosta un'esca rodenticida. L'illuminazione è crepuscolare, creando un'atmosfera di pericolo imminente. Obiettivo prime 50mm, profondità di campo ridotta per focalizzare l'attenzione sul cane e sull'area sospetta, suggerendo la vulnerabilità degli animali non target.

Rodenticidi Anticoagulanti in Thailandia: Un Pericolo Nascosto per i Nostri Animali!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, purtroppo, tocca da vicino molti dei nostri amici a quattro zampe e non solo: l’avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti. Sapete, quelle esche che si usano per liberarsi dei topi? Ecco, quelle. Sembra una soluzione pratica, ma nasconde insidie terribili per animali che non sono affatto il bersaglio. E pensate un po’, fino a poco tempo fa, in Thailandia non c’erano dati ufficiali su quanto fosse diffuso questo problema. Ma le cose stanno cambiando, e uno studio recente ha finalmente gettato luce sulla situazione, e credetemi, c’è da drizzare le orecchie!

Ma cosa sono esattamente questi rodenticidi anticoagulanti?

In parole povere, sono sostanze chimiche progettate per uccidere i roditori interferendo con il loro processo di coagulazione del sangue. Funzionano inibendo la vitamina K nel fegato, una vitamina essenziale per produrre i fattori che fanno coagulare il sangue. Senza questi fattori, i vasi sanguigni diventano fragili e si verificano emorragie interne, spesso fatali. Esistono due “generazioni” di questi veleni: la prima, come il warfarin, usata dagli anni ’50, e la seconda, come il brodifacoum e il bromadiolone, introdotta negli anni ’70 perché i topi avevano iniziato a diventare resistenti alla prima. Il problema? La seconda generazione è molto più potente e ha un’emivita più lunga, il che significa che rimane nel corpo più a lungo, aumentando il rischio di avvelenamento grave non solo per i topi, ma anche per chiunque entri in contatto con queste sostanze, direttamente o indirettamente.

Lo studio thailandese: cosa ci dice?

Dei ricercatori della Chulalongkorn University, in Thailandia, hanno fatto un lavoro importantissimo, analizzando i casi di sospetto avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti (ARs) arrivati al loro dipartimento tra il 2018 e il 2023. Hanno esaminato campioni di animali, usando tecniche come la cromatografia su strato sottile (TLC) e la spettrofotometria. Questi metodi, anche se non super specifici come altre tecniche più avanzate, sono ottimi strumenti di screening per confermare un’intossicazione.

E i risultati? Beh, su 55 casi sospetti analizzati, ben 35 (il 63,6%) sono risultati positivi agli ARs! Un numero che fa riflettere, non trovate?
La maggior parte delle vittime, purtroppo, erano cani (ben il 77,1% dei casi positivi). Ma la cosa che mi ha colpito particolarmente è che l’avvelenamento non ha risparmiato nemmeno animali selvatici ed esotici. Pensate, sono risultati positivi un tacchino, un cinghiale, un’oca e persino tre esemplari di mara della Patagonia! Questo ci fa capire quanto il problema sia esteso e subdolo.

Un altro dato interessante emerso dallo studio riguarda i campioni analizzati. Solitamente, il fegato è considerato il tessuto migliore per rilevare questi veleni, perché è lì che si accumulano. Ma i ricercatori hanno scoperto una buona concordanza tra i risultati ottenuti dal fegato e quelli dal contenuto dello stomaco. Questa è una novità importante, perché suggerisce che anche l’analisi del contenuto gastrico può essere molto utile, specialmente in caso di morte improvvisa, quando il veleno potrebbe essere ancora presente nello stomaco.

Fotografia di un veterinario che esamina con attenzione un campione di tessuto epatico di un animale sotto una luce da laboratorio, con strumenti analitici sfocati sullo sfondo. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli del tessuto e l'atmosfera scientifica.

Perché i nostri animali sono così a rischio?

La risposta è spesso semplice e tragica: l’esposizione accidentale. I cani, soprattutto i cuccioli più curiosi (lo studio ha rilevato un’età media di circa 2 anni per i cani positivi), possono ingerire direttamente le esche velenose lasciate incustodite in casa o in giardino. Ma c’è anche il rischio di avvelenamento secondario: un gatto o un cane che caccia e mangia un roditore che aveva ingerito il veleno, può a sua volta rimanere intossicato. E per gli animali selvatici, il discorso è simile: possono trovare esche abbandonate nell’ambiente o predare animali avvelenati.

È importante sottolineare che i sintomi dell’avvelenamento da ARs possono essere subdoli all’inizio: letargia, perdita di appetito, gengive pallide. Poi, con il progredire dell’intossicazione, compaiono i segni più evidenti di emorragia: sangue dal naso o dalle gengive, sangue nelle feci o nelle urine, ematomi estesi, difficoltà respiratorie dovute a emorragie polmonari. Purtroppo, a volte questi sintomi possono essere confusi con altre patologie, il che rende la diagnosi più difficile se non si sospetta l’avvelenamento. Ecco perché test di screening come quelli usati nello studio sono fondamentali.

Cosa possiamo imparare e come possiamo proteggerli?

Questo studio thailandese, il primo nel suo genere in quel paese, è un campanello d’allarme. Ci ricorda che l’uso dei rodenticidi anticoagulanti, sebbene mirato a controllare le popolazioni di roditori per proteggere colture, edifici e prevenire malattie, ha un impatto significativo e spesso sottovalutato sugli animali non target.
Cosa possiamo fare, quindi?

  • Consapevolezza: La prima cosa è essere consapevoli del rischio. Se usiamo rodenticidi, dobbiamo farlo con estrema cautela, seguendo scrupolosamente le istruzioni e assicurandoci che le esche siano assolutamente inaccessibili a bambini e animali domestici.
  • Alternative: Quando possibile, considerare metodi di derattizzazione alternativi e meno tossici.
  • Attenzione ai sintomi: Se un animale mostra sintomi sospetti, soprattutto sanguinamenti inspiegabili, è cruciale portarlo immediatamente dal veterinario e menzionare la possibile esposizione a rodenticidi.
  • Diagnosi: I veterinari devono considerare l’avvelenamento da ARs nella diagnosi differenziale di coagulopatie. Come suggerisce lo studio, l’analisi del fegato è il gold standard, ma anche il contenuto gastrico può fornire informazioni preziose.

Lo studio evidenzia anche che, sebbene la TLC e la spettrofotometria siano utili per lo screening, tecniche più avanzate come la HPLC (cromatografia liquida ad alta prestazione) o la GCMS (gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa) sarebbero necessarie per identificare e quantificare specifici composti anticoagulanti.

In conclusione, la lotta ai roditori è spesso necessaria, ma non deve mai andare a scapito della salute dei nostri amici animali e dell’ambiente. Questo studio pionieristico dalla Thailandia ci fornisce dati preziosi e sottolinea l’importanza di un monitoraggio continuo e di pratiche di gestione dei rodenticidi più responsabili. Speriamo che sia solo l’inizio di una maggiore consapevolezza e di ulteriori ricerche per proteggere le specie non bersaglio da questi veleni silenziosi.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *