Paesaggio fotorealistico, lente da 15 mm ad angolo largo, focus acuto, raffigurante un progetto di restauro della foresta in fase iniziale su un pendio di montagna soleggiato ma leggermente nebuloso a Hong Kong. Numerose giovani piantine di alberi nativi in ​​guardie blu e gialle punteggiano le praterie in fase di recupero. Mostra sia la sfida ambientale che l'intervento umano.

Riforestazione: Il Tempo Cambia le Regole del Gioco per i Giovani Alberi

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo della riforestazione, un tema caldissimo ora che siamo nel pieno del Decennio ONU sul Ripristino degli Ecosistemi (2021-2030). Tutti parlano di piantare alberi, ed è fantastico! Ma vi siete mai chiesti cosa succede *davvero* dopo che mettiamo a dimora un giovane alberello in un’area degradata? Non è così semplice come sembra.

Le foreste tropicali, in particolare, sono al centro di molti sforzi di ripristino. A volte basta lasciare fare alla natura (la cosiddetta successione naturale), ma spesso, soprattutto in paesaggi molto rovinati – magari da incendi, agricoltura intensiva o pascolo – la natura da sola non ce la fa. L’erba troppo competitiva, il suolo povero, il microclima ostile, la mancanza di semi… tutti fattori che possono bloccare la ripresa. Ed è qui che entriamo in gioco noi, con la piantumazione attiva.

Piantare alberelli autoctoni è uno dei metodi più usati per accelerare il ritorno della biodiversità e delle funzioni ecologiche. Però, diciamocelo, costa tempo e fatica. Quindi, è fondamentale pianificare bene e monitorare i risultati per essere sicuri che i nostri sforzi siano efficaci e sostenibili. Ma quali sono i fattori che decretano il successo o il fallimento? E, soprattutto, la loro importanza cambia nel tempo?

La nostra missione: capire cosa conta davvero

Proprio per rispondere a queste domande, ho partecipato a uno studio sperimentale davvero interessante a Hong Kong. Immaginate un pendio montano a media altitudine, un tempo coperto da foresta e poi trasformato in una prateria grossolana a causa dell’intervento umano, soprattutto incendi. Un ambiente difficile.

Lì abbiamo creato sette “laboratori a cielo aperto”, appezzamenti di 20×20 metri, e abbiamo piantato quasi 4000 (sì, quattromila!) alberelli appartenenti a 12 specie arboree native diverse. Volevamo capire come se la cavassero nelle primissime, cruciali fasi della loro nuova vita.

Cosa abbiamo tenuto d’occhio? Da un lato, le condizioni ambientali legate alla topografia: altitudine, pendenza, esposizione al sole (aspetto) e la forma del terreno (convessità). Dall’altro, l’effetto di alcuni interventi di gestione che spesso si usano (o si potrebbero usare) in questi progetti:

  • Due tipi diversi di protezioni per alberi (o “tree guards”): una specie di tubo chiuso in plastica blu e una rete aperta gialla. Servono a proteggere dai grandi erbivori (cinghiali, cervi, bovini selvatici) e forse a creare un microclima più favorevole.
  • Due tipi di fertilizzante: uno organico (farina d’ossa) e uno inorganico (in pastiglie).
  • L’uso o meno di tappetini pacciamanti in cartone per controllare le erbacce vicino all’alberello.

Per quattro anni (al primo, secondo e quarto anno dalla messa a dimora) abbiamo misurato meticolosamente la sopravvivenza di ogni singolo alberello, la sua altezza e il diametro alla base. Un lavoro enorme, ma necessario!

Macro fotografia, obiettivo da 85 mm, dettagli elevati, illuminazione controllata, che mostra una giovane piantina di alberi nativi che emerge da un albero di plastica chiuso blu in un terreno erboso e leggermente inclinati sotto la luce solare luminosa ma diffusa. L'attenzione è acuta sulla piantina e sulla guardia.

I primi risultati: sopravvivenza e crescita

La buona notizia? La sopravvivenza generale è stata alta! Dopo un anno, il 98,1% degli alberelli era vivo, dopo due anni il 95,2% e anche dopo quattro anni eravamo all’86,4%. Certo, c’è stata un’eccezione: una specie (*Heptapleurum heptaphyllum*) ha sofferto molto un’ondata di gelo eccezionale nel 2016, e la sua sopravvivenza è crollata. Questo ci ricorda come eventi climatici estremi possano giocare un ruolo importante.

Guardando ai trattamenti, la combinazione “protezione blu chiusa + fertilizzante organico + tappetino pacciamante” ha dato la sopravvivenza più alta dopo 4 anni (quasi il 95%).

Ma la parte più intrigante riguarda la crescita relativa (il cosiddetto RGR, Relative Growth Rate), cioè quanto velocemente crescono gli alberelli rispetto alla loro dimensione. Qui le cose si complicano. Usando modelli statistici, abbiamo cercato di capire quali fattori (topografia, trattamenti) e le loro interazioni spiegassero meglio la crescita in altezza e diametro.

Il colpo di scena: l’importanza dei fattori cambia!

Sapete qual è la cosa affascinante? Quando abbiamo analizzato tutte le specie insieme, i modelli spiegavano solo una piccola parte della variazione nella crescita (tra l’1.5% e il 3.3%). Sembrerebbe quasi che i fattori studiati non contino molto… Ma non è così!

Il punto cruciale è che ogni specie ha risposto in modo diverso e, soprattutto, l’importanza relativa dei vari fattori è cambiata nel tempo, durante le prime fasi di insediamento.

Ad esempio:

  • Il tipo di protezione è risultato spesso fondamentale, soprattutto per la crescita in altezza, e in particolare la protezione blu chiusa sembrava dare una marcia in più rispetto a quella a rete. Probabilmente crea un microclima più umido e protetto. L’effetto era più marcato finché la chioma era dentro la protezione; una volta che l’alberello “emergeva”, la sua crescita relativa tendeva a rallentare.
  • L’esposizione (aspect) e l’altitudine sono stati fattori topografici molto influenti, probabilmente legati a differenze microclimatiche (luce solare, vento, umidità del suolo). Gli alberelli piantati nelle zone più alte ed esposte tendevano a crescere meno.
  • L’effetto del fertilizzante è stato più evidente nel primo periodo (primi due anni) per alcune specie, mentre dopo sembrava perdere importanza. Forse i nutrienti vengono assorbiti rapidamente o dilavati dalle piogge intense, tipiche del clima monsonico.

E non solo i singoli fattori, ma anche le loro interazioni contano! Ad esempio, l’interazione tra altitudine e tipo di protezione è stata spesso significativa. Immaginate: una protezione chiusa potrebbe essere ancora più benefica in una zona alta ed esposta al vento, mitigando condizioni altrimenti proibitive. Allo stesso modo, l’umidità mantenuta dalla protezione potrebbe influenzare come e quanto il fertilizzante viene reso disponibile alle radici.

Fotografia del paesaggio grandangolare, lente da 20 mm, focus acuto, che mostrano file di giovani alberi in guardie sugli alberi su una collina degradata e erbosa a Hong Kong durante la stagione secca. Alcuni alberi sono più alti di altri. La luce suggerisce nel tardo pomeriggio.

Cosa significa tutto questo per la riforestazione pratica?

Questa scoperta – che l’importanza dei fattori ambientali e degli interventi di gestione cambia nel tempo e varia da specie a specie – è fondamentale. Non possiamo applicare una ricetta unica per tutti.

1. La scelta delle specie è cruciale, ma non basta: Dobbiamo considerare le preferenze ecologiche di ogni specie che piantiamo. Alcune potrebbero aver bisogno di più aiuto all’inizio (es. fertilizzante), altre potrebbero cavarsela meglio in certe condizioni topografiche. Piantare un mix diversificato è ottimo, ma dobbiamo capire come supportare ogni componente di quel mix.

2. Le protezioni per alberi funzionano (soprattutto quelle chiuse): Anche se poco usate nei tropici (forse per i costi), il nostro studio suggerisce che danno un aiuto significativo, non solo contro gli animali ma anche creando un microclima più favorevole nelle fasi iniziali. Certo, bisogna considerare anche lo smaltimento della plastica se non sono biodegradabili.

3. Bisogna pensare in termini dinamici: Un fattore limitante oggi potrebbe non esserlo domani, e viceversa. Ad esempio, il fertilizzante può essere utile subito, ma poi forse diventa più importante gestire la competizione con le erbe o assicurare sufficiente luce man mano che gli alberi crescono. La pianificazione deve tenere conto di questa evoluzione.

4. Le interazioni sono complesse: Non basta considerare i fattori uno per uno. Come interagiscono tra loro (es. protezione e altitudine, pendenza e fertilizzante) può fare la differenza per specifiche specie.

Il nostro studio si è concentrato sulle primissime fasi. Man mano che gli alberelli crescono e la chioma inizia a chiudersi, entreranno in gioco altre dinamiche: competizione tra alberi, necessità di diradamenti, ruolo delle piante “nutrici”, ecc. La storia è ancora lunga!

Teleotdo Zoom, 200 mm, catturando un ricercatore che misura il diametro basale di un giovane piantina di alberi con pinze su un sito di restauro. Lo sfondo mostra altre piantine in vari tipi di guardie degli alberi (maglia blu e gialla) su un pendio. Effetto di tracciamento dell'azione, sfondo leggermente sfocato.

In conclusione: un’arte basata sulla scienza (e sul tempo)

Ripristinare una foresta è un processo complesso, quasi un’arte, che però deve basarsi su solide conoscenze scientifiche. Il nostro lavoro a Hong Kong ha aggiunto un tassello importante, mostrando quanto sia dinamico l’ecosistema in fase di recupero e come le esigenze degli alberelli cambino nel tempo.

La prossima volta che sentirete parlare di progetti di riforestazione, pensate a questa complessità: non si tratta solo di mettere una pianta nel terreno, ma di accompagnarla nel suo sviluppo, comprendendo e affrontando le sfide mutevoli che incontra, tenendo conto delle sue specifiche esigenze e del contesto ambientale. Solo così potremo massimizzare le possibilità di successo e ricostruire foreste resilienti e funzionali per il futuro.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *