Acqua Pulita da Antibiotici? Adsorbimento vs Fotocatalisi: la Mia Sfida con il Sulfametossazolo!
Ciao a tutti! Oggi voglio raccontarvi di una sfida affascinante che mi ha tenuto impegnato in laboratorio: come possiamo liberare le nostre acque da un ospite indesiderato ma molto comune, l’antibiotico Sulfametossazolo (SMX)? Sapete, questo farmaco è super utile contro le infezioni batteriche, ma una volta che ha fatto il suo lavoro, finisce spesso nelle acque di scarico e, ahimè, anche nei fiumi e nei laghi. E non è una buona notizia, né per noi né per l’ambiente, perché può creare problemi come la resistenza agli antibiotici. Un bel grattacapo!
Gli impianti di trattamento tradizionali faticano a eliminarlo completamente. Filtri, flocculazione… spesso non bastano. Così, mi sono messo alla ricerca di soluzioni più efficaci e mi sono imbattuto in un materiale interessante: il fosfato d’argento (Ag3PO4). L’idea era di testarlo in due modi diversi: come “calamita” per catturare l’SMX (processo chiamato adsorbimento) e come “guerriero della luce” per distruggerlo (la fotocatalisi). Quale dei due metodi funzionerà meglio? È quello che ho voluto scoprire!
Preparazione e Caratterizzazione del Nostro “Eroe”: il Fosfato d’Argento
Prima di tutto, abbiamo dovuto creare il nostro Ag3PO4. È stato un po’ come fare una ricetta chimica: abbiamo mescolato nitrato d’argento e fosfato di potassio in acqua, agitato bene, filtrato e asciugato. Semplice, ma efficace!
Poi, la parte divertente: conoscere a fondo il nostro materiale. L’abbiamo messo sotto la lente d’ingrandimento (letteralmente!) con tecniche super avanzate:
- SEM (Microscopia Elettronica a Scansione): Per vedere la sua forma. Immaginate dei piccoli cubetti, quasi perfetti! Dopo aver catturato o distrutto l’SMX, la superficie appariva più “vissuta”, un po’ più ruvida, segno che qualcosa era successo.
- EDX (Spettroscopia a Raggi X a Dispersione di Energia): Per controllare la sua purezza. Solo argento, fosforo e ossigeno. Perfetto! Dopo i trattamenti, sono comparsi anche zolfo, azoto e carbonio… indovinate da dove venivano? Esatto, dall’SMX!
- XRD (Diffrazione a Raggi X): Per studiare la sua struttura cristallina. Abbiamo visto che dopo l’adsorbimento, la struttura base rimaneva la stessa, anche se un po’ “stressata”. Dopo la fotocatalisi, invece, c’erano dei cambiamenti più marcati, forse perché un po’ di argento si era trasformato durante la reazione con la luce.
- FTIR (Spettroscopia Infrarossa a Trasformata di Fourier): Per identificare i legami chimici. Anche qui, dopo i trattamenti, sono spuntate le “firme” chimiche dell’SMX, confermando che si era legato al nostro materiale.
- BET e BJH: Per misurare l’area superficiale e la dimensione dei pori. Sorprendentemente, dopo entrambi i processi, l’area superficiale e il volume dei pori sono aumentati! Forse perché la superficie si è un po’ “rovinata”, creando più anfratti.
Insomma, avevamo tra le mani un materiale puro, ben definito e pronto all’azione!

Round 1: L’Adsorbimento – La Calamita per SMX
Il primo test è stato l’adsorbimento. Abbiamo messo l’Ag3PO4 in contatto con acqua contenente SMX e abbiamo studiato come vari fattori influenzassero la sua capacità di “cattura”:
- pH dell’acqua: L’SMX cambia “carattere” a seconda dell’acidità. Abbiamo scoperto che l’Ag3PO4 lavorava bene un po’ a tutti i pH testati (da 3 a 9), con una leggera flessione intorno a pH 7, dove l’SMX è più solubile e forse “preferisce” stare in acqua piuttosto che attaccarsi. Il pH ottimale è risultato essere 5.
- Dose di Ag3PO4: Sembra controintuitivo, ma usare meno materiale (0.001 g) ha dato la capacità di adsorbimento per grammo più alta! Usandone troppo, le particelle tendono ad aggregarsi, riducendo la superficie utile.
- Concentrazione iniziale di SMX: Più SMX c’è all’inizio, più ne viene catturato, fino a un certo punto. Abbiamo raggiunto una capacità di adsorbimento massima impressionante di 1299.7 mg di SMX per grammo di Ag3PO4 con una concentrazione iniziale alta (300 mg/L).
- Tempo di contatto: La maggior parte della cattura avviene abbastanza velocemente, nei primi 100 minuti. Dopo, si raggiunge un equilibrio.
Alla fine, con le condizioni ottimali, siamo riusciti a rimuovere il 95.15% dell’SMX con l’adsorbimento. Niente male! Per descrivere matematicamente come avviene questa cattura all’equilibrio, il modello di Fritz-Schlunder è risultato il migliore. Per la velocità (cinetica), i modelli Pseudo-first-order (PFO), Mixed-order (MFSO) e Avrami hanno funzionato bene.
Round 2: La Fotocatalisi – Il Guerriero della Luce
Poi è arrivato il momento della fotocatalisi. Qui, l’Ag3PO4 non si limita a catturare l’SMX, ma usa l’energia della luce (abbiamo usato la luce solare diretta!) per attivarsi e generare specie chimiche super reattive (come i radicali ·OH e O·2−) che letteralmente fanno a pezzi le molecole di SMX.
Anche qui, abbiamo ottimizzato le condizioni:
- pH dell’acqua: Come per l’adsorbimento, un ambiente leggermente acido (pH 5) è risultato il migliore per la degradazione.
- Dose di Ag3PO4: Qui, aumentare la dose fino a 0.02 g ha migliorato la rimozione, perché più catalizzatore significa più “guerrieri” attivati dalla luce. Oltre questa dose, l’effetto non migliorava significativamente.
- Concentrazione iniziale di SMX: La percentuale di rimozione è stata alta (fino al 96.5%) per concentrazioni fino a 300 mg/L. Con concentrazioni ancora più alte, l’efficienza calava un po’, probabilmente perché i “guerrieri” erano troppo pochi rispetto alle molecole da distruggere.
- Tempo di contatto: La reazione è stata ancora più rapida! Già dopo 15 minuti sotto il sole, avevamo raggiunto quasi il massimo della degradazione.
Il risultato finale? Con la fotocatalisi abbiamo raggiunto una rimozione del 98.2% dell’SMX! Un pizzico meglio dell’adsorbimento. La cinetica di questa degradazione sembra seguire un modello di ordine zero a basse concentrazioni di SMX e di primo ordine a concentrazioni più alte.

Adsorbimento vs Fotocatalisi: Chi Vince?
Entrambi i metodi si sono dimostrati molto efficaci, superando il 95% di rimozione. La fotocatalisi ha un leggero vantaggio in termini di percentuale di rimozione ed è più veloce, ma richiede luce (preferibilmente solare, che è gratis!). L’adsorbimento funziona anche al buio, è più semplice da gestire e ha mostrato una capacità di cattura per grammo davvero notevole.
Forse la soluzione migliore potrebbe essere usarli entrambi in combinazione? Chissà!
E Dopo l’Uso? Si Può Riutilizzare?
Un aspetto cruciale, soprattutto pensando ai costi e all’ambiente, è la possibilità di riutilizzare il nostro Ag3PO4. Abbiamo provato a “pulirlo” dopo l’uso con diversi solventi. E qui la sorpresa!
Per l’adsorbimento, semplicemente lavandolo con acqua distillata è stato possibile riutilizzarlo efficacemente per ben 4 cicli! Anche l’etanolo al 70% e un estratto naturale di curcuma (sì, proprio la spezia!) hanno dato risultati promettenti. Fantastico, una soluzione green!
Per la fotocatalisi, la soluzione migliore per rigenerare il materiale è stata una soluzione basica (NaOH 0.1 M), seguita comunque dall’acqua e dall’etanolo 70%. Anche qui, la curcuma si è dimostrata interessante.

Il Tasto Dolente: Il Costo
Dobbiamo essere onesti: produrre Ag3PO4 non è economicissimo. Il colpevole principale è il nitrato d’argento, che ha un costo elevato. Un grammo del nostro materiale ci è costato circa 1451 Lire Egiziane (il costo è stato calcolato lì, ma dà un’idea). Questo è sicuramente un ostacolo per un’applicazione su larga scala. La sfida futura sarà trovare modi per produrlo a minor costo, magari usando precursori diversi o recuperando l’argento.
Limiti e Prospettive Future
Questo studio è un passo avanti, ma ci sono ancora delle sfide. Usare l’Ag3PO4 in polvere non è pratico su scala industriale (è difficile separarlo dall’acqua dopo l’uso). Inoltre, non l’abbiamo ancora testato su acque reflue reali, che sono molto più complesse dell’acqua di laboratorio.
Cosa bolle in pentola per il futuro?
- Creare materiali compositi, magari combinando l’Ag3PO4 con carbone attivo, per migliorarne l’efficienza e la stabilità.
- Provare a depositare l’Ag3PO4 come un film sottile su un supporto (tipo vetro), rendendolo più facile da usare e riutilizzare.
- Testare il tutto su acque reflue vere, magari da ospedali o impianti di trattamento.
- Trovare modi per abbattere i costi di produzione!
Conclusioni (Per Ora!)
La mia avventura con il fosfato d’argento mi ha mostrato che abbiamo strumenti potenti per combattere l’inquinamento da farmaci come il Sulfametossazolo. Sia l’adsorbimento che la fotocatalisi con Ag3PO4 sono estremamente promettenti, raggiungendo percentuali di rimozione altissime. La possibilità di rigenerare il materiale con semplice acqua o addirittura con estratti naturali come la curcuma è un bonus incredibile.
Certo, la strada per l’applicazione pratica è ancora lunga, soprattutto per via dei costi e della gestione del materiale in polvere, ma i risultati sono incoraggianti. È fondamentale continuare la ricerca per rendere queste tecnologie accessibili e sostenibili, per proteggere le nostre preziose risorse idriche e la nostra salute. La battaglia contro i contaminanti emergenti è appena iniziata!
Fonte: Springer
