Os Subfibulare: Togliere o Non Togliere Quel Frammento Osseo nella Caviglia?
Ciao a tutti! Oggi parliamo di un problema super comune per chi fa sport, ma non solo: le distorsioni alla caviglia. Quante volte ci è capitato, magari giocando a calcetto o semplicemente camminando su un terreno sconnesso? Sono tra gli infortuni muscoloscheletrici più frequenti in assoluto. E a volte, queste distorsioni, se si ripetono o se la caviglia continua a “cedere”, possono portare a quella che i medici chiamano instabilità cronica laterale della caviglia (CLAI).
Quando la situazione diventa cronica, spesso la soluzione è chirurgica. Una delle tecniche più usate e con ottimi risultati è l’operazione di Broström modificata (MBO), che in pratica ripara i legamenti lesionati (il legamento peroneo-astragalico anteriore, o ATFL, e il legamento peroneo-calcaneare, o CFL) e rinforza la struttura. Negli ultimi anni, poi, si è diffusa molto la versione artroscopica “all-inside”, ancora meno invasiva.
Il Mistero dell’Ossicino: Cos’è l’Os Subfibulare?
Ma qui entra in gioco un dettaglio interessante. A volte, chi soffre di dolore sulla punta del malleolo laterale (quell’osso sporgente all’esterno della caviglia), specialmente dopo traumi o attività sportiva intensa, scopre di avere un piccolo ossicino separato proprio lì. Si chiama os subfibulare (OSF). È un frammento osseo piccolo, ben definito, vicino all’estremità inferiore del perone.
Da dove salta fuori? Ci sono due teorie principali:
- Potrebbe essere un centro di ossificazione accessorio che non si è fuso correttamente durante lo sviluppo (un po’ come un “osso in più” dalla nascita).
- Oppure, più probabilmente in chi ha subito traumi, potrebbe essere il risultato di una vecchia frattura da avulsione: un pezzetto di osso o cartilagine che si è staccato dalla punta del perone a causa della trazione di un legamento durante una distorsione.
Questo ossicino non sempre dà problemi, può restare lì silente per anni. Però, a volte, in seguito a un trauma o a un sovraccarico (come l’esercizio fisico), può diventare sintomatico e causare dolore. Si pensa che il dolore possa derivare dalla trazione esercitata sull’ossicino dal legamento a cui è attaccato, oppure dall’infiammazione dei tessuti molli circostanti (sinovite) o da un conflitto meccanico (impingement).
L’Approccio Standard e il Dilemma: Rimuovere o No?
Tradizionalmente, quando si interviene chirurgicamente per un’instabilità cronica (CLAI) e si trova anche un os subfibulare, specialmente se piccolo (sotto i 5 mm di diametro longitudinale, secondo alcune classificazioni), la prassi comune è quella di rimuoverlo durante l’operazione di MBO. L’idea è: “Già che ci siamo, togliamo anche questa potenziale fonte di fastidio”.
Tuttavia, la questione non è così semplice. Alcuni studi hanno riportato risultati non proprio brillanti dopo questo approccio combinato. Perché? Il problema è che questi ossicini sono spesso incastonati nelle fibre del legamento peroneo-astragalico anteriore (ATFL), che è fondamentale per la stabilità della caviglia. Rimuovere l’ossicino, soprattutto se è piccolo e difficile da isolare, potrebbe significare danneggiare o indebolire proprio quel legamento che stiamo cercando di riparare! Si rischia di creare un “buco” nel legamento che poi è difficile da chiudere bene, compromettendo la stabilità antero-posteriore.
Considerando questi rischi, alcuni chirurghi hanno iniziato a chiedersi: “Ma se l’ossicino è davvero piccolo (sotto i 5 mm) e il paziente non lamenta un dolore specifico proprio lì, è davvero necessario rimuoverlo?”. Magari, lasciandolo al suo posto, si evitano potenziali danni al legamento e i risultati a lungo termine sono comunque buoni.
Lo Studio: Confronto tra Rimozione e Non Rimozione
Ed è proprio qui che si inserisce uno studio interessante che ho analizzato. I ricercatori hanno voluto verificare questa ipotesi confrontando i risultati clinici e radiologici in pazienti con CLAI e un piccolo OSF (≤ 5 mm) sottoposti ad artroscopia MBO. Hanno diviso i pazienti in due gruppi:
- Gruppo 1: OSF rimosso durante l’intervento.
- Gruppo 2: OSF lasciato in sede durante l’intervento.
Hanno seguito questi pazienti per almeno un anno, valutando diversi parametri prima e dopo l’operazione (a 6 e 12 mesi):
- Scale di valutazione funzionale e del dolore: FAOS (Foot and Ankle Outcome Score), AOFAS (American Orthopaedic Foot and Ankle Society score) e VAS (Visual Analog Scale per il dolore).
- Valutazioni radiologiche sotto stress: Hanno misurato la stabilità della caviglia con radiografie specifiche (test del cassetto anteriore – ADT e angolo di inclinazione astragalica – TTA) applicando una forza controllata.
I Risultati: Sorpresa (Forse Non Troppo)?
Ebbene, i risultati sono stati piuttosto chiari: non c’erano differenze significative tra i due gruppi! Sia i pazienti a cui era stato rimosso l’ossicino, sia quelli a cui era stato lasciato, hanno mostrato miglioramenti simili nei punteggi funzionali, nel dolore percepito e nella stabilità radiologica della caviglia a 6 e 12 mesi dall’intervento.
In entrambi i gruppi, i punteggi FAOS e AOFAS sono migliorati notevolmente, il dolore (VAS) è diminuito e le misurazioni di instabilità (ADT e TTA) si sono ridotte dopo l’operazione. Ma, confrontando direttamente il gruppo “rimozione” con il gruppo “non rimozione”, non è emersa alcuna superiorità di un approccio rispetto all’altro per questi ossicini di piccole dimensioni.
Cosa Ci Dice Questo Studio?
La conclusione più importante di questa ricerca è che, per i pazienti con instabilità cronica laterale della caviglia che hanno anche un os subfibulare piccolo (≤ 5 mm) e che non causa sintomi specifici (cioè, il paziente non lamenta dolore puntiforme proprio lì), la sua rimozione durante l’intervento di MBO artroscopica potrebbe non essere necessaria.
I risultati clinici e radiologici sembrano essere sovrapponibili sia che l’ossicino venga tolto, sia che venga lasciato al suo posto. Considerando i potenziali rischi legati alla rimozione (come abbiamo detto, il possibile danneggiamento del legamento ATFL a cui è spesso attaccato), l’opzione di “lasciarlo stare” diventa una valida alternativa terapeutica in questi casi specifici.
Ovviamente, come sottolineano gli stessi autori, lo studio ha delle limitazioni: è retrospettivo, condotto in un solo centro e con un numero non enorme di pazienti, seguiti per un anno (non si sa cosa potrebbe succedere a lunghissimo termine). Serviranno ulteriori ricerche, magari multicentriche e con follow-up più lunghi, per confermare questi risultati su scala più ampia.
Però, il messaggio è forte e chiaro: in chirurgia, a volte, “less is more”. Se un piccolo ossicino come l’OSF non dà fastidio e toglierlo comporta dei rischi, forse la scelta migliore è proprio quella di non toccarlo. Certo, se invece l’ossicino, indipendentemente dalle dimensioni, è chiaramente la fonte del dolore lamentato dal paziente, allora la sua rimozione rimane l’indicazione principale.
Insomma, una piccola riflessione che potrebbe cambiare l’approccio a un dettaglio comune nella chirurgia della caviglia instabile. Interessante, no?
Fonte: Springer