Primo piano di un infermiere pensieroso in un corridoio d'ospedale, luce soffusa laterale, obiettivo 35mm, profondità di campo ridotta, toni blu e grigi duotone, che riflette sulle sfide della rimozione precoce del catetere urinario post-chirurgia spinale.

Catetere Urinario Post-Chirurgia Spinale: Rimuoverlo Presto? Un Dilemma per gli Infermieri

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca da vicino chi lavora in ambito sanitario, specialmente in chirurgia spinale, ma che ha implicazioni importanti per la salute e il benessere dei pazienti. Parliamo della rimozione del catetere urinario a permanenza (quello che in gergo chiamiamo IUC) dopo un intervento alla colonna vertebrale. Sembra una cosa semplice, no? Eppure, come spesso accade in medicina, la realtà è molto più sfumata.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio qualitativo molto interessante condotto in Cina, che ha cercato di capire cosa spinge (o frena) gli infermieri specializzati in chirurgia spinale a rimuovere precocemente questi cateteri. Lo studio si basa su un modello chiamato COM-B, che analizza il comportamento umano in termini di Capacità (Capability), Opportunità (Opportunity) e Motivazione (Motivation). E credetemi, i risultati fanno riflettere.

Prima di tuffarci nei dettagli, facciamo un passo indietro. Perché si usa il catetere urinario dopo un intervento alla colonna? Beh, spesso è necessario a causa della durata dell’intervento, del tipo di anestesia, o perché l’intervento stesso può influenzare i nervi che controllano la vescica. Il problema è che, sebbene l’uso sia diffuso (si parla di oltre il 50% dei pazienti in questo setting), tenerlo troppo a lungo aumenta il rischio di complicazioni non da poco: infezioni urinarie associate al catetere (le famose CAUTI), lesioni uretrali, sovradistensione della vescica… Insomma, cose che non solo allungano la degenza e aumentano i costi, ma possono anche peggiorare la qualità della vita del paziente e, nei casi più gravi, essere pericolose.

Le linee guida internazionali sono chiare: rimuovere il catetere il prima possibile, idealmente entro 24 ore dall’intervento, a meno che non ci siano indicazioni specifiche per mantenerlo. Eppure, nella pratica, soprattutto dopo interventi alla colonna, questo non succede quasi mai. Spesso si aspetta 48, 72 ore o anche di più. Perché? La paura principale è la ritenzione urinaria post-operatoria, un evento piuttosto comune in questi pazienti (fino al 30% dopo interventi lombari!), che comporterebbe un aumento del carico di lavoro per noi infermieri o eventi avversi.

Lo studio cinese ha intervistato 18 infermieri esperti proprio per capire cosa c’è dietro questa esitazione, usando il modello COM-B. E i risultati sono affascinanti perché mostrano come questi tre fattori – Capacità, Opportunità e Motivazione – si intreccino in modo complesso.

Capacità (Capability): Sapere e Poter Fare

Qui emergono subito degli ostacoli. Molti infermieri, pur capendo l’importanza della rimozione precoce, hanno ammesso di avere delle lacune conoscitive. Non erano sicuri su *quando* esattamente si potesse parlare di “rimozione precoce” (le 24 ore delle linee guida sembravano un miraggio rispetto alla pratica comune delle 48-72 ore) né su quali fossero gli indicatori precisi da valutare per decidere se un paziente fosse pronto. Spesso, ci si affida all’esperienza personale, il che porta a una grande variabilità.

“Non capisco bene cosa si intenda per ‘precoce’ dopo l’intervento. Noi di solito lo togliamo tra le 48 e le 72 ore…” (Infermiera P1)

“Spesso ci basiamo sull’esperienza personale per valutare se possiamo rimuovere il catetere.” (Infermiera P2)

Inoltre, c’era incertezza su come gestire pazienti con problemi neurologici preesistenti (paraplegia, sindrome della cauda equina) o quelli che usavano pompe analgesiche, fattori che possono influenzare la funzione urinaria. Nel dubbio, la tendenza è mantenere lo status quo per evitare rischi.

Un altro grosso scoglio è la mancanza di protocolli standardizzati. Non c’è una procedura chiara e condivisa su chi valuta cosa, quando si decide e chi esegue la rimozione. Questo lascia spazio ad abitudini personali e rende difficile seguire le raccomandazioni basate sull’evidenza.

Infine, c’è la questione del carico di lavoro. Qui la faccenda è a doppio taglio. Da un lato, togliere il catetere presto ridurrebbe compiti come la pulizia perineale quotidiana, il cambio sacca, e la gestione del tubo durante i cambi posturali. E questo è visto positivamente.

Dettaglio macro di un grafico medico su una scrivania d'ospedale accanto a un catetere urinario sterile confezionato, obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata da studio, focus preciso sul grafico che mostra protocolli standard assenti.

“Se il paziente urina bene dopo la rimozione precoce, sicuramente riduce il carico di lavoro legato alla cura del catetere.” (Infermiera P5)

Dall’altro lato, però, c’è il timore che, se il paziente *non* riesce a urinare spontaneamente dopo la rimozione, il carico di lavoro aumenti esponenzialmente: assistere il paziente (magari a letto, con difficoltà di movimento), applicare impacchi caldi, aiutarlo ad alzarsi (se possibile e sicuro), monitorare la vescica, e nel peggiore dei casi, dover reinserire il catetere. Questa prospettiva frena molti.

“Se dopo la rimozione non riescono a urinare nonostante tutto, bisogna ricateterizzare, e questo aumenta decisamente il mio lavoro.” (Infermiera P7)

Opportunità (Opportunity): Il Contesto che Aiuta (o Ostacola)

Passiamo ai fattori esterni. Qui le barriere sono altrettanto significative. Prima fra tutte, la richiesta di risorse umane e materiali. Togliere il catetere presto, specialmente nelle prime 24 ore post-operatorie quando il paziente è ancora dolorante, limitato nei movimenti e magari con altri drenaggi, richiede tempo e personale. Bisogna osservare, educare, assistere. E se le risorse umane sono scarse (come spesso accade), questa diventa un’impresa.

“Osservare i pazienti e assisterli a urinare dopo la rimozione richiede davvero tanto tempo.” (Infermiera P4)

Mancano anche ausili specifici, come comode portatili o deambulatori, che potrebbero facilitare la minzione fuori dal letto in sicurezza, riducendo l’esitazione degli infermieri.

Un altro punto dolente è la mancanza di comunicazione efficace. La collaborazione tra infermiere, medico e paziente (e famiglia) è cruciale, ma spesso latita. I pazienti e i familiari, anche se informati sui rischi delle infezioni, possono essere preoccupati per la difficoltà di urinare a letto, per la privacy, o per l’aumento del carico assistenziale che ricadrebbe su di loro. Se l’infermiere non riesce a ottenere la loro fiducia e supporto, tende a desistere.

“Se il paziente rifiuta fermamente dopo la nostra spiegazione, non forzo la mano.” (Infermiera P3)

Anche la comunicazione tra colleghi durante i cambi turno spesso trascura la questione catetere, concentrandosi su parametri vitali, motilità o drenaggi. E quella tra infermieri e medici? Altro tasto dolente. Ad esempio, la rimozione nei pazienti maschi viene spesso eseguita dai medici per questioni di privacy, ma la valutazione pre-rimozione è infermieristica. Se non c’è dialogo efficace, il processo si blocca.

Infine, c’è la questione della priorità. Sebbene tutti riconoscano che prevenire le infezioni sia importante, la rimozione precoce del catetere spesso non è vista come una questione urgente rispetto ad altri problemi post-operatori più immediati (dolore severo, perdite di liquor, ecc.) o ai rischi percepiti della minzione autonoma (ritenzione, cadute). Anche i medici, secondo gli infermieri intervistati, tendono a considerare la rimozione del catetere una priorità secondaria, da affrontare magari dopo le prime 48-72 ore.

“Penso che medici e infermieri debbano essere sulla stessa lunghezza d’onda. I medici di solito iniziano a parlarne con i pazienti dopo 24 ore, pensando alla rimozione a 48-72 ore.” (Infermiera P9)

Fotografia di un gruppo di infermieri e un medico che discutono animatamente ma costruttivamente attorno a un tavolo in una sala riunioni ospedaliera, obiettivo zoom 24-70mm a 35mm, luce naturale dalla finestra, espressioni concentrate, che simboleggia la comunicazione e la collaborazione necessarie.

Motivazione (Motivation): La Spinta Interiore (e i Dubbi)

E arriviamo all’ultimo pezzo del puzzle: cosa spinge o frena gli infermieri a livello interiore? Qui troviamo sia facilitatori che barriere.

La spinta positiva principale è la convinzione che rimuovere presto il catetere promuova il recupero precoce del paziente. Ridurre il disagio, abbassare il rischio di infezioni… questo è un motore potente per molti infermieri, in linea con i concetti di Enhanced Recovery After Surgery (ERAS).

“Penso che la rimozione precoce possa ridurre non solo le infezioni urinarie, ma anche il disagio del paziente. Se accelera il recupero, penso sia fattibile.” (Infermiera P6)

Tuttavia, questa spinta si scontra quasi sempre con emozioni contrastanti. C’è la voglia di fare il bene del paziente togliendo il catetere, ma contemporaneamente c’è la paura delle conseguenze negative:

  • Il rischio che urinare a letto contamini la ferita chirurgica (specialmente lombare).
  • Il rischio di cadute o rimozione accidentale di drenaggi se il paziente si alza per urinare.
  • Il trauma (fisico e psicologico) di dover reinserire il catetere se il paziente va in ritenzione.
  • Il disagio e il rischio infettivo legati al cateterismo prolungato (l’altro lato della medaglia).

Questo tira e molla emotivo lascia gli infermieri spesso confusi e combattuti.

“A volte sento che è benefico rimuovere presto il catetere… Ma poi, quando ti capita quel paziente che dopo la rimozione non riesce a urinare, è frustrante perché magari devi ricateterizzare, aumentando di nuovo il rischio infettivo. È davvero molto conflittuale.” (Infermiera P7)

Cosa ci portiamo a casa?

Questo studio, pur con i suoi limiti (campione piccolo e da un solo ospedale), ci offre uno spaccato prezioso delle sfide reali che noi infermieri affrontiamo quotidianamente. Le barriere alla rimozione precoce del catetere urinario dopo chirurgia spinale non sono isolate, ma profondamente interconnesse tra Capacità, Opportunità e Motivazione.

La mancanza di conoscenze specifiche e protocolli chiari (Capacità) riduce la sicurezza e la motivazione. La carenza di risorse e la comunicazione inefficace (Opportunità) rendono difficile mettere in pratica anche le migliori intenzioni. E le emozioni contrastanti (Motivazione), alimentate dalle difficoltà pratiche e dai rischi percepiti, creano un circolo vizioso.

Cosa fare, allora? Lo studio suggerisce che servono interventi su più livelli:

  • Formazione mirata per noi infermieri sulle tempistiche, le indicazioni specifiche per i pazienti spinali e le strategie di gestione post-rimozione.
  • Sviluppo e implementazione di protocolli standardizzati e condivisi tra infermieri e medici.
  • Miglioramento della comunicazione a tutti i livelli: tra infermieri, con i medici, e soprattutto con pazienti e famiglie, coinvolgendoli attivamente nel processo decisionale e nella gestione.
  • Allocazione di risorse adeguate, sia umane che materiali (ausili per la minzione).
  • Promozione di un ruolo più attivo per gli infermieri (nurse-led initiatives) come leader del team, coordinatori e comunicatori in questo ambito.
  • Interventi per aumentare l’autoefficacia degli infermieri e aiutarli a gestire le emozioni contrastanti.

Insomma, la strada per allineare la pratica clinica alle evidenze sulla rimozione precoce del catetere è complessa, specialmente in un contesto delicato come la chirurgia spinale. Ma capire a fondo le barriere e i facilitatori, come ha fatto questo studio, è il primo passo fondamentale per costruire soluzioni efficaci che mettano al centro la sicurezza e il benessere dei nostri pazienti. È una sfida che riguarda infermieri, medici, pazienti e l’intero sistema sanitario. E voi, cosa ne pensate? Avete esperienze simili? Parliamone!

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *