Primo piano di un chirurgo toracico concentrato durante un'operazione polmonare, con luci chirurgiche che illuminano il campo operatorio, prime lens 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, duotone blu e grigio per un effetto drammatico ma professionale.

Tubercolosi Polmonare e Bisturi: Quando l’Operazione Nasconde Insidie (e Come Prevenirle!)

Amici lettori, oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ tosto, ma super importante, che tocca la salute di molti: la tubercolosi polmonare (PTB) e le sfide che si presentano quando è necessario un intervento chirurgico. Immaginate un po’: già combattere contro la tubercolosi è una bella gatta da pelare, se poi ci si mette di mezzo il bisturi, è fondamentale sapere a cosa si va incontro e, soprattutto, come i medici possono giocare d’anticipo.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio molto interessante, pubblicato su Springer, che ha cercato di far luce proprio su questo: quali sono i fattori di rischio per le complicazioni postoperatorie nei pazienti operati per tubercolosi polmonare? Ve lo racconto come se fossimo al bar a fare due chiacchiere, promesso!

La Tubercolosi: Un Nemico Silenzioso ma Tenace

Prima di tuffarci nei dettagli chirurgici, due parole sulla tubercolosi. È causata da un batterio birichino, il Mycobacterium tuberculosis, che si trasmette per via aerea. Colpisce principalmente i polmoni e, pensate un po’, nel 2021 ha fatto ammalare circa 10,6 milioni di persone e ne ha uccise 1,6 milioni. Numeri da capogiro! Per fortuna, con le cure giuste (un ciclo di farmaci anti-TB per 4-6 mesi), circa l’85% dei pazienti guarisce completamente.
Ma che succede quando i farmaci non bastano? Ecco che entra in gioco la chirurgia.

Quando il Bisturi Diventa Necessario

La chirurgia nella tubercolosi non è la prima scelta, ma a volte è l’unica via. Si interviene per rimuovere tessuto polmonare distrutto, ridurre la carica batterica, eliminare focolai infettivi o controllare complicazioni gravi come emorragie importanti (la temuta emottisi massiva). Pensate a caverne tubercolari, cisti, forme resistenti ai farmaci… insomma, situazioni complesse.
Certo, operare un polmone già provato dalla tubercolosi non è una passeggiata. Rispetto ai pazienti con cancro al polmone, quelli con TB affrontano generalmente rischi chirurgici maggiori. Le complicazioni possono essere diverse: perdite d’aria prolungate, versamenti pleurici, infezioni, emorragie e, nei casi più sfortunati, anche esiti fatali.

Lo Studio: Caccia ai Fattori di Rischio

I ricercatori hanno analizzato retrospettivamente i dati di 204 pazienti con tubercolosi polmonare operati all’Ospedale Polmonare di Wuhan tra gennaio 2018 e settembre 2022. Hanno guardato un sacco di cose: sesso, età, indice di massa corporea (BMI), malattie concomitanti, storia di COVID-19, fumo, funzionalità respiratoria, classificazione ASA (che valuta il rischio anestesiologico), il lobo polmonare interessato e fattori legati all’operazione stessa.
L’obiettivo? Capire cosa aumentasse la probabilità di avere problemi dopo l’intervento.

I Risultati: Chi Rischia di Più?

Ebbene, su 204 pazienti, ben 63 (il 30,9%) hanno avuto complicazioni. Non poche, eh? Le più comuni sono state:

  • Perdita d’aria prolungata (PAL): 29 casi. Immaginate una gomma bucata che non si sgonfia subito ma perde aria lentamente.
  • Versamento pleurico postoperatorio (PE): 23 casi. Si forma liquido nello spazio attorno al polmone.
  • Spazio residuo post-resezione (PRS): 27 casi. Dopo aver tolto una parte di polmone, a volte rimane uno spazio vuoto.
  • Polmonite: 9 casi.
  • Emorragia: 5 casi.

L’analisi multivariata, quella che cerca di isolare i veri “colpevoli”, ha tirato fuori tre fattori di rischio significativi per le complicazioni in generale:

  1. Essere di sesso maschile (OR: 2.322). Eh sì, sembra che noi maschietti siamo un po’ più sfortunati in questo caso!
  2. Avere un grado severo di aderenze (OR: 4.304). Le aderenze sono come delle “cicatrici interne” che incollano i tessuti. Se sono tante e tenaci, l’intervento diventa più complesso.
  3. Un tempo operatorio più lungo (OR: 1.007 per ogni minuto in più). Più tempo si sta sotto i ferri, più il corpo è stressato e vulnerabile.

Fotografia di una sala operatoria moderna, prime lens 24mm, con un team chirurgico concentrato attorno al paziente. L'immagine è in bianco e nero con una leggera dominante seppia, per un effetto film noir, con profondità di campo che mette a fuoco il chirurgo principale.
Questi risultati sono importantissimi! Ci dicono che bisogna prestare particolare attenzione ai pazienti maschi e a quelli che, già dalle TAC preoperatorie, mostrano segni di aderenze importanti. E, naturalmente, cercare di rendere l’intervento il più efficiente possibile per ridurne la durata.

Focus sulle Complicazioni Specifiche

Lo studio è andato ancora più a fondo, analizzando i rischi per le singole complicazioni più frequenti:

Perdita d’Aria Prolungata (PAL)

Anche qui, i “soliti sospetti”:

  • Sesso maschile (OR: 4.003)
  • Grado severo di aderenze (OR: 3.943)
  • Tempo operatorio più lungo (OR: 1.005)

Per prevenire la PAL, i chirurghi usano varie tecniche, come sigillare le perdite d’aria, rinforzare le linee di sutura e, appunto, ridurre i tempi dell’intervento.

Versamento Pleurico Postoperatorio (PE)

I fattori di rischio identificati sono:

  • Grado severo di aderenze (OR: 6.078). Le aderenze severe causano un maggior trauma pleurico, aumentando il rischio di versamento.
  • Tempo operatorio più lungo (OR: 1.005). Tempi chirurgici prolungati, uniti all’anestesia e all’infusione di liquidi, possono peggiorare l’edema pleurico.

Una corretta gestione del drenaggio toracico e la fisioterapia postoperatoria aiutano a ridurre questo problema.

Spazio Residuo Post-Resezione (PRS)

Qui il fattore di rischio principale emerso è la trasfusione di sangue intraoperatoria (OR: 4.493). Questo suggerisce che un sanguinamento eccessivo durante l’intervento, magari dovuto alla fragilità dei vasi in un tessuto infiammato, può portare a questa complicanza. Pazienti con lesioni più grandi, che richiedono resezioni più estese, sono anche più inclini a sviluppare spazi residui.

E il COVID-19? E le Tecniche Chirurgiche?

Una curiosità: lo studio ha verificato se una precedente infezione da COVID-19 potesse influenzare le complicazioni. Risultato? Nessuna differenza significativa. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che i casi di COVID-19 nella coorte erano prevalentemente lievi o asintomatici.
Un altro aspetto interessante riguarda le tecniche chirurgiche. Oggi si parla tanto di chirurgia mininvasiva (VATS) rispetto a quella tradizionale a torace aperto (OS). In questo studio, però, non è emersa una differenza significativa nel tasso di complicazioni tra i due approcci. Ciò suggerisce che, nel contesto della tubercolosi, la scelta della tecnica potrebbe non essere il fattore determinante per le complicanze, quanto piuttosto le condizioni del paziente e la complessità del quadro patologico.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Beh, questo studio, seppur con i suoi limiti (è retrospettivo, monocentrico e con un campione non enorme), ci dà delle indicazioni preziose. Identificare i pazienti a più alto rischio prima dell’intervento permette di pianificare meglio, di discutere apertamente dei potenziali problemi e, magari, di adottare strategie intraoperatorie e postoperatorie più mirate.
Per esempio, se so che un paziente maschio ha molte aderenze, sarò ancora più meticoloso nel separarle, cercherò di ottimizzare ogni fase dell’intervento per non allungare i tempi e monitorerò con più attenzione il decorso postoperatorio.
La ricerca, amici miei, serve proprio a questo: a capire meglio per curare meglio. E anche se la chirurgia per la tubercolosi polmonare resta una sfida, studi come questo ci aiutano a renderla un po’ meno insidiosa.

Alla fine, l’obiettivo è sempre lo stesso: ridurre le complicazioni e aiutare i pazienti a tornare alla loro vita nel modo più sereno e sicuro possibile. E sapere quali sono i campanelli d’allarme è il primo, fondamentale passo!

Fonte: Springer

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