Rider Sotto Scacco: Quando la Consegna del Cibo Diventa una Corsa a Ostacoli per la Salute in Thailandia
Amici, vi siete mai chiesti cosa c’è dietro quel semplice click che vi fa arrivare la cena direttamente a casa, specialmente quando fuori piove o semplicemente non avete voglia di cucinare? Io sì, e di recente mi sono imbattuto in uno studio che mi ha aperto gli occhi sulla vita, non sempre facile, dei rider che consegnano cibo in moto, in particolare in Thailandia. E credetemi, la situazione è più complessa di quanto si possa immaginare.
Parliamoci chiaro: il boom del food delivery, accelerato anche dalla pandemia di COVID-19 con le sue misure di distanziamento, ha creato un esercito di lavoratori su due ruote. Questi ragazzi e ragazze sfrecciano per le città per portarci i nostri piatti preferiti, ma a quale prezzo per la loro salute? Uno studio thailandese, condotto a Chiang Mai tra il novembre 2021 e il febbraio 2022 su ben 709 rider, ha cercato di fare luce proprio su questo.
Un Lavoro Pieno di Insidie: I Rischi del Mestiere
Immaginatevi di passare ore e ore in sella, ogni giorno. Lo studio ha evidenziato come questi lavoratori siano esposti a una miriade di rischi professionali. Non parliamo solo del traffico, che già di per sé è un bel problema.
- Rischi fisici: Al primo posto, con il 91,6% dei rider coinvolti, c’è l’esposizione al caldo e alla luce solare. Poi ci sono il rumore del traffico e delle cuffiette (74,5%) e le vibrazioni continue della moto (67,3%). Pensateci: vibrazioni che si ripercuotono su tutto il corpo, per ore.
- Rischi chimici: Quasi tutti respirano i fumi di scarico (90,1%) e le polveri sottili, il famigerato PM (86,1%). Un cocktail non proprio salutare, vero?
- Rischi biomeccanici: Mantenere la stessa postura per tempi prolungati (73,6%) e compiere movimenti ripetitivi (70,0%) sono all’ordine del giorno. La schiena e le articolazioni, capite bene, non ringraziano.
- Rischi psicologici: Lo stress è un compagno di viaggio costante. Deriva dall’incertezza del guadagno (54,5%), dalla forte competizione (49,5%), ma anche dal traffico, dai turni lunghi e, a volte, dal comportamento dei clienti.
- Rischi biologici: Sorprendentemente, questo è sembrato il problema minore, con solo il 22,7% che ha lamentato l’esposizione ad aerosol biologici. Forse l’uso diffuso delle mascherine durante la pandemia ha giocato un ruolo.
Il Conto della Salute: Quando il Corpo Chiede Aiuto
Tutti questi rischi, come potete immaginare, presentano un conto. E spesso è salato. Lo studio ha rivelato che i problemi di salute più comuni tra i rider thailandesi sono i disturbi muscoloscheletrici (DMS), che affliggono ben il 62,1% di loro. I dolori più frequenti? Spalle (39,2%), collo (38,1%) e zona lombare (33,3%). Praticamente, un bollettino di guerra per la schiena e le articolazioni!
Ma non è finita qui. Anche gli occhi soffrono: il 45,1% riporta problemi, con il bruciore oculare in testa (33,3%), seguito da prurito e lacrimazione involontaria. E poi ci sono i problemi respiratori (29,1%), con le allergie che colpiscono quasi un quarto dei partecipanti.
Altri disturbi comuni includono mal di testa (32,2%), sintomi simil-influenzali (26,5%), scottature solari (22,0%), insonnia (16,9%) e, purtroppo, anche sensazioni di depressione (5,2%). Insomma, un quadro che fa riflettere.
La cosa interessante è che lo studio ha trovato delle associazioni significative. Ad esempio, i rischi biomeccanici (posture statiche, movimenti ripetitivi, vibrazioni) sono fortemente legati ai disturbi muscoloscheletrici. I rischi psicologici, invece, vanno a braccetto con mal di testa, insonnia e depressione. E i rischi fisici come sole, caldo, rumore e vibrazioni? Anche questi contribuiscono a mal di testa, sintomi influenzali e insonnia.

Equipaggiamento di Protezione: Un’Armatura Incompleta?
Di fronte a tutti questi pericoli, come si proteggono i rider? L’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) è fondamentale. E qui, qualche buona notizia c’è. La stragrande maggioranza usa il casco (99,72%) e pantaloni lunghi (99,72%). Anche le mascherine facciali (99,29%) e le giacche termiche (98,17%) sono molto diffuse. Bene così!
Anche stivali (96,47%) e guanti (92,24%) sono abbastanza comuni. La nota un po’ dolente arriva quando si parla di occhiali da sole o protettivi (utilizzati solo dal 52,75%), tappi per le orecchie (appena il 17,63%) e protezioni per ginocchia/braccia/tronco (solo il 12,48%).
È interessante notare che l’alto utilizzo di alcuni DPI (casco, pantaloni, mascherina, stivali, giacca) sembra essere spinto anche dalle regole imposte dalle compagnie di delivery, che prevedono sanzioni per chi non le rispetta. Questo dimostra quanto possano essere importanti le politiche aziendali per la sicurezza.
Perché così pochi usano occhiali protettivi, nonostante i problemi agli occhi e l’esposizione al sole e alla polvere? E i tappi per le orecchie, con tutto quel rumore? Forse perché molti preferiscono usare gli auricolari per comunicare con ristoranti e clienti, come ipotizza lo studio.
Cosa Possiamo Imparare e Cosa si Può Fare?
Questo studio, pur con qualche limite (è uno spaccato di un momento, non stabilisce cause ed effetti diretti, e potrebbe aver “perso” i rider con problemi di salute più gravi), ci dice chiaramente una cosa: il lavoro di rider di food delivery, almeno nel contesto thailandese analizzato, è duro e pieno di rischi per la salute. L’alta prevalenza di problemi muscoloscheletrici e oculari è preoccupante.
Le soluzioni? Lo studio suggerisce un approccio combinato. Da una parte, le aziende di delivery e i settori sanitari dovrebbero collaborare di più. Come?
- Migliorando la consapevolezza dei lavoratori sui rischi attraverso l’educazione e la formazione su posture corrette.
- Introducendo misure regolatorie, come garantire pause regolari e rotazione dei compiti, limitando le ore massime di lavoro giornaliere.
- Implementando una sorveglianza sanitaria, con controlli medici periodici (test di funzionalità polmonare, udito, screening per depressione e ipertensione).
- Fornendo DPI adeguati, specialmente quelli meno usati ma cruciali come gli occhiali protettivi, per ridurre il carico finanziario sui rider.
Dall’altra parte, c’è il ruolo dei rider stessi, che devono essere messi nelle condizioni di potersi proteggere al meglio.
Certo, lo studio è stato condotto durante la pandemia, quindi l’uso delle mascherine potrebbe essere diminuito ora, e magari la percezione dei rischi biologici cambiata. Serviranno altre ricerche, magari longitudinali (che seguono i rider nel tempo) e che confrontino diverse modalità di consegna, per capire ancora meglio.
Una cosa è certa: la prossima volta che ordinerò del cibo a domicilio, penserò un po’ di più a chi me lo porta, e a quanto sia importante che queste persone possano lavorare in sicurezza e tutelando la loro salute. Perché dietro la comodità di un pasto consegnato a casa, c’è il lavoro, spesso faticoso e rischioso, di qualcuno.
Fonte: Springer
